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Omelia XXXII  Domenica del Tempo Ordinario 11 Novembre 2018


XXXII  DOMENICA  DEL  TEMPO  ORDINARIO [SCARICA]

11  Novembre  2018

“Prima lettura e vangelo hanno molteplici richiami reciproci: la povertà come spazio di libertà (non si è tesi a difendere ciò che si possiede) che consente il dono; il rischio e la benedizione del donare (dare tutto ciò che si possiede espone alla morte, ma diviene fonte di vita); il vero dono non è dono di qualcosa, ma simbolizza il dono di sé, il dono della vita. In quest’ottica, anche la seconda lettura, che parla dell’offerta che Cristo ha fatto di sé una volta per tutte, può rientrare nell’unità del messaggio delle letture di questa domenica” (Luciano Manicardi).

Focalizziamo la nostra attenzione sul brano del Vangelo che si articola in due parti: la prima in cui si descrive come non dovrebbero essere coloro che si mettono alla sequela di Cristo, l’altra in cui viene proposto un esempio di cristiano. 

Gesù addebita agli scribi, esperti delle sacre scritture, tre difetti che si manifestano nel loro stile di vita: la superbia, l’avidità e l’ipocrisia. Dice che a loro piace “passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti”; essi nascondono falsità e ingiustizia, nei confronti particolarmente degli indifesi come le vedove e gli orfani: “divorano le case delle vedove, e pregano a lungo per farsi vedere”. Tali atteggiamenti si riscontrano anche oggi in noi credenti cristiani “ad esempio, quando si separa la preghiera dalla giustizia … o quando si dice di amare Dio, e invece si antepone a Lui la propria vanagloria, il proprio tornaconto” (Papa Francesco, Angelus, 8 Novembre 2015).

Gesù non ha indossato vesti sontuose per essere riconosciuto al suo passare ma è rimasto spesso in incognito per non attirare le folle; non ha occupato i primi posti nelle sinagoghe se non per spiegare la Parola di Dio; non ha sfruttato le vedove, ma ha cercato di lenire le loro sofferenze (cf. Lc 7,11-15); ha certamente partecipato alla liturgia del suo popolo, ma amava pregare nella solitudine (cf. Mc 1,35) per vivere l’ascolto del Padre e la comunione con Lui; non ha cercato posti di riguardo nei banchetti ma ha accettato l’invito dei peccatori per narrare l’infinita misericordia di Dio verso di loro, a costo di scandalizzare proprio scribi e farisei i quali dicevano di lui: “Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19)” (cfr. Enzo Bianchi).

Nella seconda parte del Vangelo, la scena è ambientata nel tempio di Gerusalemme, precisamente nel luogo dove la gente gettava le monete come offerte. “Seduto di fronte al tesoro osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo”: nei comportamenti semplici e quotidiani, Gesù legge l’intenzione più profonda del cuore (cfr. Gv 2, 25) e giudica non secondo le apparenze ma in verità (cfr. Gv 7, 24), poiché è capace di vedere altrimenti ciò che tutti vedono, grazie a uno sguardo altro sulla realtà, uno sguardo secondo il sentire di Dio. E così può dire ai discepoli: “Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo, lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Ha offerto “tutta la sua vita”, ha donato tutta se stessa senza cercare di attirare l’attenzione e si è abbandonata a Dio fiduciosa, come la vedova di Zarepta rimasta senza cibo per sfamare Elia, uomo di Dio (cfr. 1 Re 17, 10-16). 

Papa Francesco dice a riguardo: “nella sua povertà ha compreso che, avendo Dio, ha tutto; si sente amata totalmente da Lui e a sua volta lo ama totalmente. Che bell’esempio quella vecchietta!”. (Angelus, 8 Novembre 2015).

Avviandosi verso la sua morte, conclusione di una vita donata liberamente a Dio e ai fratelli, Gesù insegna, ieri ai suoi discepoli e oggi a noi, a fare altrettanto. 

“Quanto più Vangelo ci sarebbe se ogni discepolo, se l’intera Chiesa di Cristo si riconoscesse non da primi posti, prestigio e fama, ma dalla generosità senza misura e senza calcolo, dalla audacia nel dare. Allora, in questa felice follia, il Vangelo tornerebbe a trasmettere il suo senso di gioia, il suo respiro di liberazione” (E. Ronchi).

Buona Domenica!

   Francesco Savino