Omelie

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)


 

Ml 3, 19-20; Sal 97; 2 Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19

13  Novembre  2022

 

L’anno liturgico volge al suo termine e la Parola di Dio ci apre una finestra sul futuro, su quel futuro che Egli ci ha promesso e che noi attendiamo con speranza, ma anche con un po’ di trepidazione e timore. La pagina del Vangelo prende avvio dalla constatazione fatta da “alcuni” circa la bellezza e lo splendore della costruzione del tempio, che, poco prima, Gesù aveva bollato come “una spelonca di ladri” (Lc 19, 46). A questo elogio, carico di entusiasmo, Gesù risponde utilizzando l’antico linguaggio dei profeti: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Gesù sa molto bene che tutte le grandi opere dell’uomo, anche le più sante e benedette, hanno una fine e anche il magnifico tempio di Gerusalemme, la stessa Gerusalemme, andranno in rovina (cfr. Lc 19, 44).

All’udire queste parole possiamo immaginare lo stupore degli ascoltatori ed ecco la domanda: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?”. C’è sempre una grande curiosità rispetto alla conoscenza dei tempi e delle modalità della manifestazione di un futuro che non si possiede e che pertanto desta indubbiamente paura e preoccupazione. Nel rispondere Gesù fa comprendere che non c’è bisogno di questa conoscenza ed esorta piuttosto a vivere il presente “con sapienza e discernimento, facendo attenzione a non lasciarsi ingannare da falsi profeti e mettendo in conto anche le persecuzioni e l’odio del mondo, ben sapendo però che, in tutto questo vi è l’assicurazione di sperimentare la potenza della sua protezione e la forza della sua parola” (Monastero di Dumenza). Gesù in questa prima parte del suo discorso evidenzia che non sono gli avvenimenti ultimi, quelli della fine, che devono preoccuparci, ma ciò che avviene “prima”, nell’oggi della storia in cui ci è dato di vivere. Aggiunge poi Gesù con tre imperativi, formulati al negativo: non lasciatevi ingannare, non andate dietro a loro, non vi terrorizzate. Gesù ci invita al discernimento e alla vigilanza, occorre riconoscere la venuta del vero messia e l’ora della salvezza, senza lasciarci sviare da illusioni pericolose e da attese impazienti. Non bisogna, puntualizza Gesù, lasciarci catturare dalla paura di fronte agli eventi drammatici della storia: le guerre e le rivolte non sono segni della fine dei tempi, tra l’altro li ritroviamo in ogni epoca, ma la manifestazione evidente di tutto il male di cui è capace l’uomo.

L’amico di Gesù, il suo discepolo, non deve lasciarsi condizionare da questi avvenimenti, quanto piuttosto cercare di viverli come un appello urgente alla conversione e come un luogo in cui esercitare la misericordia. Gesù sottolinea ancora che prima di tutti gli sconvolgimenti storici (guerre e rivoluzioni) e cosmici (terremoti, carestie, pestilenze, segni grandiosi dal cielo), i discepoli conosceranno persecuzioni e odio, così come li ha conosciuti il loro Maestro. In questo tempo di prova è importante non perdere la fiducia nella parola di Gesù, che promette la tutela di Dio in ogni circostanza. Coloro che soffriranno nel nome di Gesù riceveranno “parola e sapienza” sia per resistere alla violenza dei loro persecutori che per rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3, 15).

E nonostante tutto l’odio e la violenza “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”. Sembra una promessa quella di Gesù abbastanza sorprendente perché Lui stesso ha annunciato che alcuni subiranno una morte violenta. La cura infinita e misericordiosa di Dio per ciascuno dei suoi figli arriva anche a non dimenticare una piccola particella del nostro corpo, una particella “accidentale”. Possiamo, allora, trovare la forza della perseveranza nei giorni drammatici della prova, nel caos della storia e nell’ostilità di questo mondo, nella certezza di questa cura amorosa di Dio.

“Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (21, 19): la perseveranza che ci viene richiesta è quella di rimanere saldi nella fede, senza cedere allo scoraggiamento, restando fedeli con lo sguardo fisso su Colui che solo può assicurare il “guadagno della nostra vita”.

In questa penultima Domenica dell’anno liturgico, celebriamo la “VI Giornata Mondiale dei Poveri”.

Il Santo Padre Francesco nel suo messaggio parte dall’affermazione dell’Apostolo Paolo: “Gesù Cristo […] si è fatto povero per noi” (cfr. 2Cor 8, 9). E, tra l’altro, aggiunge: “La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà.

D’altronde, bisogna considerare che ci sono Paesi dove, in questi decenni, si è attuata una crescita di benessere significativo per tante famiglie, che hanno raggiunto uno stato di vita sicuro. Si tratta di un frutto positivo dell’iniziativa privata e di leggi che hanno sostenuto la crescita economica congiunta a un concreto incentivo alle politiche familiari e alla responsabilità sociale. Il patrimonio di sicurezza e stabilità raggiunto possa ora essere condiviso con quanti sono stati costretti a lasciare le loro case e il loro Paese per salvarsi e sopravvivere.

Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire”.

Lasciamoci evangelizzare e convertire dalle persone più impoverite a causa di un modello di sviluppo errato e da una economia selvaggia che uccide!

Buona Domenica.

✠   Francesco Savino

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