Omelie

XIII DOMENICA DELTEMPO ORDINARIO(anno C)


1 Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62

26  Giugno  2022

Con il brano del Vangelo di questa Domenica si apre la seconda parte del Vangelo secondo Luca, quella che ci racconta e ci testimonia il viaggio di Gesù a Gerusalemme, dove sarà arrestato, condannato e crocifisso. L’introduzione è veramente solenne: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione (l’espressione letterale è: rese duro il suo volto) di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a Lui”.

La decisione di Gesù è radicale e totale e quanti sono alla sua sequela sono invitati a misurarsi con essa.

I messaggeri inviati da Gesù a preparare la strada come nuovi precursori, entrati in un villaggio di samaritani, vengono respinti.

I samaritani, scismatici e ritenuti impuri dai giudei, considerati come una feccia, non accolgono il Vangelo e rifiutano Gesù perché era galileo diretto a Gerusalemme.

L’evangelista Luca annota la reazione dei due discepoli fratelli, Giacomo e Giovanni, denominati “figli del tuono”, che si sentono offesi e, confidando nel potere dato loro da Gesù, desiderano che “scenda un fuoco dal cielo e li consumi”, riferendosi ai samaritani.

Gesù “si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio”. “Lungo la strada che sta percorrendo, Gesù fa anche altri incontri. Le persone che incrociano la strada del maestro, sono tutte indicate da un pronome indefinito: sono dei tali che stanno cercando un’identità, un’identità che però si allontana ogni volta che rinunciano a decidere. Si tratta di persone che hanno tra le mani proprio quella domanda fondamentale: per chi voglio essere?

Molte volte, come ha scritto Papa Francesco proprio nella Christus vivit, rischiamo di passare la vita “seduti su un divano” (cfr. n.143). Non si può trovare il senso della vita se continuiamo a cercare tane e nidi, cioè rifugi dove nasconderci o cercare consolazione. La vita va affrontata, esponendosi anche alla fatica e alla delusione. Occorre rischiare!

Decidere vuol dire anche avere la capacità di separarsi dal proprio passato. Non ci si può rinchiudere nei sepolcri della propria storia. La memoria deve spingerci ad andare avanti. Se ci blocca e ci impedisce di andare avanti, vuol dire che è una memoria malata, di cui siamo diventati prigionieri” (Gaetano Piccolo).

“Ti seguirò dovunque tu vada”: è la promessa solenne del primo incontro. Parole molto generose, convinte, che contengono una proposta senza condizione. Gesù senz’altro riconosce in questo tale entusiasmo ma sa che ciò non è sufficiente per durare nella vocazione.

Egli non chiama Gesù “Signore”, non ha fede in lui, è uno di quelli che vuole dare a se stesso una vocazione e non riceverla. È un autocandidato alla sequela! Gesù afferma con chiarezza, non si nasconde dietro il politicamente corretto, le difficoltà del cammino del discepolo: “le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

A un altro dice: «Seguimi». E costui risponde: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». È una richiesta legittima, che ha il fondamento sul comandamento che richiede di onorare il padre e la madre. Gesù nella risposta gli chiede di interrompere il legame con l’ordine familiare e con la religione della legge, dei doveri: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.

“Tu fa cose nuove. Se ti fermi all’esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza («Non pensate pensieri già pensati da altri», scriveva padre Vannucci). Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva” (cfr. Ermes Ronchi).

Infine un terzo si avvicina a Gesù e gli promette di seguirlo, chiedendogli soltanto una dilazione per congedarsi dalla famiglia. Gesù proclama con forza che se uno che ha messo in mano l’aratro guarda indietro, non solo scava male il solco, ma non sa concentrarsi sulla meta, mostrando così di non essere adatto per il regno di Dio.

“Concludo questi cenni di commento con una certa tristezza. Innanzitutto perché non siamo noi stessi capaci di questa radicalità, perciò non dobbiamo giudicare gli altri. Ma tristezza anche perché ormai la voce di molti cristiani, sì la voce di molti, anche pastori della chiesa, non sa più ripetere le parole del Vangelo con il prezzo che esse esigono. Nell’angoscia dovuta alla mancanza di vocazioni per le opere che essa decide, la tentazione è quella di abbellire la chiamata, come chi fa pubblicità per un prodotto senza indicarne i costi: questa è mondanità, non radicalità evangelica!” (Enzo Bianchi).

Le circostanze, allora, ci sono date perché maturi in noi la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza, affinché noi prendiamo veramente coscienza che essa è un Altro e di un Altro, e che a Lui occorre rispondere.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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