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Quattromilaquattrocentosedici
Sharon, Victoria, Roberta, Tiziana, Teodora, Sonia, Ilenia, Luljieta, Piera, Lidia, Clara, Rossella, Deborah, Edith, Ornella, Dorina, Elena, Annamaria, Saman, Silvia, Emma Elsie, Ylenia, Angela, Maria Carmina, Perere Priyadarshawie, Bruna, Alessandra, Sharon, Silvia Susana, Chiara, Ginetta, Vincenza, Lorenza Monica, Marylin, Shegushe, Silvia, Catherine, Stefania, Vanessa, Chiara, Ada, Angelina, Rita, Sonia, Giuseppina, Alessandra, Dorjiana, Anna, Carmen, Giuseppa, Cristine, Elena, Elisa, Simonetta, Juana Cecilia, Anna, Giovanna, Mihaela, Giulia, Nataliya, Maria Rita, Laura, Lidia, Antonia, Licia, Alberta, Vincenza.[1]
Il 25 Novembre ha un nome, ha questi nomi e ne ha altri 4416.
Perché 4416 sono le donne che, secondo i dati ISTAT 2021, hanno subito violenze, in casa, per strada, nel mondo che stiamo consegnando ai nostri figli e che a leggere questi dati, appare inospitale ed ostile. Vittime di un disamore, di un amore malato, del tradimento della fiducia ma anche del silenzio e dell’omertà di tutti noi. Non serve enumerare i loro nomi se ognuno di essi non viene impresso nel nostro cuore col fuoco della comprensione, dell’azione e di un amore nuovo, vero. Quell’amore che non servirà più alle vittime ma che può e deve servire alla protezione di altre potenziali. L’uomo violento molto spesso inganna, appare affabile e dolce, indubitabile, salvo poi mostrare la sua natura da Mister Hyde dentro le mura di una casa che dovrebbe essere la dimora del cuore, il posto nel quale rifugiarsi dalle intemperie della vita. Quello stesso amore, spesso giurato davanti a Dio, diventa spergiuro, diventa la minaccia all’intimità, la violazione della promessa, un ciclo inaudito di violenza che ha sovente epiloghi infelici. Sì perché la violenza sulle donne non è solo la trasfigurazione di un momento, ma ha un suo ciclo, un vortice in cui la donna è completamente trascinata che inizia spesso con un abuso psicologico, una dispercezione della propria identità di donna, che le porta molto spesso a non gridare giustizia ed anzi a tacere alle botte senza desiderare un dignitoso riscatto. La vendetta non è giustizia e non è giusta ma la violenza non può essere giustificata con comportamenti passivi e recidivi.
Donne, DENUNCIATE.
Non abbiate paura, né vergogna, non ingannatevi con l’accettazione di una promessa di cambiamento. La violenza non è mai una dinamica di conflitto che può essere accolta. E’ violenza e basta, nuda e cruda. E le istituzioni preposte facciano seguito alle denunce, aiutando le donne minacciate, sistemandole in luoghi che ne tutelino il presente ed il futuro, mettendo in rete tutte le azioni possibili affinché alla denuncia non segua una escalation di violenza più violenta. Perseguite e punite quegli uomini che minacciano e abusano delle loro mogli, delle loro compagne e delle donne in genere.
A tutte le donne che in questo momento, in silenzio, sopportano la croce degli abusi, delle violenze e delle minacce, voglio dire: non siete sole.
Non abbiate paura di affidarvi ai centri di ascolto, non soffocate il grido di aiuto nella pericolosità dell’abitudine. Siete biologicamente le custodi della vita e come tali dovete custodirvi voi stesse, dovete preservare quella generatività che vi è stata donata, come il miracolo della vita che si compie, anche se non siete madri. Non accontentatevi mai del disamore, non siate contenitore di briciole, non fatevi ingannare da quelle mani che prima vi stringono e poi vi percuotono. Siete meritevoli, come quella poesia dice, di un amore che vi voglia spettinate, sicure, un amore che vi porti a ballare e la cui pelle sia una seconda pelle, che vi custodisca ma vi lasci libere di volare, di sognare, di amare le bellezze della natura e del mondo. Meritate l’a-mors, IL sentimento che non muore mai, che eternizzi il vostro spirito in attimi di tenerezza, che vi accarezzi a sera, dopo una giornata faticosa, che asciughi le vostre lacrime per i piccoli dolori della vita ma che non ne sia la causa. Meritate scarpette rosse da indossare per le grandi occasioni e non quelle che sono pietre di inciampo a ricordo della vostra morte. Siete madri, figlie, mogli, compagne, donne e siete come Maria, la madre di Gesù e la sposa di Giuseppe e da Maria dovete trarre ispirazione, non per relegare la vostra vita al ruolo di madre e moglie, ma per avere il cuore sveglio, attento e leggero, pronte ad accogliere l’amore che meritate, ad essere benedette ed ardere di quella passione che è il pane della vita e della salvezza. In questo giorno, che è ogni giorno, stringo ciascuna di voi al mio cuore, affinché l’accogliervi come figlie, vi faccia sentire la mia carezza ed il mio augurio di rinascita.
Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l’esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all’altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l’aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s’infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c’è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: “Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così”.
E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell’uomo ci hai buttato dentro l’anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c’è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d’acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l’aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
“Perché faccio così? Com’è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?”
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E’ da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E’ un’avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo “sono nuova” con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: “Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse”.
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre.
Quando meno te l’aspetti…
Diego Cugia
Cassano allo Ionio, 25 Novembre 2022
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e il femminicidio
Vostro
✠ Francesco Savino
[1] Nomi delle donne vittime di femminicidio nel 2021.
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