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Omelia XXIII Domenica del Tempo Ordinario 8 Settembre 2019


XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA] 

Sap 9, 13-18; Sal 89; Fm 9b-10. 12-17; Lc 14, 25-33

8  Settembre  2019

Molti sono coloro che seguono e ascoltano il Maestro che va verso Gerusalemme. Gesù, vedendo che una gran folla lo segue, si volta indietro e dice loro: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”.

Sono parole che risultano per noi assurde tanto sono chiare e inequivocabili. Il loro significato viene illuminato da quanto Gesù dice quando vanno a riferirgli che i suoi familiari, dai quali si era allontanato per annunciare e testimoniare il Regno di Dio, lo cercano con insistenza: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”.

Il discepolo di Gesù, il cristiano, è colui che antepone ad ogni altro legame, anche di sangue, il legame di amore con Gesù, Parola di Dio fatta carne (cfr. Gv 1, 14). Chi segue il Cristo Signore è chiamato ad amare, come Lui lo ama e ad amare in Lui tutti, senza alcuna distinzione. 

Gesù afferma la necessità irrevocabile che il discepolo è colui che antepone l’amore per Lui anche alla propria vita. 

E questo è davvero irrazionale. Siamo continuamente tentati di preservare la vita ad ogni costo, spinti da quella terribile pulsione dell’egoismo che ci chiude in noi stessi, come se gli altri non esistessero e come se non esistesse nemmeno Gesù Cristo. 

Il vero cristiano comprende che la propria esistenza ha senso soltanto se Cristo vive in sé ricordando sempre che “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salverà” (Lc 9, 24). 

Con Gesù, noi tutti suoi discepoli, siamo chiamati a portare quotidianamente la croce: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me non può essere mio discepolo”. 

Nel Vangelo di questa Domenica, le due brevi parabole di Gesù sono esplicative delle esigenze della sequela del discepolo.

Afferma Enzo Bianchi: “Come per costruire una torre o affrontare una battaglia è indispensabile calcolare in anticipo con intelligenza le proprie forze, così anche per seguire lui: il discepolo, infatti, è chiamato non solo a incominciare ma anche a «portare a compimento» la sua sequela. Sì, la vita cristiana non è questione di un momento o di una stagione, ma richiede perseveranza fino alla fine, fino alla morte. E la perseveranza esige un grande amore per Gesù Cristo, l’amore da cui nasce la disponibilità ad andare con lui anche dove noi non vorremmo; ovvero, implica la fede che sarà lui, Cristo, il quale nel suo amore per noi «porterà a compimento ciò che ha iniziato in noi» (cf. Fil 1,6)”.

La nostra esistenza non si appaga con il possesso di beni e chi si mette alla sequela di Gesù non prende con sé altro bene se non Gesù stesso, non aspira ad avere di più, ma ad amare di più.

Buona Domenica.

   Francesco Savino