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Ordinazione presbiterale don Carlo Russo, omelia e fotogallery


Ordinazione don Carlo Russo

(30 Dicembre 2014)

La prima lettura ascoltata è chiaramente composta da due parti. Nella prima è evidente la fiducia che Giovanni nutre nei confronti dei suoi interlocutori; una fiducia che lui fonda sulla conoscenza che ha dei giovani e dei padri ai quali si rivolge: voi – dice loro – siete persone che hanno fatto esperienza del peccato e del perdono; siete gente che sulla forza della Parola ascoltata e del Dio che vi ha parlato avete combattuto nella vostra vita.

Ma il fatto che Giovanni nutra fiducia nei destinatari della sua lettera non lo esime, nella seconda parte, dal metterli in guardia dai pericoli che possono trovarsi ad affrontare e che possono diventare strada per perdersi.

Vi confesso che, riflettendo e pregando sulle letture di questa celebrazione, mi sono sentito nella stessa condizione dell’autore della prima lettura.

Un Vescovo che ordina un Diacono o un Presbitero lo fa perché ha fiducia in loro. In questo caso, una fiducia che ho voluto fosse supportata dal Consiglio del Collegio dei Consultori e da quella di chi ha conosciuto Carlo in questo periodo di formazione. Io stesso ho più volte incontrato Carlo, soprattutto nel periodo di permanenza sua nella Comunità vocazionale, fino a sabato scorso, quando ho voluto trascorrere con lui qualche ora, pregando e celebrando anche insieme.

Prima però di invocare lo Spirito di Dio su di te e prima di importi le mani, caro Carlo, sento il bisogno di accompagnare questo atto di fiducia con le stesse parole che Giovanni ci ha consegnato nella seconda parte della sua lettera. «Non amare il mondo, né le cose del mondo…..perché tutto quello che è nel mondo … non viene dal Padre, ma viene dal mondo».

Non so cosa provoca in voi, non so cosa provoca in te, Carlo, questa raccomandazione appassionata di Giovanni. Parlo prima di tutto a me, poi a te, ai confratelli sacerdoti e a tutto il popolo di Dio. E voglio farlo guardando alla Chiesa ed al modo in cui deve stare nella Chiesa un Presbitero.

«Non amate il mondo». È ovvio che qui Giovanni assume il termine mondo nel senso di una realtà segnata dal peccato, dalla cupidigia, dall’invidia, dalla prevalenza dell’apparire sull’essere. E, se questo è il mondo da cui dobbiamo guardarci, allora ce n’è veramente per tutti! E, se permettete, Papa Francesco questo sta dicendo con forza alla nostra Chiesa, in particolare a noi Sacerdoti e Vescovi. Che ci piaccia o no! Non amate – ci sta dicendo – lo stile del mondo! E di stile mondano – quello che Paolo VI chiamava il “fumo di Satana” – nella Chiesa ce n’è. Lo dico con tanto dolore. Ed è uno stile molto difficile da vincere perché porta, spesso, i colori ed il sapore del sacro, meglio della falsa sacralità.
Mi chiedo e vi chiedo: Viviamo o non viviamo lo stile del mondo quando l’esteriorità prende il sopravvento sulla sostanza delle cose?

Qualche esempio: parole sicure, roboanti e di ferma condanna nelle nostre prediche, senza aver fatto un minimo di esame di coscienza su di noi e sul modo in cui noi viviamo quelle parole. Non è che noi dobbiamo predicare solo quello che noi viviamo! Ci mancherebbe altro! Ma attenti a non mettere sugli altri, e con spietata arroganza, pesi che noi non riusciamo a portare.

«Non amate lo stile del mondo».
Mi domando e vi domando: Viviamo o no lo stile del mondo quando, ad esempio, la nostra preoccupazione non è la formazione seria del popolo di Dio o non sono i poveri ed i loro bisogni, e ci attardiamo invece a spendere eccessivamente per noi, per suppellettili appariscenti (a volte solo chincaglieria sacra!)?.
È o non è stile mondano quello di una pastorale che si accontenta dell’esistente e non accetta di schiodarsi da modi di fare che oggi non trasmettono il Vangelo ma trasmettono soltanto fisime senza contenuti?

Com’è bella la figura che si staglia umile ma solenne nel tempio di Gerusalemme! Mi riferisco alla di una donna: Anna. Di lei non si dice come vestiva. Si mettono in rilievo le caratteristiche che ogni credente deve coltivare.
Anna è una donna provata dalla vita: era rimasta vedova molto presto. Ma è una donna serena e che non ha perso la capacità di guardare alle cose e alle persone con gli occhi di Dio. Tant’è che Luca dice di lei «non si allontanava mai dal tempio. Servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere».

Sì, è la vicinanza al Signore il segreto di ogni vita Sacerdotale. Il prete che prega davvero innanzitutto ha capacità, come Anna, di vivere sereno e di leggere la storia con gli occhi di Dio. Il prete che prega capisce la fatuità di certe forme esterne che non trasmettono contenuti.
Non ci vuole un Vescovo o qualche rivelazione speciale per capire che dalla preghiera nasce una pastorale attenta ai bisogni degli ultimi. Non ci vuole un Vescovo per dire che una pastorale ridotta alla sacramentalizzazione è mortificante per un prete e per una Comunità cristiana matura. Non ci vuole il Vescovo per spingere un Sacerdote per strada ad evangelizzare, basta la preghiera per avvertire questo bisogno. Non ci vuole un Vescovo per dire a un prete che le persone vanno rispettate nelle relazioni, che non sono nostri sudditi e che noi non siamo stati messi lì per comandare. É finito – e per fortuna! – il tempo dei satrapi! Non è stile sacerdotale quello di chi, esplicitamente o implicitamente, afferma: il Parroco sono io e qui comando io. Queste affermazioni appartengono solo a chi non prega e a chi il Vangelo lo ha ridotto a un paravento per dare sfogo alle proprie frustrazioni.
Nella preghiera, e solo nella preghiera capiamo che siamo chiamati a servire e non a farci servire.

L’augurio allora che faccio a te, Carlo, e che estendo a me e a tutti i Presbiteri è uno solo: che tu e noi possiamo essere uomini di preghiera; uomini che dall’incontro con il Signore fanno discendere il proprio stile sacerdotale e non da fissazioni che nulla hanno di evangelico.
A voi, fratelli e sorelle carissimi, chiedo di accompagnarci con il vostro affetto e con la vostra preghiera in questo itinerario di conversione.

✠ don Nunzio

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