Omelie

GIOVEDÌ SANTO 2022 – MESSA IN COENA DOMINI –


Es 12, 1-8. 11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15

14 Aprile 2022

In questa liturgia noi tentiamo, possiamo solo tentare, di entrare nel mistero della Pasqua, il mistero della nostra salvezza che riviviamo in questi tre giorni santi della passione, morte e resurrezione del Signore. Sarà il mistero stesso – Dio ci ama sempre per primo – ad accoglierci e a portarci dentro di sé, se solo non resisteremo e non gli opporremo rigidità o distrazioni.

La parola “Pasqua” ha avuto nel corso dei secoli diverse risonanze: anzitutto il passaggio di Dio, l’opera di Dio che salva; significa anche il passaggio del popolo di Israele dalla schiavitù alla libertà; ci rinvia poi alla passione vera e propria di Gesù e quindi al suo esodo, il suo “passaggio da questo mondo al Padre, passaggio che riassume l’insieme del mistero pasquale” (Carlo Maria Martini).

Entriamo con stupore e sguardo contemplativo nel Giovedì Santo che “non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione. Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita” (Papa Benedetto XVI).

Gesù entra nella notte per superarla e, prima di lasciarci, secondo l’evangelista Giovanni, compie un gesto, la lavanda dei piedi, di cui vogliamo ancora una volta comprendere i presupposti e contemplare i significati.

“Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”: è il presupposto solenne! Gesù è pienamente consapevole che è giunta l’ora che aveva tanto desiderato, l’ora di cui in precedenza aveva dichiarato più volte che non era venuta, che doveva aspettare.

L’espressione “da questo mondo al Padre” dice tutto il mistero di Cristo: la passione, la morte e la resurrezione, la liberazione dell’umanità, il passaggio di Gesù al Padre insieme con i suoi, per portarci una vita divinizzata, nella pienezza del regno di Dio. In questo contesto di intensi sentimenti, Gesù ama i suoi “fino alla fine”.

“Amare vuol dire volere che l’altro sia, vuol dire far essere grande e importante l’altro; vuol dire farlo essere a proprie spese, a costo della propria vita. Così Gesù ci ama e ci ama fino alla fine, fino all’ultimo istante, fino a colmare con la morte la misura dell’amore” (Carlo Maria Martini).

Quali i significati della lavanda dei piedi? Sappiamo che di solito i piedi si lavavano prima del pasto, non durante, ed era il compito degli schiavi preferibilmente non ebrei. Gesù compie un gesto dal valore straordinario, che non aveva mai fatto, perché era un Rabbì. Ci troviamo di fronte ad un gesto simbolico che dice “io metto la mia vita, tutta la mia vita, a vostra disposizione, per voi”.

Sottolineiamo alcuni significati.

Indubbiamente si tratta di un gesto profetico, che dà la chiave di lettura a tutta la sua vita e alla sua morte imminente: Dio ci ama a tal punto da dare la vita di suo Figlio per noi. Comprendiamo in Gesù che lava i piedi il mistero di essere uomini: creati e amati da Dio, ci realizziamo quando la nostra vita diventa dono disponibile per gli altri.

Lasciarsi lavare i piedi da Dio significa accogliere la sua parola e lasciarci da essa purificare.

Dio, in Cristo, facendosi nostro schiavo, ci partecipa l’identità stessa di Gesù, l’essere figli. La presenza di Giuda nella lavanda dei piedi attesta che l’incredulità è anche presente nei gesti più profondi, e, al tempo stesso, la figura di Pietro attesta la nostra fatica a lasciarci veramente amare da Dio come vuole Dio. Noi come Pietro vorremmo essere i primi ad amare, non i secondi; ma proprio la condizione di essere figli ci fa cogliere che nell’amore si è sempre secondi a Colui che per primo ci ha amato. Ciò significa non solo accettare, ma apprezzare e amare la nostra creaturalità di perdonati e salvati.

Tutti questi significati, che sono i grandi misteri della nostra fede, li celebriamo e ci alimentano nell’Eucarestia. L’evangelista Giovanni nel racconto della lavanda dei piedi esprime i valori dell’Eucarestia, che non descrive replicando la narrazione dell’ultima cena già offerta dagli altri evangelisti.

“Nell’Eucarestia Gesù dà se stesso, il suo corpo e il suo sangue per noi; ci insegna a lasciarci riempire di doni da una realtà che sembra più piccola e più fragile di noi; ci insegna ad amarci gli uni gli altri, a mettere a disposizione il nostro corpo e la nostra vita per tutti gli altri, in atteggiamento semplice e umile come Lui ha fatto per noi” (Carlo Maria Martini).

Questa sera laverò i piedi ad alcune famiglie profughe dell’Ucraina che abbiamo accolto in Diocesi, e con questo gesto, come chiesa locale, vogliamo dichiarare la nostra disponibilità, senza “se” e senza “ma”, all’accoglienza di tutti i profughi di ogni continente, che scappano dalla fame e dalle guerre, e al tempo stesso, con il rito della lavanda dei piedi vogliamo ancora una volta gridare che crediamo nel potere dei segni più che nei segni del potere, come il segno del potere delle guerre.

Preghiamo il Signore questa sera perché la nostra vita diventi una “lavanda di piedi” per gli altri, a partire dalle “periferie esistenziali”.

✠   Francesco Savino