News

Mercoledì Santo: Omelia Messa crismale di mons. Nunzio Galantino a Cassano all’Ionio


MESSA CRISMALE

Cassano all’Jonio, 1 Aprile 2015 Basilica Cattedrale

Is 61,1-3.6.8b-9; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21

La Parola di Dio che è stata proclamata, il rito che stiamo per celebrare e lo stesso nostro trovarci tutti riuniti qui da ogni parte della diocesi, si illuminano a vicenda e formano un tutt’uno per aiutarci a cogliere il significato del mistero che stiamo celebrando ed il mistero che noi stessi siamo come Chiesa di Cristo. Insomma, vivendo con intensità e con fede quanto la Chiesa ci propone in questa liturgia, dovremmo uscircene con la certezza che non siamo una associazione qualsiasi, non siamo una qualsiasi organizzazione benefica. Piuttosto, grazie a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati, siamo «un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre».

Oggi siamo raccolti qui tutti insieme come per rientrare spiritualmente nel Cenacolo; siamo tutti insieme sulla soglia del Cenacolo per riandare alle origini del nostro essere «un regno di sacerdoti».

Chissà quante volte abbiamo sentito dire questa frase, ascoltando la parola di Dio, come oggi, o nei testi liturgici. Conoscendo però la fatica che tutti facciamo, ho il timore che una frase come questa (siamo «un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre») possa lasciarci indifferenti. Eppure la realtà espressa da quella espressione segna la differenza tra quello che noi stiamo vivendo e un qualsiasi – pur rispettabile – raduno di persone.

Noi stiamo qui, non solo per esprimere l’unità della nostra chiesa locale e del presbiterio, ma, come ragione ultima e ancor più profonda, siamo qui per ribadire che il nostro sacerdozio – il sacerdozio universale di tutti i battezzati, al servizio del quale è, destinato il sacerdozio del vescovo e dei presbiteri e il ministero dei diaconi – è il sacerdozio di Cristo. Siamo qui per rinnovare la memoria che la nostra missione – la missione di questa Chiesa particolare, inserita in questo territorio – è la missione di Cristo. Quella missione messa in luce fortemente dalle letture ascoltate: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato, e mi ha mandato …”. 

La nostra missione sacerdotale (e al tempo stesso, indissolubilmente, profetica e regale) è quella di Gesù, scaturisce dalla sua incarnazione, passione morte e resurrezione. È il sacerdozio della nuova alleanza, di quel tempo nuovo di salvezza, “Anno di grazia del Signore” promulgato da Gesù nel discorso inaugurale dei suo ministero, nella sinagoga di Nazaret, mentre gli occhi di tutti si volgevano verso di lui, stupiti a queste parole, inaudite.

Se siamo consapevoli di questo strettissimo legame con Gesù  e che noi senza di Lui serviamo davvero a poco, il nostro atteggiamento dovrebbe essere quello di un sempre nuovo stupore, che ci riempie il cuore di gratitudine e ci spinge a fare, della nostra, una vita sempre più assomigliante alla vita di Gesù. Com’è triste constatare che celebrazioni come queste non fanno crescere in noi la gioia dell’appartenenza a Cristo! Che tristezza dover prendere atto che celebrazioni come queste non si traducono subito in un servizio più entusiasta e generoso!

Può sembrare una cosa del tutto ovvia e addirittura superflua ribadire che il nostro sacerdozio è  quello di Gesù. Può sembrare superfluo ribadire che il nostro sacerdozio non è il sacerdozio precristiano, né quello levitico, dato da Dio al suo popolo sotto la Legge, né quello delle religioni dei Gentili, anch’esso espressione della ricerca di Dio da parte dell’umanità.

In teoria, nessuno di noi penserebbe di metterlo in dubbio che il nostro sacerdozio è quello di Gesù. Ma se ci esaminiamo sull’esercizio concreto del nostro sacerdozio, sul nostro modo di stare a servizio degli uomini, non possiamo non chiederci: fino a che punto il nostro sacerdozio è realmente il sacerdozio di Cristo?

In un tempo come il nostro, nel quale all’ondata della secolarizzazione e dell’indifferenza montanti sembra sovrapporsi affacciarsi anche una ripresa religiosa, a volte anche sincera, spesso però segnata da confusione ed ambiguità, da superficialità ed emotività, da cui, se non siamo vigilanti, rischiamo di essere coinvolti anche noi; (in un contesto come questo) il rischio per noi prima di tutto, carissimi fratelli nel ministero, e anche per i nostri collaboratori più vicini e per le nostre comunità in generale, potrebbe essere che tutte quelle incombenze che ci assorbono, tutta quella fatica che ci impegna dalla mattina alla sera (… quando ci impegna!) e che forse ci dà anche la gratificante sensazione di ritrovarci al centro di una comunità viva – (in un contesto come questo) c’è il rischio che tutto, compresa la nostra vita di sacerdoti, si riduca in gran parte a dare risposta a una serie di richieste che ci vengono rivolte. C’è il rischio, insomma, che tutto, compresa la nostra vita di sacerdoti, si riduca a soddisfare una serie di bisogni umani, in qualche modo anche religiosi, che però non sono specificamente legati a Gesù e al Vangelo ma sono bisogni umani e religiosi generici, di qualsiasi gruppo sociale. A questo e solo a questo si riducono le tante richieste di riti di passaggio per solennizzare certi momenti più importanti della vita come la nascita, l’adolescenza, il matrimonio, la morte. A questo e solo a questo si riduce tante volte, ad esempio, la richiesta di un contributo educativo da parte delle famiglie più preoccupate del futuro dei loro ragazzi; la richiesta che deriva dal bisogno di aggregazione e di attività da parte di giovani che mancano di altri spazi o di altre figure di riferimento. È così per la richiesta di supporto psicologico in certi momenti di crisi delle persone o delle famiglie; la domanda di interventi di emergenza per le piaghe sociali del nostro tempo, povertà, tossicodipendenza, altre forme di devianza; la necessità di organizzare le ricorrenze tradizionali, di cui ogni comunità umana ha bisogno per vivere il momento della festa, per ritrovare se stessa e per mantenere la sua identità. Per non parlare poi di tanti altri ruoli sociali di tipo non religioso, di semplice supplenza a carenze di altre istituzioni, che pure a volte ci troviamo a dover esercitare.

Si tratta certo di esigenze umane, legittime, normali, alle quali è doveroso dare risposta. Non dimentichiamo però che tutto questo possono farlo, anche meglio di noi, altre istituzioni umane, altri gruppi religiosi, senza alcun riferimento a Gesù. Fra le tante persone che vengono da noi dalla mattina alla sera, quanti sono quelli che vengono semplicemente per sentirci parlare di Gesù, o almeno del senso della vita, dei grandi interrogativi dell’uomo, dei problemi della coscienza? Quanti i giovani, gli adulti che vengono non perché devono ricevere ancora l’uno o l’altro Sacramento, ma semplicemente perché affamati ed assetati della Parola, per un cammino di autentica catechesi? E, dinanzi a queste domande, noi possiamo dire di avere la sensibilità e la preparazione – sì, perché anche di preparazione si tratta! – per rispondere in maniera credibile?

Il nostro sacerdozio, il sacerdozio che Gesù comunica al suo popolo non rinnega ma assume tutti i bisogni umani e religiosi; ma non può ridursi ad essi. Come sottolinea appunto il simbolismo dell’unzione nei sacramenti dell’iniziazione e dell’ordine, il popolo sacerdotale ed i sacri ministri, sono partecipi della consacrazione stessa di Gesù, il Cristo, l’Unto del Signore, inviato dal Padre come profeta, sacerdote e re prefigurato dai riti di unzione dell’antica Alleanza.

Come popolo messianico, siamo inviati ad annunziare agli uomini quella salvezza, quella liberazione che Gesù ha proclamato nel discorso di Nazaret: una salvezza, una liberazione che coinvolge anche tutti i problemi dell’uomo, ma non può ridursi ad essi; dobbiamo annunziare quel Regno che, mentre adempie le attese dell’uomo, al tempo stesso le sconvolge, le riformula, le trascende immensamente; quel regno che ormai fa un tutt’uno con la persona stessa di Gesù, con l’evento dalla sua morte e resurrezione, con l’attesa della sua venuta finale.

La nostra celebrazione dunque esprime la consapevolezza, e l’aspirazione che il nostro sacerdozio non sia un sacerdozio qualsiasi, semmai vissuto stancamente e in maniera abitudinaria. Il nostro è sempre e soltanto il sacerdozio di Gesù. Ed è per questo che sentiamo oggi il bisogno di rinnovare davanti al popolo di Dio gli impegni che assumemmo al momento della nostra ordinazione per essere configurati a Cristo non solo nei suoi poteri salvifici ma nella sua forma di esistenza, per essere segno e trasparenza dell’ azione di Gesù e della persona di Gesù, povero, casto, obbediente, tutto donato al Padre suo e alla salvezza degli uomini.

Il nostro sacerdozio è quello di Cristo e non una semplice proiezione dei bisogni umani, tanto meno poi della nostra personale soggettività.

Con la benedizione degli olii che useremo per tutto l’anno nella celebrazione dei sacramenti, esprimiamo visibilmente anche l’unità della nostra chiesa locale e del nostro presbiterio intorno al vescovo; esprimiamo la consapevolezza che la chiesa è realtà sacramentale, che si edifica attraverso questi umili elementi presi dalla natura ma assunti dalla grazia a segno e strumento del mistero di Cristo; e dunque vivrà la sua missionarietà nella misura in cui vivrà la comunione, la comprometterà nella misura in cui indebolirà la comunione.

Ravviviamo la coscienza della comunione del nostro presbiterio inviando un pensiero affettuoso al vescovo eletto S.E. Mons. Francesco Savino, che mi ha invitato a vivere con voi questo momento di preghiera e di lode; ai confratelli assenti a causa dell’età o delle condizioni di salute; a quelli impegnati fuori diocesi, in particolare a don Francesco e don Saverio, missionari tra gli emigrati italiani e che non mancano, in tanti modi, di far sentire la loro affettuosa presenza. A questo proposito, chissà se altri confratelli, soprattutto tra i più giovani, non possano maturare il desiderio di dedicare qualche anno del loro servizio presso altre realtà di Chiesa?

Consentitemi, infine e in un contesto di ascolto della Parola di Dio e di celebrazione dei santi misteri, di esprimere il mio personale ringraziamento a tutti per avermi accolto in mezzo a voi con affetto e amicizia non solo come funzione ma anche come persona; per aver compatito i miei difetti e i miei limiti; per avermi dimostrato generosa disponibilità e collaborazione. Grazie davvero. In questo primo periodo di lontananza da Cassano mi sono trovato spesso a ringraziare il Signore per avermi fatto incontrare, tra voi,  tante persone speciali. Certo, i tre anni trascorsi qui a Cassano mi hanno anche fatto conoscere tanti problemi e fatto incontrare tante difficoltà. L’ho già fatto in altri momenti, ma torno chiedere scusa se non sono stato sempre all’altezza dei bisogni e se ho deluso le attese di qualcuno o di tutti. In alcuni casi, lo confesso, ho volutamente disatteso richieste che mi sembravano dettate solo dalla voglia sfrenata di qualcuno, tesa a prolungare posizioni di rendita ingiustificate e pretese di inutili protagonismi di cui una Chiesa viva e bella come quella cassanese non ha assolutamente bisogno.

don Nunzio Galantino
Segretario generale della CEI
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio

[SCARICA IL TESTO DELL’OMELIA]

 

[GUARDA LA FOTO GALLERY di G. Zaccato]