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Mons. Francesco Savino: “Nella chiesetta sperduta sui monti del Mugello i sacramenti impartiti erano otto, i sette canonici più quello dell’essere”, cioè la scuola.


“L’ospedale dei sani? Don Milani, cent’anni dopo” è il titolo della tre giorni di Seminari di Formazione per docenti di ogni ordine e grado che si sono tenuti presso l’Aula Magna del Liceo Aristosseno di Taranto.

Tra i relatori a ricordare il presbitero di Barbiana, passato alla storia per il celebre motto I CARE, la riflessione tenuta da S. E. Rev. Ma Mons. Francesco Savino, Vescovo della Diocesi di Cassano All’Jonio e Vice Presidente della Cei, dal titolo “Don Milani, testimone prima e più che maestro. Una riflessione teologico – pastorale: la scuola come ottavo sacramento”.

“Mi rivolgo a voi” ha esordito Mons. Savino “con la forma che era più cara a don Lorenzo Milani, quella epistolare.

Mi sono a lungo interrogato su cosa ci fosse di non detto su quello che siamo abituati a pensare come un personaggio ambiguo, un’anima travagliata e controversa.

Soprattutto mi sono chiesto se oggi la scuola sia ancora l’ottavo sacramento o sia diventata il ricettario di un intruglio dai nomi bizzarri come “cooperative learning, role playing, flipped classroom e circle time”.

Il pastore della chiesa cassanese ha ricordato il corpo senza vita di un ragazzo di soli 14 anni morto in seguito al naufragio nel vicino 2015. Quel corpo senza vita, di un ragazzo che poteva essere un qualunque amico, vicino, compagno portava insieme a sé una pagella sbiadita dall’acqua. “A quel ragazzo” ricorda ancora Mons. Savino “non è stato concesso di essere un eroe. E portava quella pagella sul cuore”.

Entrando nel vivo dell’esplicare la figura di don Milani, Mons. Savino dice: “Riabilitare l’esempio di don Milani, significa assumersi la responsabilità della fedeltà che è anche e non solo fede. Essere fedeli alla scuola vuol dire essere scuola, esserci per e nella scuola.

Nella chiesetta sperduta sui monti del Mugello i sacramenti impartiti erano otto, i sette canonici più quello dell’essere, cioè la scuola.

Ma Barbiana era anche la scuola delle mani, quella del fare, della Ri-crea-azione l’antesignano di quella didattica che oggi chiamereste learn-by-doing ma che non guardava a meriti e competenze ma all’I care, all’avere cura che nessuno restasse indietro e che, anzi, l’ultimo dettasse il passo.

Il sogno di don Milani rappresenta uno degli esperimenti didattici più rilevanti.

Per lui l’essere scuola è stato l’esperienza pastorale per eccellenza, la terapia intensiva degli illetterati, una scuola medicinale che si è tradotta in movimenti tellurici delle coscienze e che ha prodotto, sulla porta che separava la scuola dalla sua camera da letto, quella scritta rossa, I Care, che è il me ne importa, il mi sta a cuore.

Questo motto che come lo stesso Milani ha detto, è una carezza agli ultimi sostanziata nei fatti e non in astratto. Si interroga il Vescovo della Diocesi di Cassano All’Jonio su: “Cosa ci resta dell’esperienza umana (prima che pastorale) di questo prete ribelle?

Un pensiero meditante.

Se io potessi fare mia la traduzione dell’I care oserei con le parole di Martin Heidegger e lo tradurrei proprio come qualcosa di opposto al pensiero calcolante che è appunto il pensiero meditante. M. Heidegger definisce questo pensiero come la capacità di disporsi all’attenzione verso l’altro, un’attenzione fatta di ascolto, di presenza, di soccorso, in una parola, di amore.

I care, indica la necessità di un nuovo umanesimo e diventa dunque l’invito ad essere pienamente uomini.

Quello di Barbiana non è stato un metodo, ma una risposta.

La scuola di Barbiana ha messo insieme la pedagogia critica (con impatto sociale) con una pedagogia pastorale, più affettuosa e coinvolgente, per creare una risposta ad una urgenza e dare vita alla pedagogia socio-pastorale.

Oggi guardiano all’esperimento di don Milani come ad un anello centrale per impostare una riflessione seria sulla riforma del sistema scolastico ed educativo in genere anche se è davvero difficile comprendere fino in fondo un personaggio scomodo, incapace di scendere a compromessi ma proprio per questo attuale.

Che cosa ci spinge oggi a salire a Barbiana?

Cosa ci spinge ad innalzare l’I care a modello europeo?

Sicuramente la ricerca di un messaggio dal fascino sempiterno, di un modello che ha fatto della didattica un mezzo per arrivare agli ultimi, agli esclusi ma che, allo stesso tempo, parli la lingua della realtà, dell’inclusione, della cura, dell’esserci.

Citando Antoine De Saint – Exupéry e il suo: L’essenziale è invisibile agli occhi Mons. Savino esorta al tendere all’essenziale. “Questa bellissima frase” dice Savino “tratta, nella prima parte, da Il piccolo principe, mi sembra il primo dei grandi insegnamenti che Don Lorenzo ha voluto tramandarci. Tendere all’essenziale vuol dire guardare alle cose nascoste e spingersi oltre il banale dell’evidenza denunciando i tanti percorsi di esclusione sociale che da anni attraversano il mondo della scuola e della formazione in generale. Del resto ancora oggi sono migliaia i ragazzi che non chiudono il percorso della scuola media e che, quindi, non riescono a conseguire quel titolo che automaticamente li esclude da ogni altro proseguimento formativo.

La scuola diventa, in questi casi, un vero e proprio luogo di esclusione.

Citando poi il sommo Pontefice e l’epiteto: “Nessuno si salva da solo” Mons. Savino sottolinea il fatto che per don Milani salvare gli altri significa non lasciarli indietro, fare in modo che gli illetterati non vengano marginalizzati dal sistema ma, anzi, siano formati affinché ci sia per loro la possibilità di ambire ad impegni di vita e di lavoro dignitosi.

In ultimo, Mons. Savino chiede scusa a don Milani per aver trasformato il suo ICARE, in un WECARE, una forma del noi al plurale che è forse il campo su cui si gioca l’identità vera dell’essere uomini e donne oggi. A distinguerci, in questo mondo di generazioni fluide è una qualità immateriale: l’empatia. Empatia è il contrario di indifferenza. Per questo, in conclusione, Mons. Francesco Savino interroga sul: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca? Ecco occupatele!”

Caterina la Banca
Direttore UCS

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