Omelie

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 26 giugno 2016


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26 giugno 2016

Siamo entrati nella seconda metà dell’Anno Liturgico. A partire da questa Domenica, XIII del T.O., saremo  chiamati ad accompagnare Gesù  verso la città santa, Gerusalemme.  Da oggi fino all’ultima Domenica dell’Anno Liturgico,  viene proposta alla nostra attenzione la lunga sezione narrativa del Vangelo di Luca che riguarda   la drammatica salita di Gesù (cfr. Lc 9,51-19,27).

La domanda forte che il Vangelo ci pone è come seguire il Signore Gesù, come camminare dietro di Lui. Abbiamo ascoltato che l’evangelista scrive: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a se” (Lc 9,51-52). E’ più di una ferma decisione, quella di Gesù di muoversi verso la città santa: traducendo alla lettera il testo greco, dovremmo dire che “Gesù rese duro il suo volto per andare a Gerusalemme”. Tale precisazione lucana è di  intensità e profondità inaudite e  richiede attenzione per cui cercherò di fornire alcuni dati ermeneutici.

La frase “Mentre stavano compiendosi i giorni” Luca l’aveva già usata nel racconto della nascita di Gesù: “mentre si trovavano in quel luogo si compivano per lei i giorni del parto” (2,6). Secondo l’autore del terzo Vangelo, siamo dunque arrivati ad un momento decisivo, alla fine del tempo di Gesù che coincide con il mistero della sua passione e morte. E’ da sottolineare che Gesù è consapevole della sua fine imminente; le sue scelte, le sue parole, il suo essere segno di contraddizione hanno indotto i “poteri forti” alla decisione che è necessario  ucciderlo: è un rivoluzionario delle coscienze di chi incontra; la sua è  una rivoluzione che cambia anche le strutture; Egli è  un “pericolo”, quindi bisogna eliminarlo.

Gesù invia alcuni messaggeri incaricati di annunciare il suo arrivo ma, quando giungono in un villaggio samaritano,  essi vengono respinti a causa della rivalità religiosa tra  Giudei e  Samaritani (cfr. Gv 4,9). E’ la prova provata  non solo che  Gesù non  è sempre accolto ma  anche che la sua volontà è di non vendicarsi mai, di non reagire con la violenza, al contrario dei suoi discepoli, in particolare dei “figli del tuono” (Mc 3,17) cioè Giacomo e Giovanni, che vorrebbero far scendere un fuoco dal cielo su chi li ha respinti. Gesù è al di sopra della logica “occhio per occhio, dente per dente”. All’ostilità non risponde con l’ostilità, vive quell’amore per il nemico che Lui stesso insegna, anzi, per dirla con padre Ermes Ronchi “Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico”.  E anche il discepolo di Gesù è chiamato sempre a fare il bene, anche nei confronti di chi lo respinge o gli fa del male.

Mentre Gesù sale verso Gerusalemme (la vita di Gesù è tutta una storia di incontri, di relazioni, di volti rivolti), si propongono  due personaggi che vogliono diventare discepoli e un altro, interpellato da Gesù, che gli pone delle condizioni preliminari per seguirlo. Il primo dice: “Ti seguirò dovunque tu vada”.  Con lui Gesù, che non illude o inganna mai nessuno, insiste sulla «precarietà» propria di chi pone come metro ultimo del suo agire solo il Regno di Dio: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Nelle parole  di Gesù va sottolineata la radicalità del discepolo, che deve rinunciare ad ogni autoreferenzialità o presunzione di sé. Al secondo personaggio è Gesù stesso che rivolge la chiamata ma si sente rispondere: “Signore concedimi di andare a seppellire prima mio padre”. il Signore non ammette tergiversazioni, temporeggiamenti, neanche per  adempiere ai doveri di pietà familiare (cfr. Es 20,12; Tb 4,3): il primato, senza se e senza ma, va riconosciuto a Gesù, nel “qui ed ora” della vita di chiunque voglia mettersi alla sua sequela. Ad un altro ancora, che  a Gesù aveva detto: “Ti seguirò, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa”, diversamente da Elia che aveva concesso di salutare i suoi ad Eliseo (cfr. 1 Re 19,19-21),  Gesù afferma: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio”.

Come scrive Enzo Bianchi,  “la vita cristiana è questione di risolutezza e di perseveranza: risolutezza come necessaria mobilitazione delle energie per scegliere e perseguire lo scopo, perseveranza come fedeltà quotidiana fino alla morte. Dobbiamo essere ogni giorno “dimentichi di ciò che sta dietro e protesi verso ciò che sta davanti” (Fil 3,13), Gesù Cristo, che sempre ci precede nel cammino verso il Regno” .

La proposta di seguire  Gesù, valida per tutti i cristiani, è chiara e limpida. Gesù non è un demagogo, né un retore a buon mercato, ma il messia che sulla chiamata a seguirlo non vuole illudere e deludere nessuno.

Come rispondiamo, in questa Domenica, alla chiamata del Risorto che nasce dal suo amore indiscutibile verso di noi? All’amore asimmetrico di Gesù si può rispondere soltanto con un amore  incondizionato che mette il Signore al primo posto, al di sopra di tutto e più di ogni altro amore.

Facciamo un serio esame della nostra condizione di sequela, nella consapevolezza che la nostra risposta può essere totalizzante solo se consideriamo il Signore Gesù, il Risorto, come il tesoro più prezioso della nostra vita (cfr. Mt 13,44).

Ancora una domanda può esserci d’aiuto: vale la pena vivere la  vita come l’ha vissuta Lui?

Auguro a tutti che le domande di senso, forti e vere, che il Vangelo di questa Domenica pone a noi cristiani,  non siano eluse o evase.

   Francesco Savino