Omelie

III DOMENICA DI PASQUA


At 5, 27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19

Domenica  1  Maggio  2022

Il Vangelo di questa III Domenica di Pasqua racconta la terza apparizione di Gesù risorto ai discepoli, sulla riva del lago di Galilea, con la descrizione della pesca miracolosa.

Il racconto è collocato nella cornice della vita quotidiana dei discepoli, tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, dopo i giorni sconvolgenti della passione, morte e risurrezione del Signore. Era difficile per loro comprendere ciò che era avvenuto, malgrado più volte Gesù lo avesse in qualche modo anticipato, e mentre tutto sembrava finito, è ancora Gesù a “cercare” nuovamente i suoi discepoli. È Lui che va a cercarli. “Come è evidente che l’iniziativa è tutta di Dio, come è evidente che i discepoli non hanno fatto nulla, non sono stati loro a tornare a Gesù…È Lui che mangia con loro, è Lui, è il Signore che prende l’iniziativa, come è bello che sia Lui che prende l’iniziativa, come è bello che la testimonianza dei suoi, la testimonianza di quelli, come diceva Pietro, di quelli che Lui ha scelto, di quelli che Lui ha prescelto, come è bello che questa testimonianza è solo il riflesso, è solo lo stupore, è solo il riconoscimento di Lui, di Lui che si fa vedere, di Lui che si fa toccare, di Lui che mangia con loro come tante volte aveva mangiato con loro,(Omelia di don Giacomo Tantardini, 4 aprile 2010).” Questa volta li incontra presso il lago, dove loro hanno passato la notte sulle barche senza pescare nulla. Le reti vuote appaiono, in un certo senso, come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, avevano lasciato tutto per seguirlo, pieni di speranza… e adesso? Sì, lo avevano visto risorto, ma poi pensavano: “Se n’è andato e ci ha lasciati… È stato come un sogno…” (cfr. Papa Francesco, Regina Coeli, 10 Aprile 2016).

“Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «figlioli non avete nulla da mangiare?»”. Gesù risorto si presenta come un mendicante che chiede qualcosa da mangiare per sostenersi. Probabilmente i discepoli avevano sentito questa richiesta altre volte sulle strade della Palestina. La loro risposta è perentoria: “No. Non c’è stata pesca e quindi non c’è cibo”.

Quell’uomo, il risorto non riconosciuto, continua: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Meravigliati, “la gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci”. I discepoli sono stupiti per la pesca abbondante, straordinaria. Mentre sono “catturati” dallo stupore, il discepolo che Gesù amava, che aveva avuto una intimità speciale con Gesù, fino a posare il capo sul suo petto nell’ultima cena, discerne qualcosa di più. A questo proposito Enzo Bianchi annota: “L’amore passivo di cui aveva fatto esperienza lo rendeva dioratico, uomo dall’occhio penetrante, uomo capace di vedere con il cuore e non solo con gli occhi. Ecco perché, indicando con il dito Gesù, può gridare: “È il Signore!” (ho Kýriósestin). Attenzione: lo dice a Pietro, indicando quell’uomo sulla spiaggia e rivelandogli ciò che egli non era stato in grado di vedere. Pietro non esita un istante e nel suo entusiasmo pieno di desiderio di essere con il Risorto si tuffa subito in acqua per raggiungerlo a nuoto”.

Possiamo affermare che nel IV Vangelo, tra il discepolo amato e Pietro c’è una specie di “santa concorrenza”, che non è fatta di gelosia perché i due discepoli sono diversi e il loro rispettivo rapporto con Gesù è diverso.

“Nell’ultima cena Pietro sta dopo il discepolo amato presso Gesù e a lui, che è abbracciato a Gesù, sul suo petto, deve chiedere di informarsi su chi è il traditore (cfr. Gv 13,24-25). E il discepolo amato, ricevuta da Gesù la risposta, non dice nulla a Pietro (cfr. Gv 13,26). Poi nell’alba della resurrezione, informati da Maria di Magdala, Pietro e il discepolo amato corrono insieme al sepolcro, ma questi arriva primo (cfr. Gv 20,3-4). Lascia entrare Pietro nel sepolcro (cfr. Gv 20,5-7), ma è lui che “vide e credette” (Gv 20,8), mentre Pietro è annoverato tra quelli che “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv 20,9). Il discepolo amato precede Pietro nel discernimento, nella conoscenza, nella fede, e tuttavia riconosce sempre che nell’ordo della vita comunitaria Pietro è il primo per volontà di Gesù!” (Enzo Bianchi).

“Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce”: Gesù anche da risorto resta colui che serve a tavola, che prepara il cibo e lo distribuisce.

Come è significativo l’invito di Gesù risorto che dice: “Venite a mangiare!”, e nessuno obietta o replica perché è sufficiente sentire la sua presenza, notare il suo stile nello spezzare il pane e nel porgere il cibo per riconoscerlo come il Crocifisso Risorto.

Finito di mangiare Gesù inizia un dialogo, di una bellezza unica con Simon Pietro:

Simone, figlio di Giovanni, mi ami (verbo agapáo) tu più di queste cose?”.

Gli rispose: “Sì, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (verbo philéo)”.

Gli disse: “Sii il pastore dei miei agnellini”.

Gli disse di nuovo, per la seconda volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami (verbo agapáo)?”.

Gli rispose: “Sì, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (verbo philéo)”.

Gli disse: “Sii il pastore dei miei agnellini”.

Gli disse per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene (verbo philéo)?”.

Pietro si rattristò che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene (verbo philéo)?”,e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene (verbo philéo)”.

Gli rispose Gesù: “Sii il pastore dei miei agnellini.

Notiamo con attenzione “il gioco dei verbi greci. La terza volta Gesù non chiede più a Pietro: “Mi ami?” (verbo agapáo), ma, come aveva risposto Pietro per due volte, gli chiede: “Mi vuoi bene?” (verbo philéo). A Gesù basta l’amore umano di Pietro, la sua capacità di volere bene: verrà il giorno – glielo dice subito dopo – in cui Pietro saprà vivere l’amore, l’agápe fino alla fine (eistélos: Gv 13,1), fino al dono della vita nel martirio, ma non ora… Pietro, dal canto suo, appare grande perché umile, perché non pretende di dire: “Io ti amo”, con quell’agápe che scende solo da Dio. C’è qui tutta la grandezza di Pietro, che rinuncia a essere protagonista di quell’amore che solo Dio può donare. Il Pietro che era stato presuntuoso (“Darò la mia vita per te!”: Gv 13,37), il Pietro che era sempre così sicuro ed entusiasta da voler fare più di quanto Gesù gli chiedeva (“Signore, lavami non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!”: Gv 13,9), ora è il Pietro anziano, maturo spiritualmente, umile perché è stato umiliato, senza pretese, perché ha compreso di essere una roccia fragile, che al primo spirare del vento affondava… Per lui la vita è stata tutta una lezione, ma proprio per questo può essere il pastore di agnelli e di pecore sperdute” (Enzo Bianchi).

A Pietro spetta seguire Gesù! Infatti l’ultima parola che Gesù rivolge a Pietro è come la prima: “Seguimi” (cfr. Gv 1, 42-43).

Questa è la sequela di Gesù, seguirlo con tutto se stesso, anche con i propri limiti, le proprie fragilità morali, senza sfuggire.

La vita cristiana è sequela di Gesù, nella consapevolezza che “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” (Giovanni della Croce).

Allora, riflettendosi quella presenza, viviamo di gloria in gloria trasfigurati, allora qui, qui inizia il Paradiso anche sulla terra, anche per noi, poveri peccatori, inizia la grazia della santità e la grazia della vita eterna” (Ibidem, omelia 2010)

Buona Domenica.

   Francesco Savino