Omelie

V Domenica di Pasqua 29 Aprile 2018


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29  Aprile  2018

  Nella V, VI e VII Domenica di Pasqua leggiamo passi del “discorso di addio” del IV Vangelo (Gv 13-17).

Quest’oggi abbiamo ascoltato che Gesù rivela se stesso, mostra la propria identità e, insieme, la sua relazione con Dio Padre e con i discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore […] Io sono la vite, voi i tralci”. 

Nell’Antico Testamento si faceva riferimento al popolo di Dio con la metafora della “vite” (cfr. Sal 80; Is 5,1; 27,2-5): Israele era il popolo scelto e piantato da Dio nella terra promessa, Dio era il padrone della vigna, legato ad essa da un rapporto di amore, cura e attenzione, desiderava vedere la sua vigna crescere e diventare feconda. 

Con Gesù e dopo la sua resurrezione, la vigna non è più il popolo di Dio ma una Persona, Gesù, il Figlio di Dio. Egli è la vite nella quale tutto il popolo di Dio è incorporato perché viva.

Si intende così “l’identità dei discepoli, coloro che sono alla sequela di Gesù Cristo, totalmente coinvolti nella sua vita e nel suo destino. Essi sono tralci e, in quanto tali, devono rimanere attaccati alla vite per riceverne la linfa: questa non è solo la condizione necessaria per portare frutto, ma è questione di vita o di morte […] Sì, il discepolo di Gesù non è colui che si limita a conoscere il suo insegnamento, ma è colui che rimane saldamente legato a lui in un rapporto di amore, in un radicale coinvolgimento di vita.” (E. Bianchi).

Il verbo “rimanere, dimorare” definisce la relazione di Gesù con i suoi discepoli: coloro che vivono con perseveranza in Lui, fino a fissare in Lui la propria abitazione e a dimorare nella Sua Parola (cfr. Gv 14, 23-24), ad abitare il Suo amore (cfr. Gv 15, 9-10), ad affermare “io e Gesù viviamo insieme!” (cfr. Gal 2, 20).

Senza la circolazione di vita che da Dio, il Padre, scende in Gesù e da Gesù in noi, la vita cristiana diventa pratica religiosa e, dunque, “scena mondana” (cfr. 1 Cor 7, 31). Senza il legame personale con Gesù Cristo, non possiamo fare nulla e quanto professiamo è ipocrisia: ci diciamo cristiani e non lo siamo.

La circolazione di vita tra “la vite e i tralci”, tra Gesù e noi, inizia con il Battesimo. “Innestati con il Battesimo in Cristo, abbiamo ricevuto da Lui gratuitamente il dono della vita nuova; e possiamo restare in comunione vitale con Cristo. Occorre mantenersi fedeli al Battesimo, e crescere nell’amicizia con il Signore mediante la preghiera, la preghiera di tutti i giorni, l’ascolto e la docilità alla sua Parola – leggere il Vangelo -, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente all’Eucaristia e alla Riconciliazione” (Papa Francesco, Regina Coeli, 3 Maggio 2015).

Sentirsi tralcio della “vite” che è Cristo è l’esperienza affascinante di chi sa di essere a cuore del vignaiuolo, il Padre, il quale pota qualche ramo secco perché porti frutti in abbondanza. Siamo chiamati a portare frutto anche a nome della “vite”.

Essere discepoli di Gesù è un itinerario che non si conclude mai. Lo aveva inteso Sant’Ignazio di Antiochia, padre della Chiesa, che, solo al termine di una lunga vita, mentre si avviava al martirio, osò scrivere: “Ora comincio a essere discepolo di Cristo”.

Verifichiamo se la nostra adesione a Gesù Cristo è ipocrisia o incorporazione autentica in Lui.

Buona Domenica!

   Francesco Savino