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“Il Potere, la Speranza e il Seme”, riflessione del Vescovo Francesco sul tempo che stiamo vivendo


Il Potere, la Speranza e il Seme

Carissimi sorelle e fratelli,

il don Camillo di Guareschi pone una domanda essenziale che sentiamo anche nostra soprattutto nel frangente di vita che stiamo attraversando: 

“Don Camillo spalancò le braccia [rivolto al crocifisso]: ‘Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?’.

‘Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?’.

‘No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne […] Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?’.

Lo sgomento che stiamo incontrando, la resistenza a fidarci delle regole proposte, anche dalla Santa Chiesa, l’esodo di massa verso le nostre terre che abbiamo vissuto in questi giorni, ci rivelano quanto questa vita sia abitata dalla paura, e quando la paura invade il cuore non lascia spazio all’amore o all’altruismo.

Non è l’ennesimo discorso che il Vescovo deve fare al suo popolo per rialzarne l’umore o per addolcirne le pene che ognuno per sé e per i propri cari sta vivendo in questi giorni con grande intensità, poiché ignoto è il male che si è palesato. E’ solo il tentativo di riflettere insieme con voi su ciò che sta minando le nostre pseudo sicurezze quotidiane, accumulate nel corso di questi ultimi due secoli.

Che pretesa è per l’uomo di questo tempo immaginare di aver compreso tutto nel piccolo ambito della sua conoscenza? Che pretesa è quella di poter controllare con i propri potenti mezzi tutto, ma proprio tutto, compresi i timori, le ansie, le speranze, il proprio destino e quello di tutto il mondo?

Come sempre un imprevisto fa saltare i presunti meccanismi perfetti di una società per sua natura e condizione imperfetta. Un virus sconosciuto, un piccolissimo virus ha sconvolto i piani del mondo intero, e potrebbe vincere non sui corpi che a loro modo cercano e trovano il fattore di resistenza, ma su tutto l’effimero sistema di benessere che soprattutto l’Occidente ha pensato di creare.

L’economia barcolla e le borse impazziscono, la noia dell’isolamento ci fa tremare, la mancanza di relazioni, finora paradossalmente esaltata dall’uso indiscriminato di Internet e dei social, ci spaventa, il divieto di toccarsi, di baciarsi e di abbracciarsi ci proietta in un mondo robotico che non ci appartiene.

Voglio, allora, provare con voi ad ipotizzare un percorso che mai come ora non può ritenersi soltanto un sogno, dato le nuove formule che si stanno sperimentando sia a livello educativo che lavorativo finora ritenute impensabili.

Se riuscissimo a invertire tutto il processo? Se dicessimo con Abramo Lincoln “Possiamo lamentarci perché i cespugli di rose hanno le spine, o gioire perché i cespugli spinosi hanno le rose”?

Proporre, come Papa Francesco va auspicando da tempo, un’economia di comunione dove il profitto dei singoli non la fa da padrone, ma reinventa il sistema in una logica di solidarietà e di equa distribuzione in modo tale da non soccombere alle variabili non prevedibili; riscoprire lo spazio del silenzio come accoglienza di sé, della propria interiorità chiamata a vette elevate perché ad immagine di Colui che l’ha voluta; tornare a guardarsi oltre uno schermo menzognero virtuale, tornare a parlarsi perché innanzitutto volti, carne e sangue, votati a costruire famiglie, nuclei, società; limitare un certo tipo di fisicità per imparare la distanza dal possesso, che è il male più evidente di questo nostro tempo e imparare ad abbracciarsi solo per sentirsi interi come diceva l’indimenticabile Alda Merini.

Cosa voglio dirvi, carissimi amici e amiche? Che malgrado il realissimo sconforto che ci prende in questi momenti duri per tutti, per chi c’è già dentro e per chi potrebbe esserci, dobbiamo accettare la carezza del Nazareno. Accettarla, perché da soli non possiamo andare da nessuna parte. La Sua carezza ha un solo contagio: un amore senza limiti e una speranza ineffabile. La speranza fa respirare, dà ossigeno alla vita e al cuore e da qui, dal sentirsi amati e mai abbandonati, nemmeno nel buio più pesto, nasce anche la responsabilità e l’attenzione per l’altro.

Possono bombardarci di messaggi tecnici, ma se non accade qui ed ora che io avverta il mio destino legato a quello dell’altro, del più caro come dell’ultimo di questa terra, non sarà possibile vincere il “nemico” e ricominciare più forti di prima.

C’è un sistema immunitario del cuore che va rafforzato ancor prima di quello fisico, perché tutte le terapie olistiche lo evidenziano: un corpo si ammala se si ammala l’anima.

“Per non amare il proprio prossimo, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie. Dinanzi a tanto grido di miseria.

Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia. È la fede che è facile ed è non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è facile ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile… E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.”(C. Péguy)

Come vostro Pastore desidero ricordarvi che la vita di ciascuno di voi è una grande grazia ricevuta e mi sta particolarmente a cuore. Per questo non smetterò in questi giorni di pregare per tutti e per ciascuno, unendomi spiritualmente con ognuno e continuerò come posso, e come le attuali indicazioni permetteranno, a starvi vicino.

Siamo stati afferrati da Cristo e consegnati ad un luogo che ci aiuta a fare memoria di questo immenso dono che ha reso la nostra vita più umana, più vera.

Auspico, dunque, che le chiese particolari, le parrocchie, le associazioni, i movimenti, possano farsi carico di un sostegno concreto alle vostre ansie e alle vostre attese.

Cosa, dunque, possiamo fare?

“Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura” (Don Camillo e don Chichì, Tutto Don Camillo. Mondo piccolo)

Vi benedico.
Cassano allo Ionio, 13 marzo 2020

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