Omelie

VI Domenica di Pasqua


 

At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1 Pt 3,15-18; Gv 14,15-21

 

Domenica  14  Maggio  2023

 

La VI Domenica di Pasqua ha, come annuncio centrale, la promessa dello Spirito del Signore ai discepoli e in questo modo la liturgia ci avvicina alle solennità dell’Ascensione e della Pentecoste.

Il brano del Vangelo è la diretta continuazione di quello di domenica scorsa, tratto sempre dal capitolo 14 del Vangelo di San Giovanni.

Se la prima parte del capitolo aveva come tema la fede in Gesù, la seconda parte ha come tema l’amore per Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.

Opportunamente afferma Enzo Bianchi: “Nessuna opposizione tra fede in Gesù e amore per Gesù, perché credere non è un atto intellettuale ma è un’adesione, un coinvolgimento con la vita di Gesù; e un coinvolgimento si può attuare solo nella libertà e per amore”.

Va anche annotato, per una comprensione profonda del testo del Vangelo, che l’evangelista Giovanni parla di comandamento sia al singolare che al plurale, spesso in parallelo con parola oppure parole, a volerci dire non tanto la valenza morale dei precetti quanto la rivelazione che Gesù porta in sé: Egli dona la vita definitiva. Amarsi nella misura in cui Gesù ama noi porta a compiere tutta la legge. Anche l’apostolo Paolo afferma la stessa cosa nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 13, 10).

Significativa è anche la dichiarazione che Gesù fa: “un altro Paraclito”, vocabolo greco composto da “parà” e “kletós”, dove parà vuol dire presso e kletós vuol dire chiamato. Paraclito, quindi, annota il biblista Ernesto della Corte “vuol dire chiamato presso e corrisponde al latino advocatus, l’avvocato, colui che aiuta, che intercede per difendere. Siamo davanti ad un termine di tipo giudiziario ma con una valenza diversa rispetto al nostro linguaggio. Qui dobbiamo intendere paraclito come amico che assiste, che è vicino nelle difficoltà, che soprattutto consola”.

Lo Spirito è l’altro Paraclito, perché il primo Paraclito è Gesù stesso. Esso consente di rimanere in comunione con il Signore risorto anche dopo la sua Pasqua, universalizzando e interiorizzando la sua presenza,  in ogni credente che sia disponibile a custodire la Parola di Gesù e a rimanere stabilmente nel suo amore.

È molto chiara la promessa di Gesù in questo testo del Vangelo di Giovanni: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete perché io vivo e voi vivrete […]. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”.

È grazie al dono dello Spirito, quindi, che Egli ci consente di percepire una presenza.

In questa prospettiva è chiara anche l’affermazione alquanto enigmatica di Gesù: “Voi lo conoscete perché Egli rimane presso di voi e sarà in voi”. I discepoli già nel presente della loro vicenda storica conoscono lo Spirito perché conoscono Gesù e lo Spirito rimane presso di loro perché Gesù, nel mistero della sua incarnazione e del suo cammino storico, è con loro. Dopo la Pasqua, cioè nel futuro presente, lo Spirito sarà in loro. Il passaggio pasquale che Gesù si appresta a vivere, dalla morte alla Resurrezione, da questo mondo al Padre, è un passaggio anche per lo Spirito e per i discepoli: la presenza dell’altro Paraclito da un semplice rimanere presso di loro diverrà un dimorare in loro. È significativo, quindi, comprendere il gioco verbale tra il presente e il futuro. Gesù, nella sua Pasqua, nel suo passare da questo mondo al Padre, viene ad abitare nella interiorità di ogni discepolo ed è in questo modo che va intesa la promessa di Gesù a conclusione del Vangelo di questa Domenica: chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.

Dopo il passaggio Gesù tornerà a manifestarsi ai discepoli, non soltanto ai discepoli storici della prima comunità, quando Lui era presente nella carne, ma a tutti i discepoli di ogni generazione e sarà una manifestazione non più nella carne ma nello Spirito, non più nella storia ma nella interiorità della fede e dell’amore, non per operare personalmente i gesti terapeutici della liberazione dal male, come ha fatto negli anni della sua “vita pubblica”, ma per realizzarli attraverso gli stessi discepoli che, grazie alla Sua presenza in loro, potranno fare le sue stesse opere e addirittura di più grandi (cfr Gv 14, 12).

Mentre il tempo pasquale volge al suo compimento che è la Pentecoste con la memoria dell’effusione dello Spirito, la liturgia ci fa già gustare i molteplici doni dell’altro Paraclito.

Il testo degli Atti degli Apostoli di questa Domenica ci ricorda che l’ultima tappa dell’opera di evangelizzazione è l’imposizione delle mani sempre per conferire il dono dello Spirito Santo. Tutto, allora, si compie nel dono dello Spirito, perché grazie ad esso non solo ascoltiamo un insegnamento e lo accogliamo, non solo siamo liberati da ogni forma di male, a partire dal peccato, ma accogliamo la vita stessa di Dio in noi e diventiamo un solo essere in Lui. Grazie al dono dello Spirito, che sant’Agostino chiamava il nostro Maestro interiore, non solo possiamo “dimorare”, cioè costruire la nostra vita nell’amore di Dio, ma ci consentirà di rendere ragione della nostra speranza a tutti coloro che incontriamo, come credenti, sui sentieri più o meno interrotti della nostra esistenza.

Nella giornata della festa della mamma, che oggi viene laicamente ricordata, il richiamo ad un amore puro, gratuito e illimitato, ci conforta ancora di più come memoria presente di un Bene che oltrepassa la nostra natura umana e ci permette uno sguardo di riconoscenza per il dono della vita che non è nelle nostre mani, ma nell’abbandono totale e certo allo Spirito del Signore, presente in noi.

Possiamo allora veramente ringraziare il Signore per il dono del Paraclito, perché senza la Sua presenza saremmo veramente “condannati” ad una vita senza significato e senza fine.

Facciamolo con la parola orante di Santa Teresa di Lisieux:

«Viver d’Amore è custodire Te,
Verbo Increato, Parola del mio Dio!
Ah, tu sai che t’amo, Gesù divino!
Lo Spirito d’Amor tutta m’infiamma.
È amando Te che io attiro il Padre:
il debole mio cuore lo trattiene.
O Trinità, tu ormai sei prigioniera del mio Amore!»

 

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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