“Dopo le prime due domeniche di Quaresima, che fanno sempre memoria delle tentazioni di Gesù nel deserto e della sua trasfigurazione sul monte, la Chiesa ci fa percorrere un itinerario diverso in ogni ciclo. Quest’anno (ciclo C), seguendo il vangelo secondo Luca, il tema dominante nei brani evangelici è quello della misericordia-conversione, cammino da rinnovarsi soprattutto nel tempo di preparazione alla Pasqua” (cfr. Enzo Bianchi).
In questa III Domenica il Vangelo contiene due messaggi: il primo sulla conversione, il secondo sulla misericordia di Dio.
Entriamo in dialogo con il testo del Vangelo.
Gli ascoltatori di Gesù sono stati raggiunti da una notizia di cronaca nera, inerente a una strage avvenuta in Galilea: mentre venivano offerti sacrifici per chiedere a Dio aiuti e protezione, la polizia del governatore Pilato aveva compiuto un vero e proprio eccidio, mescolando il sangue delle vittime offerte con quello degli offerenti.
I presenti vogliono chiedere a Gesù un suo giudizio su quanto era accaduto, tenuto conto che la mentalità corrente considerava ogni disgrazia avvenuta come castigo per una colpa commessa.
Gesù, che esprime un giudizio negativo sui dominatori di questo mondo, nel rispondere coinvolge gli ascoltatori su un altro piano, ponendo la questione del giudizio escatologico, del giudizio finale.
Infatti Egli dichiara: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Giudei per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Gesù, in altri termini, vuole affermare che il peccato commesso dall’uomo non genera automaticamente il castigo di Dio: se fosse così daremmo a Dio un volto perverso. Egli vuole distruggere questa immagine di Dio che castiga, molto cara agli uomini religiosi di ogni tempo, in Israele come nella Chiesa. È decisiva questa chiarificazione da parte di Gesù, perché c’è sempre la convinzione che dove c’è il peccato deve giungere necessariamente il castigo di Dio. Egli per affermare il suo pensiero ricorda un altro fatto di cronaca, non dovuto alla violenza o alla responsabilità umana, ma accaduto per caso: “O quelle diciotto persone sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Qual è il cammino indicato da Gesù?
“Innanzitutto egli ci insegna ad avere uno sguardo diverso sulla vita: ogni vita è precaria, è contraddetta dalla violenza, dal male, dalla morte. Dietro a questi eventi non bisogna vedere Dio come castigatore e giudice – perché Dio potrà eventualmente fare questo solo nel giudizio finale, quando saremo passati attraverso la morte – ma discernere le nostre fragilità, i nostri errori inevitabili, la precarietà della vita. Nessuno è tanto peccatore da meritare tali disgrazie inviate da Dio, il quale non è uno spione in attesa di vedere il nostro peccato per castigarci! Tra peccato commesso e responsabilità nella colpa c’è però una relazione che sarà manifestata nel giudizio finale” (cfr. Enzo Bianchi).
È significativo constatare, ed è la grande verità, che oltre alla morte biologica del corpo, che ci può sempre sorprendere, c’è un’altra morte, la perdizione, quella eterna, generata dal male che scegliamo di compiere nella nostra vita.
Gesù ci invita alla conversione. Non dimentichiamo che la conversione implica la presa di coscienza di camminare su una strada sbagliata e quindi assumere la decisione di cambiare strada, e al tempo stesso, consiste nel cambiare radicalmente il cuore, dove tutto si decide.
La conversione implica, poi, di orientare la nostra vita a Gesù crocifisso e risorto per noi.
Gesù, per puntualizzare ulteriormente la necessità e l’urgenza della conversione, racconta una parabola bellissima, la parabola del fico sterile, che non porta frutti.
«Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Il senso della parabola può essere colto se ci mettiamo nei panni del contadino che lavora la terra, che ama ciò che ha piantato, innaffiato e concimato. Per questo osa intercedere presso il padrone chiedendogli di dare del tempo al fico perchè possa produrre frutti. L’amore del vignaiolo per il fico è straordinario: ha pazienza, sa aspettare, gli dedica il suo tempo e il suo lavoro. E al tempo stesso promette al padrone di prendersi cura ulteriormente e particolarmente.
Questo contadino è Gesù che è venuto nella vigna di Israele e ha tutte quelle attenzioni di vicinanza e di prossimità, di cura e di responsabilità nei confronti del popolo di Israele, attendendo sempre che si converta.
Gesù è la misericordia concreta, reale e costruttiva di Dio suo Padre.
È il vasaio che vuole rifare, ricostruire i cocci della nostra esistenza.
Giovanni il Battista aveva predicato: “Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Lc 3,9; Mt 3,10). Ciò avverrà alla fine dei tempi, nel giorno del giudizio, ma ora, nel frattempo, Gesù continua a dire a Dio: “Abbi pazienza, abbi misericordia, aspetta ancora a sradicare il fico. Io lavorerò e farò tutto il possibile perché esso porti frutto”. Attenzione però: il frattempo termina per ciascuno di noi con la morte (cfr. Enzo Bianchi).
Augurando a tutti una bella e serena Domenica, abbracciati dalla misericordia di Gesù, convertiamoci, cambiamo vita concretamente senza operazioni di facciata.
✠ Francesco Savino