Omelie

Omelia: Ordinazione Diaconale di Antonio Paiella, Giuseppe Guarnaccia, Michele Diodati, Nicola Taranto e Vincenzo Stivala


XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  (anno C)

 

2 Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

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Ordinazione Diaconale di

Antonio Paiella, Giuseppe Guarnaccia, Michele Diodati,

Nicola Taranto e Vincenzo Stivala

 

20  Novembre  2022

Al termine dell’anno liturgico celebriamo la festa per eccellenza di Cristo Re dell’Universo, che vuol dire riconoscere Cristo centro della storia, delle nostre piccole storie, della storia di tutta l’umanità, riconoscere che tutto in Lui trova senso e pienezza. L’Apostolo Paolo, nella seconda lettura, nell’inno tratto dalla lettera ai Colossesi, richiama questa tensione di tutta la storia e di tutta la creazione verso quel compimento realizzato nel mistero pasquale di Cristo: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1, 19-20).

Riconoscere Cristo come Colui che ha “il primato su tutte le cose” (v. 18) significa anche collocare la nostra vita, o le vicende, a volte incomprensibili, che segnano il cammino della nostra umanità inquieta, sotto lo sguardo di Cristo che orienta tutto verso un compimento di bellezza e di armonia. Si realizza in Cristo e nel popolo da Lui redento ciò che è prefigurato nell’alleanza tra Davide, proclamato Re, e Israele (2 Sam 5, 1-3). L’evangelista Luca nel Vangelo di questa Domenica ci offre la giusta chiave di lettura della regalità di Cristo: lo spettacolo della croce.

Nel disporre i personaggi che stanno intorno al crocifisso, Luca segue una progressione in tre gruppi: il popolo, immobile e lontano, che sta a vedere, i capi che deridono Gesù, i soldati che lo scherniscono. Al centro ci sono tre croci: quella di Gesù e, ai lati, quella di due malfattori. In tutto il racconto accade un dialogo su cui l’evangelista Luca concentra tutta la sua attenzione, un dialogo che rivela il senso salvifico di ciò che sta avvenendo. I soldati e uno dei malfattori, in modo beffardo e violento, rivolgendosi a Gesù lo insultano dicendo: “Se Tu sei il Re dei giudei, salva te stesso… Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”. “Come nel deserto il tentatore aveva sfidato Gesù, ora, «al momento fissato» (4, 13), sotto la maschera e la voce di coloro che attorniano il crocifisso, risuona questa provocazione. Per Gesù, questa è la sfida a riappropriarsi di se stesso, dell’«essere come Dio» salvando se stesso: è la sfida a percorrere la via che rinneghi la Kenosi dell’incarnazione. A questa sfida Gesù non risponde. Nel silenzio di Gesù è custodita la sua risposta di amore e di obbedienza al Padre e la fiducia che, nonostante il fallimento, il Padre è presente e lo ascolta. Infatti Gesù, nel racconto di Luca, morirà con le parole del Salmo 31, 6: «Padre, nelle Tue mani consegno il mio spirito» (v. 46)”(Monastero di Dumenza).

L’altro malfattore, mentre lo rimproverava, chiede a Gesù: “… Ricordati di me quando sarai nel Tuo regno” (v. 42). È un appello quello del malfattore alla fedeltà di Dio, alle sue promesse e alla sua alleanza. È un riconoscimento della regalità di Gesù, uomo senza più apparenza ne bellezza. Gesù “gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»”. Luca ci ha condotti gradualmente ad accogliere questa parola di salvezza perché in essa ci viene rivelata la vera regalità di Cristo. Al malfattore che chiedeva a Gesù di ricordarsi, Gesù risponde con una parola che si attua “oggi”, nel momento in cui l’uomo ha il coraggio di affidarsi e di abbandonarsi a quel Re senza potere, debole tra i deboli. La vera salvezza è essere con Gesù, una salvezza che segue una logica sconvolgente: Cristo salva quando muore, quando umanamente raggiunge il fallimento. E Dio si rivela Salvatore non perché libera il Messia dalla croce, ma perché rimane fedele all’amore anche nelle situazione più estreme. La croce così, luogo della infinita compassione di Dio per l’uomo si rivela a noi come il luogo della salvezza che si attua proprio nel momento in cui il Messia crocifisso accetta di rimanere fedele e a Dio e all’uomo, senza fuggire da quella drammatica debolezza che si sperimenta nella morte. “Darai anche a me la grazia di non perdere mai il coraggio di esigere temerariamente tutto dalla tua bontà, di aspettarmi tutto? Il coraggio di dire, fossi anche il più rinnegato dei criminali: Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regno! Signore che la tua croce si innalzi dinanzi al mio letto di morte. E che la tua bocca ripeta anche a me: In verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso” (Karl Rahner).

In questa ultima Domenica del tempo liturgico, con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, si celebra a livello diocesano la trentasettesima Giornata Mondiale della Gioventù che in seguito si celebrerà a Lisbona. Papa Francesco nel suo messaggio dal titolo “Maria si alzò e andò in fretta” (Lc 1, 39), tra l’altro dice ai giovani ma direi a tutti: “Una volta hanno detto a Madre Teresa: “Quello che lei fa è solo una goccia nell’oceano”. E lei ha risposto: “Ma se non lo facessi, l’oceano avrebbe una goccia in meno”.

Davanti a un bisogno concreto e urgente, bisogna agire in fretta. Quante persone nel mondo attendono una visita di qualcuno che si prenda cura di loro! Quanti anziani, malati, carcerati, rifugiati hanno bisogno del nostro sguardo compassionevole, della nostra visita, di un fratello o una sorella che oltrepassi le barriere dell’indifferenza!

Quali “frette” vi muovono, cari giovani? Che cosa vi fa sentire l’impellenza di muovervi, tanto da non riuscire a stare fermi? Tanti – colpiti da realtà come la pandemia, la guerra, la migrazione forzata, la povertà, la violenza, le calamità climatiche – si pongono la domanda: perché mi accade questo? Perché proprio a me? Perché adesso? E allora la domanda centrale della nostra esistenza è: per chi sono io? (cfr. esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 286)”.

Una fretta buona deve spingere verso l’altro e verso l’alto voi, Antonio, Nicola, Vincenzo, Michele e Geppino, che questa sera ricevete l’Ordine del Diaconato Permanente. Avete tanto desiderato raggiungere questa tappa, ho visto in voi dall’inizio del cammino entusiasmo, docilità allo Spirito, disponibilità a formarvi. La stola diaconale che ricevete questa sera,  che è per voi “diagonale”, è simbolo di un servizio che unisce, come in un poligono, due vertici non consecutivi e perciò intersecante altre diagonali, altri servizi simmetrici, e la dalmatica costituisce l’abito proprio del Diacono nelle diverse celebrazioni liturgiche. La costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II insegna che “in un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio” (n. 29). I diaconi sono chiamati “al servizio del popolo di Dio, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio” nella diaconia della liturgia, della parola e della carità. Questa triplice dimensione della diaconia, del servizio, definisce e illumina l’azione del diacono. Proprio la stola e la dalmatica manifesteranno il ministero del diacono nelle azioni liturgiche. La diaconia della parola ha nella consegna del libro dei Vangeli il suo segno base: da ciò nasce il ministero di proclamare il Vangelo nelle celebrazioni liturgiche e di predicare la fede della Chiesa.

Siate, cari diaconi, ascoltatori della parola e testimoni fedeli e credibili. Delle tre diaconie quella della carità, sin dalle origini, ha meglio caratterizzato il grado diaconale. Infatti, nella interrogazione sui vostri impegni si dice perentoriamente “di esercitare il ministero del diaconato con umiltà e carità in aiuto all’ordine sacerdotale, al servizio del popolo cristiano”. Desidero dire a tutti questa sera che da questa celebrazione parta la prospettiva di essere soprattutto Diaconi permanenti della carità permanente. Ringrazio di cuore per l’accompagnamento che avete ricevuto i vostri parroci con le rispettive comunità, don Giovanni, don Giuseppe e Padre Norbert, Leonardo Aita, che presiede l’Ufficio Diocesano dei Ministeri e del Diaconato Permanente, tutti gli altri diaconi della Diocesi, le vostre mogli con i vostri figli. L’augurio più bello che posso rivolgervi è che con la vostra vita possiate rendere più autentico il Vangelo di Gesù e rendere più bella la nostra Chiesa locale.

            Francesco Savino

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