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“L’ARCO DI GUERRA SARÀ SPEZZATO”: MANDATI A COSTRUIRE PACE SULLA TERRA


Il trionfo di Gesù su l’asinello della pace e le sue lacrime di fronte a Gerusalemme

Nell’entrare nella settimana santa, mi colpiscono due immagini del Vangelo di Luca, che ci introduce in essa quest’anno: l’immagine del suo ingresso sull’asinello in Gerusalemme e le sue lacrime alla vista della città santa.

Riprendiamo le due scene nella loro narrazione apparentemente asciutta, ma che nasconde una grande profondità: una profondità umana oltre che teologica.

Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno””. Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: “Perché slegate il puledro?”. Essi risposero: “Il Signore ne ha bisogno”. Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!”. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Ma egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”. Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. (Lc 19, 28-44)

Alcuni dettagli ci introducono al mistero meraviglioso e dolente delle pagine della passione che leggiamo la domenica delle palme.

‣ Gesù che cammina davanti a tutti in questo suo ultimo viaggio;

‣ l’invio di due discepoli, mandati a slegare un asino, su cui nessuno era salito, per condurlo a lui;

il suo ingresso come re su un asinello;

‣ il verbo slegare ripetuto ben quattro volte; 

‣ il fatto che gli venga acclamato come re che porta pace e gioia nel cielo e sulla terra e immediatamente dopo il suo pianto alla vista di Gerusalemme.

     Consideriamo brevemente questi elementi narrativi per trarne alcune conclusioni importanti per la nostra vita personale oltre che per la nostra testimonianza di seguaci di Gesù, mentre imperversa la ferocia della guerra.

Gesù ci precede in ogni nostro viaggio

Provati tutti come siamo da oltre due anni di pandemia e da 44 giorni di guerra in Ucraina, abbiamo bisogno di sapere che il nostro viaggio della vita in genere, come della nostra quotidianità, anche la più ferita, non è un viaggio nel vuoto e nel non senso. È un viaggio verso ciò che Gerusalemme rappresenta nel suo simbolismo biblico ed evangelico: la destinazione di un percorso, la consumazione di una vita d’amore, la celebrazione di una festa.

Qualcuno ci precede, ma non è un condottiero qualsiasi, né tanto meno un uomo assetato di potere e di espansionismo, di altra sudditanza e di carne umana da mandare ad immolarsi nelle sue guerre.

È proprio l’opposto. È quel Gesù che non pratica alcuna violenza, che non vuole sottomettere nessuno, che chiama solo tutti e ciascuno a corrispondere al suo amore, che non vuole immolare nessuno, ma che è disposto a sacrificare se stesso.

Ci precede e, qualora volessimo proporgli un’altra strada, è pronto a dire a ciascuno di noi, come aveva fatto con Pietro, discepolo scelto a fare il primo papa: «Sta’ dietro di me, Satana, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mc 8,33).

«Pensare secondo Dio» in questo contesto non può che significare accompagnare Gesù sulla sua strada e non volerlo portare sulle nostre, per quanto più allettanti, più moderne e più gratificanti possano apparire.

Discepoli mandati a due a due

È singolare il fatto che, nonostante l’urgenza escatologica che caratterizza l’annuncio del Regno di Dio, Gesù mandi i suoi discepoli a due a due, dimezzando così di fatto le città da raggiungere con la loro predicazione.

Il motivo non va ricercato solo nel valore della testimonianza dal punto di vista legale. È quello più grande e convincente del vivere insieme, cui Gesù tiene particolarmente, fino ad affermare «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!» (Mt 18,20).

Mandati qui a sciogliere e a condurgli l’asinello di cui «il Signore ha bisogno», i due discepoli suggeriscono altre considerazioni che riguardano la loro vocazione all’opera messianica che Gesù sta per inaugurare ufficialmente, sebbene, come sembra, a loro insaputa e contrariamente alle loro aspettative che dovevano essere ben più trionfalistiche. Riguardano anche la loro missione futura a sciogliere e slegare gli uomini da asservimenti di natura ideologica e anche religiosa, per entrare nella prassi della Regalità di Dio che Gesù porta sulla terra.    

Certamente il suo ingresso sull’asinello della povera gente, oltre che degli antichi patriarchi, fa venire in mente anche il re Davide che si era avviato su un dorso di asino verso la reggia di Saul, essendo stato prescelto come re al suo posto. Chiamato dal re ancora in carica, ma ignaro della sua futura sorte e di quella di Davide, lo aveva raggiunto, al seguito di ciò che leggiamo nel 1° libro di Samuele: «[suo padre Iesse] preparò un asino e provvide pane e un otre di vino e un capretto, affidò tutto a Davide suo figlio e lo inviò a Saul» (1Sam 16,20).

Al tempo di Gesù, molteplici, differenziate e contradditorie erano le rappresentazioni del Messia, sia da parte della gente più umile sia da parte dei circoli religiosi, come quelli collegati agli esseni e a Qumran. E ben diverse erano le immagini che ne avevano i tiranni del tempo, i rivoluzionari zeloti e gli stessi discepoli di Gesù.

Non pochi erano stati i progetti di messianismo, miseramente naufragati, di alcuni che si erano ritenuti ed erano stati effettivamente acclamati come messia dell’Israele in quel periodo storico.

Chi di tutti questi sarebbe salito effettivamente sul biblico asinello per portare pace e non guerra? Chi avrebbe preso su serio le parole del profeta Zaccaria? Quelle che annunciavano: «Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.  Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra» (Zc 9,9-10). Nessuno di essi. Solo Gesù, che viene per un Regno di pace e non per una rivalsa o per una qualche egemonia, né politica, né religiosa.

Mandati a slegare e non a imporre pesi insopportabili

Ha effettivamente tutta la consistenza storica di un regno di pace, quello che viene ad inaugurare Gesù, in quanto Re-Messia. Egli si presenta nel nome del Signore, mentre l’acclamazione dei suoi discepoli sembra riecheggiare l’annuncio iniziale della sua natività da parte di messaggeri celesti: «Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (cfr. Lc 2,14).

La gioia e la gloria nel più alto dei cieli hanno però una corrispondenza in un’opera sulla terra, opera da lui avviata e poi affidata ai suoi discepoli di ogni epoca. Il suo è un Regno che coinvolgeva i discepoli di allora, come coinvolge noi discepoli di oggi, nella liberazione degli uomini. Avrebbero dovuto loro e dobbiamo noi collaborare con Gesù a slegare ben più che degli asini dalla loro cattività. Si tratta di slegare gli uomini da pesi che si chiamano legalismo, religiosità di facciata, ostentazione di devozionismi senza corrispondente vita vissuta, gravami di leggi ritenute divine, ma che invece sono solo elaborazioni autolesionistiche di una religione inumana e che, pertanto, non viene da Dio. Accadeva anche allora con quelli che avversavano Gesù, talora pii, talora ipocriti, ma tutti inesorabili nell’escludere dal tempio e dalla speranza chi non fosse come loro. Di essi Gesù aveva sentenziato: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,46).

Egli aveva invece affidato a Pietro il compito di sciogliere da simili e altri fardelli, dicendo «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19), ma intendendo il legare come legame con Dio e lo sciogliere come perdono e liberazione da ogni carico di colpa o di condanna. Lo ripeterà, infatti, a lui e agli altri apostoli dopo la risurrezione, mandandoli a sciogliere gli uomini da pesi gravosi e da ogni altra oppressione. Dovranno trasmettere la pace, la “sua” pace, sciogliendo anche gli uomini dal gravame dei peccati e dall’odio. Lo dirà testualmente nella formula rafforzativa ebraica che esprime in parallelo lo stesso concetto volgendo al negativo la frase primaria: «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23».

Mandati a costruire pace sulla terra

La missione di Gesù, Re di pace, a costruire fiducia, fraternità e pace in questo nostro mondo di oggi, doppiamente ferito, è incredibilmente attuale.

Tutti abbiamo pianto e molti stanno ancora piangendo per gli effetti della pandemia e per quelli che sta provocando l’assenza di una vera ed efficace politica di pace.

Non c’è famiglia che non abbia avuto qualche caso di morte per Covid-19, non c’è persona umana che abbia sensibilità e cuore che non stia soffrendo per gli orrori della guerra in Ucraina e per le altre forme di violenza delle quali veniamo a conoscenza.

Mai come oggi forse sentiamo urgente e inderogabile l’impegno per costruire un futuro di pace, quell’impegno affidato a noi cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà dal Vaticano II, ripreso da tutto il Magistero successivo e costantemente ripetuto da Papa Francesco.

Non sono mancati nei decenni che ci hanno preceduto le sentinelle di pace e gli araldi di un altro mondo possibile: quello in cui non solo non si costruiscano guerre, ma non si alzino mura e steccati tra popoli diversi e persone diverse. Una di quelle sentinelle dalla voce limpida e dallo sguardo evangelico è stato proprio colui che su di esse ha particolarmente insistito, il mio confratello vescovo e il fratello di ogni cuore dotato di sensibilità e di aneliti di giustizia e d’amore: don Tonino Bello.

L’ultima sua settimana santa, lo fu in tutti i sensi: anche per la sua vita che si andava consumando in un ininterrotto atto d’amore, che se continua certamente nel Regno di Dio per lui ormai raggiunto, deve essere come una fiaccola a noi consegnata qui sulla terra, perché la teniamo ben accesa.

Di certo ha pianto anche lui, come Gesù, nel vedere la nostra comune città umana, la nostra società, ancora infetta dall’odio, dalla violenza e dalla prevaricazione, senza aver saputo riconoscere la voce di chi la richiamava ad un’autentica programmazione di pace. Di certo ha pregato e continua a pregare perché la pace venga finalmente su questa terra e venga per tutti.

Contempleremo Gesù che va verso il calvario e vedremo come in un film gli orrori delle ferite inflitte, delle umiliazioni subite, delle crocifissioni degli innocenti anche in questa settimana, la più santa e la più insanguinata, ma anche la più densa di perdono e di speranza, di riconciliazione e di salvezza. Il tramonto gravido di dolore del sabato santo sarà, tuttavia, ancora e lo sarà per sempre, un presagio dell’aurora della domenica della risurrezione. Tanta speranza e tanta gioia nel riscoprire e nel seguire il Risorto auguro a tutti voi e a ciascuno e a ciascuna di voi. 

Buona Pasqua!

Cassano allo Ionio, 10 Aprile 2022
Domenica delle Palme: Passione del Signore            

  ✠   don Francesco, vescovo