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Corpus Domini, l’Omelia del Vescovo: “Dove vuoi che andiamo a preparare la cena di Pasqua? … Andate in città!”


corpus_dominiOmelia Solennità del Corpus Domini
7 Giugno 2015 – Basilica Cattedrale Cassano Allo Ionio

“Dove vuoi che andiamo a preparare la cena di Pasqua? … Andate in città!”

Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”, chiedono i discepoli a Gesù.

Prima del suo arresto, della sua morte in croce, Gesù vuole celebrare la Pasqua con i suoi discepoli, e, nel primo giorno della festa dei pani àzzimi, affida a due discepoli il compito di preparare l’occorrente per la cena pasquale. È consapevole che il tempo della sua vita terrena si è fatto breve: i “poteri forti” messi da lui in discussione hanno deciso di eliminarlo, non può fidarsi neppure di tutti i suoi discepoli, perché uno l’ha già tradito (cfr Mc 14,10-11). Predispone ogni cosa perché quella cena possa esserci ma agisce con molta circospezione. “Per questo i due discepoli da lui inviati devono incontrare un uomo che porta una brocca d’acqua (cosa insolita, perché erano le donne a svolgere tale operazione, ma questo è il segno convenuto), devono seguirlo fino ad una casa dove costui indicherà loro la camera alta, la sala al piano superiore già arredata e pronta, in cui predisporre tutto per la cena. Occorre preparare il pane, il vino, l’agnello, le erbe amare, per ricordare in un pasto l’uscita di Israele dall’Egitto, la liberazione dalla schiavitù, la nascita del popolo appartenente al Signore” (cfr. Enzo Bianchi).

E nell’ora della cena Gesù compie dei gesti e dice alcune parole sul pane e sul vino. Rompe il rituale, trasgredisce. Va oltre lo schema previsto della cena ebraica. Prende il pane àzzimo che è sulla tavola, pronuncia la benedizione e il ringraziamento a Dio per quel dono, e quindi lo spezza e lo porge ai discepoli.

Qui è la novità!

Gesù non spezza nessuno, spezza se stesso; non chiede sacrifici, sacrifica se stesso; non versa la sua ira, ma versa “sui molti” il proprio sangue, santuario della vita” (E. Ronchi).

Il gesto dello “spezzare il pane” già nella tradizione profetica significava condividere il pane con i poveri, i bisognosi e gli affamati (cfr. Isaia 58,7). Il primo nome dato all’Eucarestia dai cristiani delle origini è, infatti, “frazione del pane” (cfr. Lc 24, 35; At 2,42; 20,7; Didachè 9,3).

Le parole che Gesù pronuncia, accompagnando il gesto, “Prendete, questo è il mio Corpo”, vogliono significare che Gesù dona tutta la sua persona ai discepoli che, mangiando quel “pane-corpo” diventano una sola cosa con lui e tra di loro. È qui il vero fondamento e la ragione di fondo di una Chiesa che è comunione ed è chiamata a vivere nella comunione.

Se l’uomo è anche “ciò che mangia”, i discepoli mangiando il “pane-corpo” realizzano una fusione totale con il Maestro e questo accade anche a noi con il Risorto tutte le volte in cui ci raduniamo per celebrare l’Eucarestia.

Qui è la nostra identità di credenti e di Chiesa; questo è il criterio di ogni verifica.

Il Cristianesimo non è soltanto la “religione del libro” ma è, soprattutto, la “religione del dono di un Corpo” che è Gesù, il Risorto. E in questo Corpo, come nella sua Parola, la Sua presenza, nello Spirito, è per sempre.

Gesù prende anche il calice tra le sue mani e dichiara: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, che è sparso per le moltitudini”. Qui Gesù vuole portare a compimento l’alleanza tra Dio e Israele sancita sul monte Sion, quando, con il sangue delle vittime del sacrificio, Mosè asperse l’altare, trono di Dio, e il popolo riunito in assemblea, dicendo: “Questo è il sangue dell’alleanza” (cfr. prima lettura – Es 24, 6).

L’alleanza che Gesù stipula con il dono della sua vita non riguarda più un popolo, ma è un’alleanza universale, per le “moltitudini” (cfr. Concilio Vaticano II, AG 3).

Ora, radunati in questa festa del Corpus Domini, gli chiediamo come i due discepoli: “Dove vuoi che prepariamo oggi l’Eucarestia?” e lui risponde anche a noi: “Andate in città”.

Ancora una volta il verbo che ci viene consegnato e quindi da coniugare nella nostra vita personale e di comunità ecclesiale è il verbo “andare”. Siamo chiamati ad andare per le strade dei nostri paesi, delle nostre città e a “spezzare il pane” celebrato nella liturgia, ad andare incontro agli altri, uscendo da noi stessi, dal nostro egoismo e “versare il sangue”, dando la vita.

Eucarestia celebrata è vita condivisa!

Senza Eucaristia”, sostiene Madre Teresa di Calcutta, “non potrei vivere un solo giorno. E senza Eucaristia non potrei portare l’amore ai poveri”.

San Giovanni Crisostomo, ci aiuta a riflettere con la sua annotazione: Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio Corpo», confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25, 42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura… Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla Geenna, al fuoco inestinguibile.

La festa del Corpus Domini ci aiuti a saldare il “cielo e la terra”, Eucaristia e strada, altare e storia.

+ don Francesco
vescovo

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Foto gallery di Aldo Jacobini