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“Pluralismo e libertà religiosa in Italia. Il contributo della Chiesa”: la relazione di mons. Galantino al convegno sulla libertà religiosa, in Senato


“Dai culti ammessi alla libertà religiosa”. E’ il tema del convegno promosso a Roma dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), il 16 e il 17 febbraio presso il Senato. Al convegno partecipano numerosi esperti, sia italiani che europei. “Particolarmente significativa – si legge nel comunicato della Fcei – la presenza tra i relatori di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei)”. “È un segnale importante di attenzione a una sofferenza che non è solo degli evangelici ma di tutte le comunità di fede – afferma il pastore Massimo Aquilante – che da tempo segnalano l‘urgenza di una svolta normativa”. “Il senso della Convegno è molto chiaro – aggiunge il presidente della Fcei – e rinnova l‘impegno degli evangelici italiani a sostegno di una nuova legge, abrogativa delle norme di epoca fascista sui ‘culti ammessi‘ e in grado di garantire a pieno i principi costituzionali in materia di libertà religiosa”. Tra i relatori figurano anche Silvio Ferrari, Alberto Melloni, Paolo Naso, Marco Ventura, Roberto Zaccaria.

Il testo dell’intervento di mons. Galantino. [SCARICA]

 


 


Pluralismo e libertà religiosa in Italia. Il contributo della Chiesa

Roma, 17 Febbraio 2015 – Senato della Repubblica – Sala Zuccari

1. Il contributo del magistero

Ho accolto con piacere l’invito a partecipare a questa iniziativa di studio promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, perché sono convinto che il dialogo su temi così rilevanti e complessi come quello della libertà religiosa rappresenti non solo una possibilità ma anche una necessità, e che alla base di ogni vero dialogo ci sia l’incontro, da cui si genera la prima conoscenza dell’altro.

Ci troviamo in una società ormai sempre più plurale, interculturale e multireligiosa, dove mutamenti accelerati e profondi del contesto cultuale e sociale mettono in crisi o perlomeno revocano in dubbio assetti e istituti da lungo tempo consolidati. Occorre lasciarsi interrogare dalle nuove esigenze che appaiono meritevoli di riconoscimento e tutela, evitando il rischio di ripetere con pigrizia intellettuale schemi di lettura non più adeguati. In tal senso, è di grande aiuto l’insistenza con cui Papa Francesco invoca una Chiesa “in uscita”, intesa come comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova (cf. EG 24).

Il punto di partenza per illustrare il contributo della Chiesa al tema del pluralismo e della libertà religiosa in Italia viene offerto dagli insegnamenti conciliari e dal magistero degli ultimi pontefici, che rappresentano l’orizzonte di riferimento nel quale si collocano gli interventi e le prospettive di impegno della Chiesa italiana.

Secondo la nota definizione conciliare il contenuto della libertà religiosa “è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (Dignitatis humanae”, n. 2; cf. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2016 e 2018).

Questo diritto alla libertà religiosa, osservava Paolo VI nella sintesi dei documenti conciliari con riferimento alla Dichiarazione Dignitatis humanae, “è fondato sulla dignità della persona umana; da questa dignità scaturisce in effetti il dovere morale di ricercare la verità, soprattutto in materia di religione, e di vivere secondo gli insegnamenti della verità; ogni costrizione esercitata dagli uomini intralcia la ricerca della verità. I diritti delle comunità religiose e della famiglia scaturiscono dalla natura sociale dell’uomo. La libertà religiosa deve essere garantita dalla legge”.

La garanzia della libertà religiosa non deve essere rivendicata solo di fronte ai casi di aperta persecuzione, ma anche riguardo a rischi forse meno evidenti e tuttavia ugualmente insidiosi. In tal senso, Giovanni Paolo II metteva in guardia dalla “pretesa che una società democratica debba relegare al puro ambito delle opinioni personali i credo religiosi dei suoi membri e le convinzioni morali derivanti dalla fede. A prima vista, ciò sembra essere un atteggiamento di dovuta imparzialità e “neutralità” … Ma, chiedere ai cittadini, nella partecipazione alla vita pubblica, di mettere da parte le loro convinzioni religiose non vuol forse dire che la società, oltre ad escludere il contributo della religione alla sua vita istituzionale, si fa anche promotrice di una cultura che dell’uomo offre una definizione che ne sminuisce la vera essenza? In particolare, al cuore di ogni grande istanza sociale ci sono interrogativi morali. Ora si vorrebbe forse che i cittadini i cui giudizi morali sono basati sulle loro convinzioni religiose non esprimessero le loro convinzioni più profonde? E quando questo accade, non è forse la democrazia stessa a essere svuotata del suo significato più vero? Non dovrebbe un reale pluralismo prevedere che quelle profonde convinzioni possano essere espresse in un vivace e civile dialogo comune? La Chiesa sollecitamente incoraggia questo dialogo perché consapevole della sua utilità e della sua efficacia, a condizione che esso resti aperto alla verità oggettiva, alla quale è possibile giungere ed aderire, e non sia condizionato da una preconcetta visione “areligiosa” e “amorale” della persona umana e della comunità degli uomini. … Da parte loro, i credenti religiosi devono scrupolosamente attenersi al principio del dialogo e della persuasione. …” (Messaggio ai partecipanti al Congresso promosso nel XXX anniversario della promulgazione della Dignitatis Humanae del 7 dicembre 1995, nn. 5-6).

Questo genere di dialogo, osservava Benedetto XVI in occasione dell’incontro con i leaders di altre religioni svolto a Londra il 17 settembre 2010, “deve porsi su diversi livelli e non dovrebbe essere limitato a discussioni formali. Il dialogo della vita implica semplicemente vivere fianco a fianco ed imparare l’uno dall’altro in maniera da crescere nella reciproca comprensione e nel reciproco rispetto. Il dialogo dell’azione ci fa ravvicinare in forme concrete di collaborazione, mentre applichiamo le nostre intuizioni religiose al compito di promuovere lo sviluppo umano integrale, lavorando per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Questo tipo di dialogo può includere l’esplorare assieme come difendere la vita umana ad ogni stadio e come assicurare la non esclusione della dimensione religiosa di individui e comunità dalla vita della società. …”.

Sull’importanza del dialogo è tornato di recente a più riprese Papa Francesco.

Perché sia efficace, ha osservato Francesco, il dialogo e l’incontro con altre religioni “deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni. Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune. Nuove strade si apriranno per la mutua stima, cooperazione e anche amicizia.” (Discorso in occasione dell’incontro interreligioso ed ecumenico a Colombo, Sri Lanka, 13 gennaio 2015)

In quest’ottica, ha affermato nel Discorso all’incontro con i leaders di altre religioni e altre denominazioni cristiane (Tirana, 21 settembre 2014), la libertà religiosa “non è un diritto che possa essere garantito unicamente dal sistema legislativo vigente, che pure è necessario: essa è uno spazio comune – come questo –, un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa. Mi permetto di indicare due atteggiamenti che possono essere di particolare utilità nella promozione di questa libertà fondamentale. Il primo è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull’altro … Un secondo atteggiamento è l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. …”.

La pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. “La pacifica convivenza tra le differenti comunità religiose, infatti, è un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo. E’ un valore che va custodito e incrementato ogni giorno, con l’educazione al rispetto delle differenze e delle specifiche identità aperte al dialogo ed alla collaborazione per il bene di tutti, con l’esercizio della conoscenza e della stima gli uni degli altri. …” (Discorso in occasione dell’incontro con le autorità nel viaggio apostolico a Tirana, 21 settembre 2014).

2. Il contributo della Chiesa italiana

Queste chiare enunciazioni del magistero costituiscono il quadro ideale di riferimento nel quale si collocano gli interventi della Chiesa italiana. Più volte invitata a intervenire nel dibattito sulle diverse proposte di legge recanti norme per l’abrogazione della legislazione sui culti ammessi del 1929 e per la libertà religiosa che sono state presentate in Parlamento nel corso degli ultimi venti anni, la Conferenza episcopale ha manifestato una costante attenzione e un apprezzamento in linea di principio positivo, sia pure con alcune avvertenze illustrate con spirito costruttivo e in vista di un risultato quanto più possibile condiviso.

In particolare, è stata condivisa la necessità di superare la legislazione sui «culti ammessi» degli anni 1929-1930, che, per quanto emendata negli aspetti più negativi dagli interventi della Corte costituzionale, esprime un’impostazione ispirata più a una concessione sospettosa e avara che al pieno riconoscimento dei diritti originari delle persone e delle comunità religiose. La stessa nozione di «culto ammesso» risulta stridente sia con i principi costituzionali, sia con i limpidi indirizzi della dichiarazione conciliare «Dignitatis humanae» e del successivo magistero della Chiesa cattolica, dai quali emerge nettamente l’esigenza di non limitarsi alla dimensione della mera tolleranza e di procedere a un pieno riconoscimento della libertà religiosa in tutte le sue dimensioni.

Parimenti essenziale è stato giudicato dare attuazione al principio della “eguaglianza nella libertà” sancito dal primo comma dell’articolo 8 della Costituzione, mantenendo chiara al tempo stesso la garanzia complementare ma distinta offerta, rispettivamente per la Chiesa cattolica e per le confessioni diverse dalla cattolica, dagli articoli 7 e 8, commi 2 e 3 della Costituzione, come pure il principio guida della bilateralità pattizia consacrato da tali disposizioni. I valori del pluralismo infatti, così come non postulano una sorta di «livellamento al basso» quale unica possibilità per garantirne il rispetto, analogamente non esigono un’omogeneizzazione verso l’alto di realtà diverse fra loro.

In terzo luogo, è stata segnalata l’esigenza di non sottovalutare i problemi connessi alla diffusione anche nel nostro paese di nuovi movimenti pseudoreligiosi e delle sette, ovvero le questioni nuove legate al carattere sempre più multietnico, interculturale e multireligioso della nostra società plurale.

Sono avvertenze di carattere generale che sembrano ancora oggi pienamente attuali, e utili per affrontare seriamente (e serenamente) le nuove sfide derivanti da un pluralismo confessionale sempre più dinamico e articolato.

Non è in discussione la necessità di assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo e pietra angolare dell’edificio dei diritti umani. La garanzia del fondamentale diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni, non ultima quella propriamente istituzionale, costituisce infatti la condizione per una pacifica convivenza e per una corretta laicità.

Quel che pare necessario approfondire insieme è l’impostazione e la finalità di un eventuale intervento legislativo, che rimane auspicabile se puntualmente circoscritto nelle sue finalità (si pensi ad esempio all’edilizia per il culto, al rispetto di pratiche e norme rituali connesse alle varie tradizioni religiose, al riconoscimento dei ministri delle confessioni che possono celebrare matrimoni con effetti civili, ecc.) e armonico rispetto al disegno costituzionale, oltre che pienamente rispettoso degli accordi e delle intese fin qui stipulati. Occorre infatti evitare il rischio di una sorta di amnesia o di strasbismo che – in ossequio a parole d’ordine solo in apparenza nuove – porti a ignorare o a trascurare principi e valori fondamentali per il complesso sistema dei rapporti fra Stato e confessioni religioso (o che, peggio, dichiari di rispettarli ma in realtà miri a superarli o capovolgerli surrettiziamente). Un sistema che fino ad oggi ha dato buona prova di sé, anche grazie allo spirito di leale collaborazione che ha orientato la sua progressiva attuazione.

Lo stesso spirito, evocato nella prospettiva concordataria “per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1 Accordo che apporta modificazioni al concordato lateranense), può aiutare, su un piano più generale che veda coinvolti insieme allo Stato tutti i diversi soggetti confessionali, nell’elaborazione di eventuali futuri interventi volti a superare talune criticità che ancora rimangono, in particolare sul piano dei diritti delle confessioni più piccole e di più recente radicamento nel Paese.

Siamo in una stagione che presenta indubbi elementi di novità, sia per lo Stato sia per la Chiesa. Il tempo è propizio per cercare insieme una risposta adeguata alle esigenze della multireligiosità. Forse non si potrà essere d’accordo su tutto, ma è necessario che su tutto ci si confronti, con attenzione alle diverse identità e nel rispetto di una laicità che è (non monista “alla francese” ma) pluralista e inclusiva, secondo le caratteristiche proprie dell’esperienza italiana quali indicate dalla Corte costituzionale (sentenza n. 203/1989) già sul finire degli anni ’80.

Una siffatta concezione della laicità, che implica “non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”, sembra del resto trovare conferma anche a livello comunitario nella previsione del dialogo “strutturato” tra Unione europea e Chiese e comunità religiose (oltre che organizzazioni filosofiche e non confessionali) contenuta nell’art. 17, n. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la cui attuazione, come è stato osservato, pare destinata a influenzare profondamente lo stesso principio di laicità.

✠ Nunzio Galantino
Vescovo di Cassano all’Jonio
Segretario generale della CEI