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Ordinazione don Mobilio, l’omelia del Vescovo: “E’ l’Amore al centro della festa di oggi” | FOTOGALLERY


SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

ORDINAZIONE PRESBITERALE DI  NICOLA MOBILIO

12 GIUGNO 2015

BASILICA CATTEDRALE CASSANO ALL’JONIO

Os 11,1.3-4.8C-9    Ef 3,8-12.14-19   Gv 19,31-37

Dal Vangelo di Giovanni abbiamo letto: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.

Sono parole che riguardano proprio noi. Non essi, gli altri, volgeranno lo sguardo sul Crocifisso, ma noi, stasera siamo invitati a farlo.

L’evangelista riporta dati significativi dell’antica tradizione giudaica secondo la quale il giorno precedente alla Pasqua, che era giorno molto solenne, si immolavano gli agnelli nel cortile del Tempio.

Giovanni introduce una grande novità: l’agnello immolato è Gesù. È lui l’agnello di Dio.

Se i Romani crocifiggevano coloro che compivano delitti gravissimi, soprattutto quelli di lesa maestà, e lasciavano i corpi appesi sulla croce come deterrente ed ammonizione, i Giudei, invece, rivolgono a Pilato una richiesta concreta: che vengano spezzate le gambe a Gesù e ai due ladroni perché si acceleri la loro morte e venga tolto l’ingombro che essi rappresentano in questo particolare giorno di sabato. Quando i soldati romani giungono da Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzano le gambe e nemmeno lo tolgono dalla croce.

Anzi “Uno dei soldati, con la lancia gli trafisse il costato, e immediatamente uscirono sangue e acqua”.

La fuoriuscita di “Sangue e Acqua” è probabilmente un fenomeno naturale, come alcuni medici sostengono. Ma per Giovanni ha un grande significato teologico. Fermiamo la nostra attenzione dapprima sull’acqua. Tanti Profeti hanno parlato dell’acqua che sgorgherà dalla casa del Signore, dal Tempio, da Gerusalemme (cfr. Ez. 47,1-6 Gioele 4,18; Zaccaria 13,1; Zaccaria 14,8).

In Gesù, sulla croce, si realizza tutto questo: Lui è quel Tempio di cui hanno parlato i profeti. Ora sulla croce sgorga l’acqua dello Spirito, che dà vita e gioia. Giovanni aveva già detto che Gesù aveva consegnato il suo Spirito, ma ora vuole precisare che esso viene dal suo cuore. Sangue e Acqua sono anche simbolo di nascita. In questo Sangue e in questa Acqua, nasciamo dall’alto. Come dal fianco di Adamo addormentato fu creata Eva, così dal fianco del Crocifisso, dalla ferita di amore di un Dio trafitto, nasce l’umanità nuova.

Paradossalmente il “colpo della lancia”, che doveva assicurare la morte di Gesù, dà inizio ad una vita radicalmente nuova.

Volgiamo anche noi, lo sguardo al Crocifisso, soffermandoci a contemplarlo, e scopriremo il grande amore che da sempre Dio ha manifestato nei confronti dell’umanità e di ogni persona. Quell’amore che ha sperimentato in maniera anche tragica e tormentata il profeta Osea, il teologo dell’amore di Dio del Primo Testamento. Egli canta l’amore di Dio, tenero, forte, fedele. Il profeta sa usare immagini delicate: “Israele era un fanciullo, io l’ho amato… a Lui insegnavo a camminare, tenendolo per mano, … Io lo traevo con legami di bontà, con vincoli di amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare”.

Osea compì un percorso umano molto doloroso: prese in moglie una prostituta che amò profondamente ma fu abbandonato e, nella sua esperienza di tradimento, comprese come l’uomo, il popolo, tradisce spesso Dio, prostituendosi ad altri dei. La situazione personale del profeta diventa profezia di ogni rapporto tra uomo e Dio.

Dio non si stanca mai di mettere in gioco, in circolo, il suo amore per ciascun uomo.

Anche S. Paolo ne fa esperienza e nella lettera agli Efesini ci invita a conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza.

Ed è proprio questo amore travolgente e attrattivo di Dio, senza se e senza ma, che ti chiama al presbiterato, caro Nicola.

È una straordinaria coincidenza, direi tutta provvidenziale, che la tua ordinazione cada nella Solennità del Sacro Cuore!

Una festa solo all’apparenza dal sapore devozionale, ma che richiama ad una grande verità: la misura dell’amore di Dio.

È l’amore al centro della festa di oggi, è l’amore al centro di ogni vocazione, è l’amore la spinta di ogni decisione, è l’amore la ragione e il fondamento della vita. L’esperienza cristiana è esperienza di amore: amati da Dio fino alla follia nel Suo figlio Gesù, siamo chiamati a rispondere a questo amore.

Caro Nicola questo deve essere il senso della tua vita presbiterale. Sentiti abbracciato, motivato, spinto, tormentato dal Suo Amore. E la tua vita sia nei giorni feriali e nei giorni festivi il prolungamento del Suo Amore, che diventerà verifica quotidiana della tua fedeltà e, al tempo stesso, disponibilità a donarti senza misura ai fratelli che incontrerai.

Coltiva ogni giorno nella tua vita la “Charitas Christi” che sperimenterai nella comunione con i tuoi confratelli. E quanto più diventerà impegnativa e difficile la tua relazione con i confratelli più ti sentirai chiamato ad essere “agapico” nei loro confronti.

L’autorevolezza di un presbiterio è data non da quanto fa, ma dall’amore che tutti, me compreso, sapremo condividere.

Caro Nicola, non sentirti un arrivato: ogni meta raggiunta, come quella del presbiterato, diventa punto di partenza per un viaggio meraviglioso.

Col presbiterato non entri a far parte di una “casta” ma di una comunità fatta di amici di Gesù, di amici fragili e deboli.

Consentimi ora come tuo Vescovo, di condividere con te, con i confratelli e con tutto il popolo di Dio alcuni rischi cui puoi andare incontro e alcuni orientamenti che mi sembra importante consegnarti oggi.

Ti ho conosciuto soltanto negli incontri che abbiamo avuto in questi ultimi giorni e ti dico che hai già la mia fiducia, come con tutti, presbiteri e laici, la mia relazione si baserà anche con te sempre sulla fiducia e sulla responsabilità, nella consapevolezza che i due valori vanno sempre verificati e vigilati.

Caro Nicola, stai attento, come devo stare attento io ed ogni presbitero, a non cedere a due tentazioni, direi di più a non cadere in due trappole che sono: clericalismo e pelagianesimo.

Sostiene Papa Francesco: “Se ci si chiude nel clericalismo”, nell’acribia ipocrita di chi codifica “regole e istruzioni”, allora “avremo tutto chiaro”, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca, continuerà ad avere fame sete di Dio.

E clericale è colui che pensa di essere il depositario assoluto della verità, si chiude ad ogni dialogo possibile e quando dialoga o pensa di farlo, parla solo con se stesso. Ed è straordinaria ancora un’affermazione di Papa Francesco quando dice: “Il clericalismo è come il tango, lo si balla sempre in due: non esistono laici clericali o clericalizzati che non abbiano l’appoggio di qualche prete e non c’è un prete clericale che non abbia qualche laico che muore dalla voglia di fare il prete”.

Caro Nicola, il prete deve essere l’uomo delle relazioni belle, positive e costruttive; dal cuore in uscita, capace di lasciarsi convertire dall’incontro con l’altro, non un professionista del sacro, né un insegnante della fede, né un doganiere ma un annunciatore del Vangelo, capace di far innamorare di Gesù la gente che incontra.

Stai anche attento a non cedere al pelagianesimo. Non pensare che tutto dipenderà da quello che farai. Il mondo non lo salvi tu o io, lo salva Gesù attraverso anche il nostro impegno e la nostra etica di responsabilità. Abbi cura della tua spiritualità. Non trascurare la preghiera e lo studio, e cerca sempre di equilibrare il silenzio e il tuo farti, ogni giorno, evangelizzatore di Cristo.

L’augurio è che tu possa essere sempre al tempo stesso discepolo, guida e profeta. Il cuore di Cristo ti custodisca e ci custodisca, ci renda capaci di una conversione continua. E a voi, fratelli e sorelle carissimi, chiedo di pregare per me, per tutti i sacerdoti, per don Nicola perché non perdiamo mai il senso della nostra vita: Gesù, la stella del mattino.

+ don Francesco
 Vescovo

 

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(foto in evidenza di Doria)

(Fotogallery di G. Zaccato)