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Omelia IV Domenica di Quaresima 22 Marzo 2020


 IV DOMENICA DI QUARESIMA (anno A) [SCARICA]

1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41

22 Marzo 2020

Al simbolismo dell’“acqua” che dominava Domenica scorsa, si aggiunge oggi quello della “luce”, del passaggio dalle tenebre alla luce, di cui parla il Vangelo attraverso la guarigione dell’uomo cieco dalla nascita che acquista con la vista la fede in Cristo. 

Il cieco è un mendicante, un ultimo della città, uno che non ha nulla, nulla da dare a nessuno. È un marginale! Gesù si ferma proprio per lui, pone lo sguardo sull’uomo e sulla sua sofferenza. 

Il contesto offerto dall’evangelista Giovanni si riferisce alla festa dei Tabernacoli, memoria gioiosa del soggiorno di Israele nel deserto (Gv 7, 1). In quel giorno il sacerdote attingeva dalla piscina di Siloe l’acqua lustrale da effondere sull’altare e la sera, torce e bracieri, posti sulle mura del tempio, illuminavano fantasticamente la città santa. 

L’acqua di Siloe e la luce saranno le componenti del “segno” di Gesù. Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?: a questa domanda Gesù risponde: Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Non si sofferma sull’eziologia, la causa e l’origine di quella infermità ma indica la possibilità, sempre garantita per ogni persona, di scoprire che, anche nella malattia più grave o nella sofferenza più assurda, Dio agisce e manifesta la sua azione.

Per l’evangelista Giovanni l’evento che accade presso la piscina di Siloe è innanzitutto un segno, un evento che dovrebbe suscitare domande non sull’acqua ma su chi dà il nome a quella piscina: Shiloach, Siloe, che significa “Inviato di Dio”.

Subito dopo questa guarigione, Gesù scompare di scena e inizia un processo contro di Lui, un processo in contumacia che si esprime attraverso le reazioni e le domande di fronte a quel cieco che ormai vede. 

La prima reazione: i vicini, quelli che conoscevano abbastanza bene il cieco perché lo vedevano spesso, sembrano ora diventati loro i non-vedenti, i ciechi. Infatti affermano: Colui che vede non è lui, ma uno che gli somiglia, e interrogano quello che era cieco, il quale con molta semplicità, racconta ciò che gli è stato fatto, ma non gli credono. 

La seconda: il cieco che ora vede viene condotto dai farisei, gli esperti della Legge, ai quali non sfugge affatto che la guarigione è avvenuta in giorno di Sabato. Gesù è uno che trasgredisce la Legge, quindi è un peccatore perché non osserva il Sabato. E quindi, come può un peccatore compiere “segni” di questo genere?

Nella terza reazione diventano protagonisti i “Giudei”, espressione che si riferisce a quelle persone che sanno che “da loro viene la salvezza” (cfr. Gv 4, 22) e che di questa convinzione ne fanno un privilegio, anzi, un motivo di potere. Questi Giudei chiamano in causa i genitori del cieco che ormai vede i quali, impauriti, gettano sul figlio la responsabilità della risposta, anche se testimoniano che questo loro figlio era nato cieco.

Nella quarta e ultima reazione che riscontriamo nella narrazione dell’evangelista Giovanni sono di nuovo gli uomini religiosi ad interrogare colui che era stato cieco invitandolo a dare gloria a Dio, cioè lo invitano ad adeguarsi alla loro presunta competenza: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore … anche se non sappiamo da dove viene. Ma il cieco guarito mostra la loro contraddizione: senza sapere da dove sia, emettono un giudizio di condanna su Gesù. E poi aggiunge: Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla. All’udire questo, essi reagiscono con durezza, proclamando che il cieco nato, a causa della sua malattia (come se non ne fosse stato guarito!), è un peccatore, interamente immerso nel peccato. E così lo espellono dalla sinagoga, dall’assemblea dei credenti in alleanza con Dio” (Enzo Bianchi).

Gesù lo va a cercare, ora che è stato cacciato fuori e, dopo aver compiuto in lui “il segno che gli ha cambiato la vita”, gli offre la possibilità di credere nel Figlio dell’Uomo, l’Inviato di Dio, rivelandogli chi è Lui il cieco nato, che ora vede, si prostra dinanzi a Gesù e gli dice: Credo, Signore!.

Il percorso di fede del cieco nato è compiuto: crede.

A questo punto Gesù pronuncia una parola forte e vera sul processo che hanno organizzato contro di lui: È per un giudizio che sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono, diventano ciechi. 

Gesù è la “luce del mondo”. 

Ma di fronte a Lui molti, soprattutto tra gli uomini religiosi, che si sentono giusti, dicono: “Noi vediamo!”, e così si consuma il loro peccato che consiste nel rifiutare la Verità, nel negare Colui che dà la vista, e questo è un peccato veramente grave. 

Se nei Vangeli sinottici Gesù afferma: “non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2, 17 e par.), nel Vangelo di Giovanni viene affermato che Gesù è venuto per quelli che si sentono ciechi e non per quelli che presumono di vedere e negano la Verità che è Gesù.

E noi cristiani ci sentiamo ciechi bisognosi della luce del Signore o vedenti autosufficienti, sicuri e presuntuosi?

Buona Domenica.

   Francesco Savino