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Mons. Galantino nell’omelia della Messa per la conclusione del ministero episcopale a Cassano, “Il perdono: un gesto di coraggio e di grande maturità spirituale”


Martedì della III Settimana di Quaresima

(S. Messa per la conclusione del ministero episcopale a Cassano – 10 Marzo 2105)


 Dn 3, 25.34-43; Mt 18, 21-35

Permettete che faccia una premessa. Siamo qui – lo sappiamo tutti – per ringraziare insieme la Trinità Santa; è Lei che ha permesso questo straordinario e, per me, fecondo incontro. L’incontro tra un prete chiamato a fare il Vescovo ed una Comunità che hanno percorso insieme un tratto della loro strada.

Questa è la realtà! Vorrei evitare però che questa Eucaristia diventasse l’occasione per fare bilanci o per raccontarci eventi o emozioni che, pur importanti, devono trovare altri spazi ed altri tempi per essere evocati. Dico questo perché capita, nelle nostre Chiese, che ricorrenze liete o tristi che siano, prendano il sopravvento sul fatto che invece deve rimanere al centro di tutto. Quante volte, la Messa esequiale diventa occasione per beatificazioni alle quali nessuno crede! Quante volte gli “anniversari” si trasformano in celebrazioni della persona, anche quando questa non lo merita affatto!

Noi siamo qui stasera per ascoltare il Signore. Io e voi. Noi stiamo qui stasera per celebrare i Santi misteri. Noi stiamo qui stasera per farci aiutare dal Signore a proseguire il nostro cammino. Noi stiamo qui stasera per domandare al Signore di farci ancora dono del suo Spirito perché la nostra testimonianza – dovunque Egli ci chiama – possa essere sempre di più una testimonianza credibile.

Se invece ci attardiamo a parlare di noi, di quello che abbiamo fatto insieme in questi tre anni; se ci fermiamo a gioire delle cose belle e a domandare e a domandarci perdono per le opportunità sprecate – tutte cose buone, si intende, ma fatte nel momento sbagliato – sapete cosa facciamo? È come se invitassimo il Signore a stare con noi e poi gli diciamo: adesso stai qui, buono buono, e sentici un poco. Vogliamo farti saper come siamo stati bravi!
Invece noi stasera – io e voi – stiamo insieme davanti al Signore per ascoltarlo; Lui ci ha parlato e continua a parlarci attraverso la sua parola, quella che la Chiesa ha previsto per questo Martedì della Terza Settimana di Quaresima.

La prima lettura riporta una preghiera; la preghiera che Azaria rivolge al Signore “in mezzo al fuoco”, cioè in una situazione di grande difficoltà. Nonostante la situazione di estrema difficoltà che Azaria vive assieme al suo popolo, la sua preghiera è una sola: «… non ci abbandonare … non infrangere la tua alleanza … non ritirare da noi la tua misericordia».

Capite cosa ci chiede il Signore stasera? Ci chiede di continuare a far conto sulla sua presenza e sulla sua compagnia. E Lui questa presenza amorevole e questa compagnia ce le assicura suscitando in ciascuno di noi buoni sentimenti, sentimenti di amicizia. Lui, questa presenza amorevole e questa compagnia, ce le assicura creando occasioni di incontri provvidenziali, come quello che mi ha portato qui a Cassano e come le tante circostanze che ci hanno, in questi anni, fatto soffrire ma anche gioire insieme. Noi siamo qui stasera per riconoscere questi doni che il Signore ci ha fatto e per benedirlo.

Vi sono fatti però nella nostra vita che rompono l’idillio delle relazioni belle e lasciano il posto a esperienze di conflittualità, com’è capitato nella comunità di Matteo. Tutto il capitolo 18 del Vangelo di Matteo, soprattutto il breve dialogo tra Pietro – portavoce dei credenti di tutti i tempi – e Gesù, arricchito dalla parabola dei due servi, intende dirci qual è la funzione della Chiesa; intende dirci cosa ci sta a fare la Chiesa; cosa ci stiamo a fare noi.

E possiamo sintetizzarlo così: dove il mondo dice che il perdono è un atto umiliante e un gesto di debolezza, la Chiesa è chiamata a vivere e a far vivere il perdono come un gesto di coraggio e di grande maturità spirituale.
Lo so, parlare di perdono non è proprio facile, e praticarlo lo è ancora di più. Lo so, ognuno di noi ha fatto probabilmente esperienze tanto amare da aver concluso che è meglio non misurarci affatto con quel: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». Anche i rabbini discutevano su questa questione e, partendo da alcuni brani dell’Antico Testamento (Amos 2,4; Giobbe 33,29; Gen 50,17), pensavano che si potesse arrivare a perdonare fino a tre volte. Con la risposta data a Pietro Gesù vuole assicurarci che il Signore ha messo in noi una capacità illimitata di perdono. La parabola, poi, intende dirci che il perdono di Dio è il motivo e la misura del perdono fraterno. Il servo è condannato perché tiene il perdono per sé e non permette che il perdono ricevuto diventi gioia per gli altri.
Penso rimaniate anche voi sorpresi quando sentite o leggete di perdono offerto in situazioni e a persone alle quali voi personalmente fareste fatica a perdonare. A me questo è capitato e capita. E la sorpresa è tanto più grande quando vedo la fatica che io stesso faccio a guardare con occhio di benevolenza chi parla male di me o chi danneggia la mia reputazione ingiustamente. Sì! Io faccio fatica, in questi casi, a perdonare. Eppure la cronaca ci presenta esempi di perdono offerto e accolto. L’ultimo episodio l’ho letto sull’ultimo numero del settimanale A sua immagine. La moglie di un uomo ucciso da un ragazzo ha incontrato la mamma del ragazzo omicida e non solo vivono una splendida amicizia, ma cercano di far conoscere questa loro esperienza ad altri. Sono due donne con nome e cognome e con volti ben identificabili. Quindi è una storia vera.
Certo, ci è capitata una pagina difficile ed esigente del Vangelo per questa circostanza! Difficile soprattutto perché esigente. Difficile perché per essere messa in pratica richiede che io riconosca continuamente i doni ed il perdono che il Signore continua a elargirmi. Chi non è consapevole del perdono che il Signore gli concede, difficilmente sentirà il bisogno di perdonare. Gli sembrerà sempre impossibile tendere la mano a chi con quella mano ha percosso il suo volto o ha gettato

fango su di lui e sulla sua storia; gli sembrerà sempre impossibile rivolgere la parola a chi da quella bocca ha fatto uscire parole ingiuriose o addirittura vere e proprie calunnie.

Signore,
contando sul sostegno e sull’affetto delle persone
che stasera mi circondano,
ti chiedo di continuare a farmi fare
esperienza del tuo perdono;
quello che sei sempre pronto a concedermi
per rimettermi in cammino.
Aiutami, Signore,
a non dimenticare che
una Chiesa che non perdona è una finzione.
Non ci sono cerimonie o processioni che tengano quando nella Chiesa si nega il perdono.
Ancora peggio, quando a negare il perdono
sono coloro che Tu hai chiamato
ad essere strumento di perdono: i Vescovi e i Sacerdoti. Aiutami, Signore, a capire che
non ci sono feste che valgano la pena di essere celebrate quando siamo incapaci di celebrare,
in pubblico o in privato,
la festa del perdono, ricevuto e donato.
AMEN.

✠ don Nunzio

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