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Lettera di Mons. Francesco Savino ai politici “Per un Natale della democrazia nella nostra terra”


 

Per un Natale della democrazia nella nostra terra

 

La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è

un bene delicato, fragile, deperibile,

una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati,

attraverso la responsabilità di tutto un popolo.

Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia

non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico.

 È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne.

 È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli.

È pace.

Tina Anselmi.[1]

 

Alle donne e agli uomini delle Istituzioni Politiche della Diocesi di Cassano all’Jonio

 

Carissime e Carissimi,

quest’anno godiamo tutti finalmente di questo tempo ritrovato con ciascuna e ciascuno, che fa della presenza un esserci, un abitare qui ed ora, un ritrovarsi dopo aver a lungo assaggiato l’amarezza del distanziamento sociale.

Buon Natale!

Inizio rivolgendovi subito questo augurio perché il Natale, al di là di strenne e luci, è un annuncio di gioia per credenti e non credenti. E come tale spero arrivi ai vostri cuori. Pur condividendo i sentimenti natalizi che ci àncorano a quella parte di noi bambina, lasciatemi dire che mi abita, una silenziosa sofferenza che turba il mio sonno ed alimenta la mia inquietudine e cioè il pensiero che, anche quest’anno, vivremo un Natale da diseguali.

Ho desiderato “aprirvi la porta di casa” immaginandovi a vostro agio con questo pensiero di Tina Anselmi, come fra mura domestiche. La sua vita ed il suo impegno di donna delle Istituzioni (ma sarebbe ugualmente corretto dire di donna e basta) possa rappresentare per voi un mandatum novum per questo Natale, un nuovo comandamento, la testimonianza della storia della passione politica. E la storia, dice la Anselmi, dovrebbe insegnarci che la democrazia è delicata, deperibile e fragile, costantemente a rischio perché facilmente corruttibile.

Mi assale una profonda tristezza perché mi sembra che, a volte,  smettiamo di essere uomini e donne esigenti, cristiani coerenti, laici rigorosi, favorendo dinamiche improduttive ed inquinate che opacizzano la trasparenza del Servizio a cui siamo chiamati. Uso il plurale perché anche io mi sento parte della storia politica dei nostri territori e perché come suggeriva il Card. Carlo Maria Martini: “(…) faccio politica perché sono persona umana… corresponsabile del divenire storico del cosmo; la faccio da cristiano perché Cristo ha redento tutto ciò che è umano e all’uomo appartiene”. Ed anche perché il Natale è nato all’ombra di una doppia politica: quella espansionista  e violenta dell’imperatore romano e quella salvifica, nonviolenta e liberante di Dio. Il Natale ci chiede da che parte stare!

Tutti sanno che Gesù nasce a Betlemme non perché l’hanno deciso i suoi genitori, ma perché l’ha deciso l’onnipotente imperatore di Roma, Augusto. “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2,2-6). Augusto sembra determinare tutto del Natale ma del Natale non sa nulla. Voi sapete che alla politica non si arriva per una specifica preparazione culturale, non con un eccellente curriculum studiorum ma (e purtroppo questo è forse il più grande debito che abbiamo nei confronti della democrazia) con il consenso popolare che legittima all’esercizio del potere. Forse è per questo motivo che la politica conserva sempre un grande fascino, anche quando fa soffrire. Mi piacerebbe che recuperassimo tutti l’anima viva della politica (quella delle scuole di partito, dell’associazionismo sano, del movimentismo senza tessera ma di appartenenza alla gente) per farla diventare una politica nuova: popolare e non populista, che si alimenti dal basso e tuttavia recuperi lo studio, che abbia a cuore il favore del popolo, la ricomposizione delle fratture sociali, e che si ispiri a forme di Welfare comunitario di cui non c’è traccia nel racconto del Natale. “Non c’era posto per loro”. Esiste una pubblica necessità che pone l’attenzione, in primis, sulla natura degli attori che danno vita alle reti sociali in  cui si compie la nostra vita.

Di queste aspirazioni voi siete chiamati ad essere i realizzatori, ispirandovi alla politica di Dio, che mai come il Natale dispiega davanti a tutti, cristiani e non cristiani, ma tutti credenti almeno nell’umano e nell’umanizzazione della società, che ogni politica deve sempre favorire e mai accantonare. La vostra credibilità politica può infatti stimolare anche i privati ad operare in maniera orizzontale sui territori, creando delle esperienze protese a far camminare insieme i vari strati del tessuto sociale e sviluppare servizi integrativi dell’azione pubblica. Perseguire la strada del Secondo Welfare significa creare attività sussidiarie allo Stato e non sostitutive allo stesso, attraverso forme generative di welfare aziendale,  volontariato progettuale del Terzo Settore, impegno delle Fondazioni ed anche azioni promosse dalle risorse stanziate dalle Regioni, dall’Europa e dagli stessi comuni.

Coerenti sul piano di una politica che umanizza e non avvelena il sociale e l’ecosistema, a partire dal mondo intorno a noi, vi si chiede una condivisione diffusa anche da parte dei cittadini, che dovrete convincere con fatti concreti e scelte coerenti, perché non tutti i risultati sono possibili con la sola mano pubblica. L’alternativa alla mano pubblica non può essere infatti quella criminale. Se il Natale ci mostra la partecipazione di Dio alla nostra vicenda umana, la partecipazione coinvolgente delle nostre comunità è il miglior modo per esprimere la carità in politica.  L’amore per il prossimo e per la casa comune significa investire in talento, volontà, tempo e cura, realizzando forme di Welfare Community oggi più che mai urgenti, specialmente per noi Calabresi afflitti dalla questione meridionale, per tentare di risanare la contrazione del nostro prodotto interno lordo. Ripensare al Welfare in chiave territoriale vuol dire agire secondo una sussidiarietà circolare (cogliendo anche l’invito di Papa Francesco) che non sia una soluzione a somma zero ma una soluzione in cui tutte le parti ci guadagnano; vuol dire istituzionalizzare la rete tra il singolo ed i collettivi, ognuno con propri compiti e responsabilità ma il cui fine ultimo sia sempre la produzione di benessere comunitario. Uno dei maggiori vantaggi di questa forma sussidiaria di Welfare attiene sicuramente alla possibilità di captare i rischi sociali che i territori ben colgono (e ben prima), proprio in virtù del legame saldo con la comunità e al poter essere una forma di prevenzione sociale rispetto a possibili povertà potenziali o temporanee. Questo ci chiede la gente onesta, la maggioranza silenziosa e affaticata del nostro popolo, coloro che in mezzo a noi sono come Maira e Giuseppe: i giusti, i semplici, coloro che possono cambiare il mondo più dell’imperatore. Ce lo chiedono i poveri, ce lo chiede quella fascia sociale di vulnerabili che ha possibilità di accesso limitate alle risorse lavorative e quindi si aliena dal tessuto relazionale e sociale, determinando una nuova dimensione della disuguaglianza che conduce irreversibilmente all’esclusione sociale. Non c’è che una sola alternativa: fare comunità, e ciò vuol dire conoscersi e riconoscersi nel bisogno dell’altro, anticiparlo e sostenerlo, determinare una risoluzione. Non è un caso che tra le strategie dell’Agenda europea 2020, vi sia una formula che dice pressappoco così: ricercare nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato e sfruttare il potenziale dell’economia sociale ed individuare forme più efficaci ed efficienti di inclusione sociale basandosi sulle esperienze.

In forza di questa riflessione sull’impostazione di una politica che coglie il meglio della politica di Dio, lieto annuncio del Natale, vi chiedo: quanto impegno vogliamo dedicare allo sviluppo di politiche per il lavoro? Di politiche per lo sviluppo e l’occupazione? Quanto vogliamo supportare quei giovani che decidono di investire il proprio talento nei nostri territori?  Quanto volete investire nelle politiche sociali, nel potenziamento formativo delle risorse umane, nella riqualificazione professionale, ad esempio, dei lavoratori a rischio? Quanto vogliamo collaborare, quanto volete cooperare con la società civile di questa terra? Lo rileggo: “la democrazia è […] una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo”. 

Vorrei riportarvi le percentuali dolorose delle ultime stime SVIMEZ e l’esponenziale crescita di nuovi poveri e nuove povertà al sud (dettata anche dallo shock inflazionistico), intravedendo oltre i numeri la cornice tragica dentro cui siamo immersi, piegati da questa sommatoria di eventi avversi che aggiunge disperazione alla nostra recessione, già avviata da tempo. Basti qui richiamare una ovvietà che è bene comunque riportare: la Calabria sta invecchiando e si sta impoverendo. Perché se anche la stessa Svimez prevede un aumento del Pil calabrese (per il 2024) dello 0,4% questo sarà sempre lontanissimo dalla media nazionale ed in generale da quella del Sud, che si attesterà sull’1,8% e sull’1,3%.

Tutto ciò fa tristemente concludere che il nostro Natale è un Natale dei diseguali.

È proprio per questo che mi sento investito dalla sofferenza che alcune politiche provocano perché mi sembra stiano svuotando l’impegno popolare, quello fatto di piccoli gesti di cura, di cooperazione, di uno stare e operare, come il Vangelo ci insegna. Quello che avverto è una certa propensione alla cultura dei muri, che ha basamento su un modello economico fondato sul profitto, sul feticismo delle merci come suggerirebbe Marx, e non sul merito, non sullo sviluppo di sinergie intense ma su un individualismo radicale che è il nuovo virus pandemico che ci sta colpendo.

Per questo motivo, insieme all’auspicio di trascorrere delle feste serene e gioiose con le persone che amate, vi chiedo di rendere questo tempo fecondo sostando nelle vostre città. Sostare è un sinonimo prossimo allo stare, all’abitare, al sentirsi parte con un amore non geografico e campanilistico ma esistenziale.

Chiedetevi, tornando a casa, come so-stare in questo tempo? In questa terra?

Vi auguro infine la prudenza come criterio politico.

“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16)

Lo scorso anno vi ho augurato la speranza e quest’anno la affianco alla prudenza in una prospettiva sociale. Maria Eletta Martini ci ricorda che per Platone è la virtù dei custodi, dei capi della polis ed è ciò che “guida l’uomo nella ricerca del suo fine ultimo e nella scelta dei metodi; è virtù della ragione pratica che dirige le azioni umane in modo conforme alle verità; è la conoscenza del bene e del male: con la memoria si ricorda del passato, esamina il presente, anticipa l’avvenire”.[2]

Per San Tommaso la prudenza rappresenta la virtù più necessaria (recta ratio agibilium) perché il ben vivere è il ben operare ed allora vi dico: abbiate la necessità di essere prudenti!  Ma non cullatevi in quella prudenza dall’accezione impoverita che è calcolo probabilistico, gestione del rischio o ricerca della strada più comoda, ma di quella che è previsione di un ostacolo e determinazione nel superarlo, responsabilità totale e totalizzante verso l’altro, creatività viva, qualcosa che più che frenante sia stimolante.

Siate prudenti come chi orienta ogni scelta al bene ultimo ed agisce seguendo questo comandamento fondamentale.

“(…) Un compito che, in regime democratico, non può non collegarsi alla dimensione comunitaria, non solo nel senso che chi comanda deve valutare le ripercussioni che il suo gesto ha sulle comunità, ma anche, e più profondamente, nel senso che la prudenza insegna a valutare, decidere, scegliere, il proprio ruolo di fronte ai problemi sociali che solo collegialmente possono essere risolti nella loro complessità”[3].

Siate credibili e prudenti e credibilmente prudenti, siate popolari, siate esigenti.

Buone Feste.

 

Facci capire dove corre la storia

“Gesù Cristo Re,

facci comprendere fino in fondo

questa verità così grande

che i nostri balbettamenti

non sanno oggi percepire in tutta la sua interezza.

Facci capire che davvero

tu solo sei il Santo,

tu solo sei il Signore,

tu solo l’Altissimo.

Facci capire che tutta la storia

 converge verso di te,

tutto questo tumulto delle nazioni,

tutto questo sospiro di poveri

converge verso di te.

Facci capire fino in fondo

che queste alluvionalità

delle spinte della storia

convergono verso quest’unico letto del fiume

 che sei tu, Signore Gesù.

E allora forse sarà più facile,

anche per noi,

polarizzare tutta la nostra vita

attorno a te”.

(don Tonino Bello)

 

Cassano allo Ionio, 12 Dicembre 2022.

   don Francesco, Vescovo

[1] Tina Anselmi e Anna Vinci Storia di una passione politica

[2] Maria Eletta Martini, Anche in politica cristiani esigenti

[3] M. E. Martini

 

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