Omelie

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(anno C


Qo 1, 2; 2, 21-23; Sal 94; Col 3,1-5. 9-11; Lc 12,13-21

31 Luglio 2022

 

Il rapporto uomo-beni è stato da sempre al centro della riflessione umana e il retto uso delle ricchezze accompagna sin dal principio l’esperienza ebraica e cristiana registrata nelle sacre scritture. Il denaro viene di volta in volta demonizzato, divinizzato, assolutizzato o considerato semplicemente come strumento che comunque costituisce sempre un problema.

A Gesù mentre continua il suo viaggio verso Gerusalemme viene posta una domanda molto concreta riguardo alla spartizione dell’eredità, affinché potesse dirimere la contesa tra due fratelli: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. “La Legge stabiliva che alla morte di un soggetto proprietario di beni immobili, cioè terra e casa, l’eredità spettava al figlio maschio primogenito, così che il patrimonio non fosse diviso, spezzettato (cf. Dt 21,17). Tuttavia agli altri figli era riservata una parte dei beni mobili. Nel nostro caso, per l’appunto, sembrerebbe che sia il figlio minore a chiedere a Gesù di intervenire perché sia onorato il suo diritto, probabilmente non riconosciuto dal fratello maggiore. Era sempre possibile, anzi era la norma ideale che i fratelli condividessero l’eredità, mostrando in tal modo di riconoscere la fraternità come un bene (cf. Sal 133,1); ma non sempre ciò avveniva…” (E. Bianchi)

Gesù di fronte a questa richiesta, che sembra più un comando che una domanda, non solo si rifiuta di esaudirla, ma in modo spazientito dice: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” Molte possono essere le domande sul perché Gesù replichi così, ma, probabilmente, al netto di ogni riflessione, possiamo intuire che Egli abbia letto nella richiesta non tanto una sete di giustizia quanto una brama di possesso. Infatti sceglie di andare alla radice del problema, mettendo in guardia da ogni forma di cupidigia presente nel cuore dell’uomo, che spesso è la causa di ogni conflitto: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.

Gesù invita alla vigilanza rinnovata perché la seduzione del possesso dei beni, veri idoli, non impedisca al credente non solo il riconoscimento autentico di Dio, ma anche una vita pienamente umana, che, per ogni uomo, rimane sempre un compito. Spesso la persona cede alla illusione di credere che la pienezza della vita gli venga data da ciò che possiede e non da ciò che è. Come opportunamente scriveva Erich From: “Si direbbe che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che se uno non ha nulla, non è nulla”.

Gesù per rafforzare questa sua ammonizione racconta una parabola. C’è un grande proprietario terriero la cui campagna prospera in modo straordinario. Il frutto è abbondantissimo, tanto che egli si trova impreparato: dove ammassare tutto il raccolto? Comincia allora a pensare a come poter sfruttare quell’abbondanza e decide di demolire i vecchi magazzini, troppo piccoli, e di costruirne altri più grandi, per conservare in essi il grano e gli altri beni. Ma a quel punto si considera anche soddisfatto, autosufficiente, sicuro di sé, fino a poter dire a se stesso: “Ora che disponi di molti beni, per molti anni, riposati, mangia, bevi e divertiti!”. È un programma di vita nel quale il suo io diventa l’unico soggetto: “Io farò, io demolirò, io costruirò, io raccoglierò, io dirò a me stesso!”. E tutto il resto – raccolti, magazzini, e beni – sono accompagnati dall’aggettivo possessivo “miei”.

Il modo di pensare e di agire di questo grande proprietario terriero non è estraneo al nostro cuore, spesso abitato dal desiderio di accumulare il più possibile. La sorpresa arriva per lui a conclusione della parabola Dio gli dice: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”.

La morte che ci attende tutti proprio perché è l’altra faccia della vita rivela il limite del possesso, del potere, del piacere, e riconduce ogni persona alla realtà e alla fragilità umana. L’ora della morte sarà anche quella dell’incontro con Dio, che renderà manifesto ciò che ciascuno di noi ha pensato, detto e fatto nei giorni della sua vita terrena. In quel momento sarà evidente la verità assoluta sulla vita umana che, non dimentichiamolo, non finisce con la morte ma con la “vita eterna”, che consiste nel vivere per sempre con Cristo, il Risorto per sempre.

“…A maggior ragione dunque, quale differenza tra il cielo e la terra! Tu inoltre avresti dovuto lasciare quaggiù l’oro e l’argento, ma tu non dovevi rimanervi per sempre. Io invece vi darò un bene diverso, più abbondante e migliore, e ve lo darò per l’eternità. Spegniamo quindi, fratelli, la nostra brama di denaro in modo da lasciarci infiammare da un’altra brama ch’è santa. L’avarizia, che con ogni mezzo cerca d’impedirvi di fare il bene, vi seduce con un linguaggio nefasto; voi volete essere schiavi d’una padrona crudele perché non volete riconoscere il Signore ch’è buono. Talvolta il cuore è sotto il dominio di due padrone dalle quali è straziato in direzioni opposte il cattivo servitore, che merita d’essere schiavo di siffatte padrone.” (S. Agostino, Discorso 86, 5,5)

Augurandoci buona domenica lasciamoci convertire dalla parola di Gesù ricordandoci quanto ci dice Qoelet: “Vanità delle vanità, vanità delle vanità: tutto è vanità”.

               ✠   Francesco Savino

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