Ordinazione Episcopale di Mons. Vincenzo Calvosa
Vescovo Eletto della Diocesi di Vallo della Lucania
Omelia di S.E.Rev. Monsignor Francesco Savino
Teatro Polivalente di Villapiana
Sabato 3 Giugno 2023
Care sorelle e cari fratelli.
Cari confratelli nell’episcopato, nel presbiterato e nel diaconato.
Cari seminaristi.
Autorità tutte.
Carissimo don Vincenzo.
La Santissima Trinità ci vede radunati in suo nome per celebrare ancora una volta, con nuovo entusiasmo, la fedeltà dell’amore di Gesù Cristo per la Diocesi di Cassano, per tutta la Chiesa e per l’umanità. In obbedienza profonda alla Parola di Dio ascoltata, desideriamo avvicinare i nostri cuori e le nostre intelligenze al Dio vivo e vero che ci chiede di uscire da noi stessi e aprirci alla sua volontà. Ciò che stiamo vivendo si chiarisce meglio alla luce di tre domande che provocano la nostra fede e che subito condividiamo: chi è il vescovo? Di chi diventa testimone? Che cosa costruisce?
- Il Vescovo è l’intercessore
Ci chiediamo anzitutto: chi è il Vescovo?
Rispetto alle molteplici immagini individuali e collettive (talvolta le persone nutrono un’immagine ambigua anche a causa della nostra mediocrità e lotte di potere) la Parola di Dio di questa domenica ci presenta la missione di intercessore che il Vescovo è chiamato a vivere ostinatamente. Il libro dell’Esodo ci consegna la figura di Mosè che intercede a favore del popolo d’Israele, dalla dura cervice. Anche il Vescovo intercede presso il Padre di ogni misericordia, a favore del popolo, di cui pure è parte come peccatore. Invocare la misericordia di Dio vuol dire reggere sulle nostre spalle il peso di un popolo che appartiene a Lui e non è nostro (non a caso il Vescovo esercita il munus regendi) e insieme capire bene quel popolo, perché della sua pesantezza si è parte. Si tratta di un munus, cioè di un dono, che è carico di responsabilità per governare, che significa servire fedelmente la comunità ecclesiale senza timori o indietreggiamenti. Il ministero dell’intercessione è il farsi carico dell’altro in ottica di autentica comunione. Il card. Martini sottolineava spesso questa dimensione come lo stile del cristiano nei tempi attuali: saldare la terra con il cielo, le ragioni degli uomini e lo spirito di Dio.
E se è uno stile cristiano significa che il vescovo è cristiano fra i cristiani e con loro confessa l’unico vero Intercessore che ha per sempre saldato terra e cielo. Allora il peso del popolo e persino del peccato è leggero e soprattutto lo si porta mai da soli.
La preghiera di intercessione per noi Vescovi, caro don Vincenzo, non è semplicemente un dovere ecclesiastico, ma è la sfida più grande che questa nuova vocazione ci consegna: svegliare l’aurora e stare alla sua presenza sempre per conto di terzi, mai solo per te stesso. La preghiera di intercessione è il più vero esercizio di decentramento da noi stessi che siamo chiamati a compiere in virtù dell’ordinazione episcopale. Il Vescovo intercede soprattutto per quelle persone del popolo che sono dimenticate e oppresse: egli porta a Dio le lacrime e i drammi umani, nello stesso tempo annuncia al popolo quello che Dio è capace di realizzare con le pietre scartate. L’intercessore non teme di lottare faccia a faccia con Dio e nemmeno di sporcarsi in mezzo alle vicende e ai dolori del suo popolo: in tal senso il sangue di don Peppe Diana, che ha bagnato la terra campana dove papa Francesco ti ha inviato, caro don Vincenzo, ti sia da pungolo e testimonianza. Ricordati sempre le sue parole scritte in una lettera diventata molto nota: “Per amore del mio popolo non tacerò!”.
L’intercessore è chiamato a non tacere né davanti a Dio, né davanti al popolo, né davanti alle forze negative che estinguono lo Spirito e annacquano il Vangelo, anche dentro la Chiesa.
- Il Vescovo è il testimone dell’Amore.
Ci chiediamo adesso: di chi diventa testimone il Vescovo?
Sembra ovvio: certamente di Cristo Gesù! O meglio della misericordia del Figlio di Dio, il quale – come ci ricorda il Vangelo di oggi – è stato mandato nel mondo non per giudicare o condannare, ma per salvare. Ogni ministero nella Chiesa si fonda nel mandato messianico di Cristo, come ci ha re-insegnato il Vaticano II (cfr. Lumen gentium 9). Il Vescovo è testimone di quella liberazione messianica che cerca sempre di salvare ciò che è perduto, senza condannare ciò che, ad occhi mondani, è miserabile e indegno. Ciò che libera e salva è “la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo” (2 Cor 13,13). Dio non salva l’umanità con la condanna ma con la misericordia.
Caro don Vincenzo, come Vescovo sei chiamato a testimoniare la misericordia del Figlio, senza rigidità e senza tiepidezze. Sii misericordioso come il Figlio, la seconda persona della Trinità.
Insieme ai presbiteri, ai diaconi e a tutto il popolo di Dio renditi costruttore premuroso di una Chiesa che agisce con misericordia verso ogni sorella e ogni fratello. Ci ricorda papa Francesco: “Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (Evangelii gaudium 47). Il Vescovo testimonia che è possibile agire, pensare e relazionarsi in una chiesa concepita come casa e non come dogana, quest’ultima ci tranquillizza con l’impressione di sicurezza dottrinale e giuridica, ma ci esonera – pericolosamente – dal favorire l’incontro delle persone con l’amore di Dio, la cui legge è sorpassare ogni legge.
- Il Vescovo è il costruttore delle differenze.
Infine, ci chiediamo: cosa costruisce il Vescovo?
San Basilio ci ricorda che lo Spirito Santo crea l’armonia nella Chiesa e noi siamo unti per vivere questa armonia a diversi livelli. Il Vescovo, visibile principio e fondamento di unità nella chiesa locale (Lumen gentium 23), è unto per diventare costruttore di una comunione delle differenze. Caro don Vincenzo, la sfida dell’intercessione e l’audacia della testimonianza scaturiscono solo da un cuore che si lascia
plasmare dallo Spirito Santo, non solo stasera ma lungo tutto il tempo e lo spazio della missione che vivrai.
In tal modo il ministero episcopale favorirà l’azione libera e rivoluzionaria dello Spirito Santo senza porle argini o resistenze. La proprietà dello Spirito Santo, terza persona della Trinità, è proprio quella di sostenere e armonizzare le differenze, senza monotonia alcuna. Lo Spirito anima la Chiesa con la sua imprevedibile creatività, favorendo così la nascita di carismi e ministeri secondo la logica della complessità.
Caro don Vincenzo, sii artigiano delle differenze nella comunità ecclesiale senza spegnere mai lo Spirito! (1 Ts 5,19). Un Vescovo che si limita a credere nella Trinità senza viverla quotidianamente, non praticherà mai quella che don Tonino Bello chiamava “convivialità delle differenze”. Condivido un estratto che egli pronunciò durante la Messa crismale del 1986:
“Quello della pace è il discorso teologico più robusto e più serio che oggi si possa fare, perché affonda le sue radici nel cuore del ministero trinitario […] in cui contempliamo tre Persone uguali e distinte che siedono attorno al banchetto dell’unica natura divina. Di qui, il nostro compito storico di saper stare insieme a tavola. Non basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri. Di qui il nostro compito storico di far sedere all’unica tavola i differenti commensali, senza pianificarli,
senza uniformizzarli, senza schedarli, senza omologarli. Noi, popolo messianico o crismale, dobbiamo essere i ministri di questo convito” (A. Bello, Convivialità delle differenze, La Meridiana, Molfetta 2006, p. 47).
L’armonia, la pace dentro e fuori la chiesa nasce dal rispetto e dalla valorizzazione delle differenze. Al contrario ogni forma di omologazione resiste allo Spirito e prova a soffocarlo. I più colpiti da questa mancanza di convivialità delle differenze sono i giovani in cerca di testimoni, in loro avrai dei formidabili alleati, come anche nelle persone più critiche che cercano autenticità e negli impoveriti in cerca di giustizia. Per tale motivo, don Vincenzo, ricorda sempre la domanda che fra poco ti sarà posta: “Vuoi essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto?”. Solo con il tuo “sì” a questa e alle altre domande sarai beato, cioè felice. Beati noi, se come Chiesa risponderemo con la vita e con la prassi quotidiana a tali richieste. Allontanandoci dai poveri ci allontaniamo da Dio, perché significa che stiamo badando più al nostro tornaconto e al nostro prestigio che a riconoscere lo Spirito che attraverso di loro ci parla. Lontano da loro, carne viva di Cristo, saremo solo infelici e perdenti. Il cammino di Gesù è sempre attuale per te don Vincenzo, per me e per tutti noi confratelli Vescovi, che viviamo costantemente il rischio di perdere il contatto vivo col Signore e con i suoi “favoriti”.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando ci sentiamo ricchi di noi stessi, perché non cercheremo più la consolazione del Signore.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando ci saziamo di onori, ci divorerà una fame insaziabile.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando non sappiamo piangere con chi piange, il nostro cuore non conoscerà l’empatia del Pastore.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando cerchiamo consensi e applausi, il nostro ministero non profumerà mai di profezia.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando spegnendo lo Spirito rivoluzionario di Dio, riabilitiamo facilmente i profeti di ieri e non riconosciamo quelli di oggi.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando accorciamo le finali del Vangelo di Cristo, la nostra missione cederà ai facili compromessi di questo mondo.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando la fraternità cristiana diventa utopia, i nostri presbitéri non gusteranno mai la gioia di vivere da fratelli.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando preferiamo la comoda diplomazia clericale, il nostro parlare non sarà mai limpido e sincero.
Guai a noi, Vescovi di Gesù, quando giustifichiamo cadute e omissioni,
non vivremo mai dell’amore gratuito del Padre. Amen!
✠ Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio
Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana
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