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Sento di Essere gli Occhi di Tutte le Donne


SENTO DI ESSERE GLI OCCHI DI TUTTE LE DONNE

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“Tanto più la mano che ci colpisce,

ci è cara, tanto più sentiamo il colpo”

(Madeleine de Puisieux)

Oggi, 25 Novembre, ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nella stigmatizzazione di questa memoria, avverto una certa insofferenza, una quasi retorica, per cui siamo ancora condannati a ricordare qualcosa dai contorni ridondanti ma che, alla luce di quanto viviamo, acquisisce un senso dolorosissimo. Appare retorico poiché non si dovrebbe impiegare del tempo a ricordare qualcosa che non dovrebbe esistere nelle intenzioni umane. Mi addolora quell’abitudine della cronaca a raccontare, costantemente, di violenze sulle donne, ma da certi fatti umani, non ci si può sentire esclusi. Se ci tirassimo fuori dalla riflessione su questo tema, risulteremmo complici, col silenzio, di quella barbarie che è sempre più sotto ai nostri occhi e che non può renderci ciechi. La storia del mondo è una storia che in più epoche e con modalità differenti, ha vilipeso la donna, ne ha offeso il corpo e l’anima, ne ha tradito il coraggio e la determinazione. Oggi parlare di violenza sulle donne, vuol dire raccontare di quegli uomini che non sono riusciti a cogliere, nell’incontro con la donna, la grande esperienza di crescita che caratterizza tutti i rapporti umani. Questo, lontano da quelle logiche “maschiocentriche” imposte dalla nostra società, per cui la donna è diventata quasi il feticcio della sua stessa corporeità. Ci ha ricordato Papa Francesco che è “da come trattiamo il corpo della donna che comprendiamo il nostro livello di umanità”, di quella umanità che non è fatta da eroi, ma da persone di senso, di tenerezza, di seduzione dell’anima. Quando penso alle donne, mi piace pensarle come veneri paleolitiche, così lontane dai nostri canoni estetici anoressizzanti ma così piene di pulsioni di vita, di valore di appartenenza alla terra, di un generativo senso procreativo che le rende custodi del Vangelo di Gesù, poiché custodisce la vita. I fianchi sono larghi perché dentro c’è una culla in avorio satinato per la nuova vita. I fianchi della donna sono portali, le maniglie per l’amore, il luogo dietro a cui i bambini possono nascondersi (Clarissa Pinkola Estés). Allora, allontaniamoci dalla retorica della memoria, in direzione di un cambiamento che parta dal basso, dai bambini, che non si sentano più legittimati da un colore, che sia il rosa o il blu, ma dall’esempio di quegli adulti consapevoli, dalla cura e dall’abbattimento della disuguaglianza, attraverso una maggiore empatia al rispetto del corpo affinché sia, sempre, rispetto anche dell’anima. Ricordiamoci inoltre che è violenza anche l’offesa, la superficialità ed il non amore. Quanto è violento il non amore, il dare per scontato, l’irriconoscenza, la messa in piazza di una intimità condivisa. Spesso, è violenza anche quel silenzio che cela l’omertà della non denuncia. Allora reimpariamo la grammatica del rispetto, studiamo la vita e l’esempio di donne vittime degli uomini e della storia e, forse, vittime della nostra dimenticanza. Oggi mi sento Ipazia d’Alessandria, Giovanna d’Arco, Artemisia Gentileschi, Anna Bolena, Madre Teresa di Calcutta, Franca Rame e Indira Gandhi. Oggi mi sento di essere gli occhi di tutte le donne che soffrono per aver amato troppo, per aver sentito troppo, per aver investito troppo, forse, per aver sognato troppo, rimanendo vittime del disincanto violento degli uomini e dell’invidia di altre donne. Che oggi non sia, retoricamente un giorno di memoria, ma un nuovo passo di storia della civiltà.  

Essere se stesse significa essere esiliate da molti altri, e compiacere le richieste altrui fa sì che ci si senta esiliate da se stesse. È una tensione tormentosa e difficile da sopportare, ma la scelta è chiara.
(Clarissa Pinkola Estés – Donne che corrono coi lupi)

Cassano allo Ionio, 25 novembre 2020

+ Francesco Savino