Omelie

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario 19 Novembre 2017


XXXIII  DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]

19 Novembre 2017

 

Oggi, penultima Domenica dell’anno liturgico, quella che precede la festa di Cristo Re dell’universo, la nostra attenzione è richiamata sulla responsabilità di custodire la nostra vita e quella degli altri.

Ritengo necessaria una premessa di Enzo Bianchi per non cedere a interpretazioni equivoche e devianti della parabola dei talenti che leggiamo nel Vangelo di Matteo.

“La parabola dei talenti proposta dalla liturgia odierna è una parabola che, secondo il mio povero parere, oggi è pericolosa: pericolosa perché più volte l’ho sentita commentare in un modo che, anziché spingere i cristiani a conversione, pare confermarli nel loro attuale comportamento tra gli uomini, nel mondo e nella chiesa. Dunque forse sarebbe meglio non leggere questo testo, piuttosto che leggerlo male… In verità questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza (tanto meno a quella economica o finanziaria), non è un inno alla meritocrazia, ma è una vera e propria contestazione verso la comunità cristiana che sovente è tiepida, senza iniziativa, contenta di quello che fa e opera, paurosa di fronte al cambiamento richiesto da nuove sfide o dalle mutate condizioni culturali della società. La parabola non conferma “l’attivismo pastorale” di cui sono preda molte comunità cristiane, molti “operatori pastorali” che non sanno neppure leggere la sterilità di tutto il loro darsi da fare, ma chiede alla comunità cristiana consapevolezza, responsabilità, audacia e soprattutto creatività. Non la quantità del fare, delle opere, rende cristiana una comunità, ma la sua obbedienza alla parola del Signore che la spinge verso nuove frontiere, verso nuovi lidi, su strade non percorse, lungo le quali la bussola che orienta il cammino è solo il Vangelo, unito al grido degli uomini e delle donne di oggi quando balbettano: Vogliamo vedere Gesù!”

Lasciamoci dunque guidare dalla Sapienza per comprendere:

“Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì”.

L’uomo che parte è figura di Dio che, attraverso Suo Figlio Gesù Cristo, ha fiducia nell’uomo e prova gioia nell’offrire gratuitamente a ciascuno i suoi doni (cfr. Mt 10, 8) in modo personalizzato, tenendo conto di ciò che ognuno è in grado di ricevere. Nella nostra esistenza facciamo davvero fatica a riconoscere ed accogliere con gratitudine i doni ricevuti da Dio, a risponderne sempre e personalmente.

I due servi che avevano ricevuto rispettivamente i cinque e i due talenti li impiegarono guadagnandone altrettanti. Il terzo, invece, “andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone”. “Dopo molto tempo”, allusione al ritardo della parusia, della venuta gloriosa del Signore (cfr. Mt 24, 48; 25, 5), il padrone “tornò e volle regolare i conti con i servi”, i quali dovettero mostrare la loro capacità di rispondere della fiducia ricevuta. Presentatisi tutti davanti al padrone, i due servi che avevano “impiegato” bene i loro talenti dimostrarono di non averli né sprecati né inutilizzati. Ricevettero perciò l’elogio: “bene, servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Chi aveva ricevuto un solo talento dice: “so che sei un uomo duro, esigente, che fa ciò che vuole, raccogliendo anche dove non hai seminato”. Il padrone replica: “Dalle tue parole ti giudico”, si legge nel testo parallelo di Luca (cfr. Lc 19, 22). Questo servo afferma di avere un’ immagine del padrone che si è costruita, che gli fa paura perché richiede soltanto una scrupolosa osservanza di ciò che comanda. Tale idea del suo padrone lo ha portato a non correre rischi e a mettere al sicuro sottoterra il denaro ricevuto che ora restituisce tale e quale.

Dinanzi allo “stile di vita” del terzo servo, il Signore si adira: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e, così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. I

Questo servo è malvagio perché ha obbedito ad un’immagine non vera del Signore; è pigro perché ha vissuto secondo quest’immagine costruita arbitrariamente. Nel suo sistema di vita si evidenzia che è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato piuttosto che condividerli, è più facile conservare i tesori del passato che andare a scoprirne dei nuovi, è più facile diffidare di colui che ci ha fatto gratuitamente del bene piuttosto che rispondere con gratitudine nella libertà e per amore.

I protagonisti della parabola rappresentano due visioni opposte della vita: “l’esistenza e i talenti ricevuti come un’opportunità; oppure l’esistenza come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure” (Ermes Ronchi).

Che felice coincidenza tra la Parola di questa Domenica e la I Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco!

Siamo chiamati a vivere il tempo non in modo autoreferenziale o pilatesco, ma avendo a cuore i fratelli e le sorelle, particolarmente quelli impoveriti da un modello di sviluppo che mercifica tutto massimizzando i profitti fino a produrre scarti e avanzi umani.

In questa Domenica la povertà converta ognuno di noi ad un senso “alto ed altro” della vita e del mondo.

 

   Francesco Savino