XXIV Domenica del tempo ordinario anno B

Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
15-09-2024

In questa Domenica siamo al centro del Vangelo secondo Marco dove ci viene svelata l’identità di Gesù. Indubbiamente siamo nel cuore del suo ministero di predicazione e di azione. Con i suoi discepoli Gesù esce dalla Galilea verso territori vicini alle sorgenti del Giordano, intorno a Cesarea di Filippo. Mentre cammina pone domande significative. Chiede innanzitutto che cosa la gente pensi e dica di lui. Gesù svolge la sua missione ormai da tempo, molti lo acclamano come rabbì, come profeta, come un carismatico capace di arginare la potenza di Satana, la sua fama si diffonde ma al tempo stesso le autorità religiose dai sacerdoti agli scribi, preoccupati della sua fama, lo contestano, lo calunniano, lo accusano addirittura di non essere un uomo inviato da Dio ma di essere al servizio di Satana. Gesù sente, per queste ragioni, l’esigenza e l’urgenza di una chiarificazione. I discepoli alla domanda di Gesù gli rispondono che per alcuni Egli è Giovanni il Battista ritornato in vita, per altri è Elia, per altri ancora uno dei profeti. Acquisita questa risposta, Gesù interroga i suoi discepoli, che costituiscono la sua comunità itinerante: “Ma voi, chi dite che io sia?”.

Tutti interrogati ma risponde solo Pietro, il discepolo chiamato per primo: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia, l’Unto. “Ecco il riconoscimento dell’identità vera di Gesù, che non a caso, prima di ogni altro attributo, sarà sempre chiamato Gesù Cristo. Gesù è il Messia, non solo un rabbi, non solo un profeta, ma l’Unto del Signore, colui che compie le promesse contenute nelle sante Scritture, colui che instaura il regno di Dio. Per la fede di Pietro questa è una prima tappa, ma la sua confessione è frutto della rivelazione di Dio, come metterà in evidenza Matteo (cfr. Mt 16,17)” (E. Bianchi).

Dopo la confessione di fede, brevissima ma essenziale di Pietro, Gesù ordina severamente di mantenere il segreto sulla identità autentica proclamata da lui perché, anche se le parole di Pietro esprimono la verità su di Lui, è necessario che si arrivi a questa confessione dopo tutto il percorso che Gesù farà, percorso di passione, morte e resurrezione. Infatti Gesù incomincia ad insegnare loro “che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Lo stesso Pietro che ha confessato con verità l’identità di Gesù, deve mettersi alla sua sequela, per imparare a seguirlo fedelmente, deve attraversare la passione e la morte di Gesù. Perché Gesù deve attraversare la passione e la morte? Certo, non è né una fatalità né un destino e neppure la volontà di un Dio che vorrebbe il sacrificio, le sofferenze di suo Figlio Gesù, per placare la propria collera verso l’umanità peccatrice. Perché allora sta scritto “deve”? Perché c’è innanzitutto una necessitas umana: nel mondo il giusto può solo essere rigettato e perseguitato. È sempre accaduto così, a causa della malvagità degli empi che non sopportano il giusto, perché egli dà loro fastidio al solo vederlo, e dunque lo tolgono di mezzo. Nel libro della Sapienza, composto alle soglie del Nuovo Testamento, si denuncia con chiarezza questa necessitas umana (cfr. Sap 1,16-2,20).

Ma c’è anche una necessitas divina che va compresa: se il giusto, nel nostro caso Gesù, vive conformemente alla volontà di Dio, il Padre suo, volontà espressa nelle sante Scritture, e lo fa nella libertà e per amore, allora la sua vita non può non conoscere la malvagità del mondo e dunque la passione e la morte. Questa la via di Gesù, che non sottostà ad alcun “destino” impostogli da un Dio perverso, né al “caso”, a un fallimento possibile all’uomo. Ciò che Gesù deve compiere fino alla fine è la volontà di Dio, cioè l’amore per gli uomini, la rinuncia a compiere il male anche per difendersi, la fedeltà a una chiamata che contiene la promessa della vita più forte della morte.

Di fronte a questo annuncio, Pietro, preso in disparte Gesù, lo rimprovera. Gesù a questo punto del dialogo con Pietro, guardando i discepoli, rimprovera a sua volta pesantemente Pietro, chiamandolo Satana perché non sceglie secondo Dio ma secondo gli uomini e lo invita a mettersi dietro di lui perché deve imparare che cosa significhi realmente seguirlo. Questo annuncio della passione, morte e risurrezione Gesù lo rivolge a tutta la folla insieme ai suoi discepoli, ponendo a tutti, nella verità, le condizioni essenziali per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.

Cosa ci ha affascinato e mosso negli ultimi Papi? Certo la dottrina, le scelte, le iniziative, la carità pastorale, la testimonianza, e magari anche le nomine. Ma soprattutto e all’origine di tutto questo, quello che ci ha affascinati e mossi è la loro relazione col Signore, il loro «Sì, ti amo!» a Colui che vogliamo amare, a Colui che ci ama e a cui desideriamo corrispondere con tutta la nostra vita, a Colui che cammina in mezzo a noi, a Colui che incontriamo e desideriamo seguire.”(Padre Mauro Giuseppe Lepori).

La sequela di Gesù, attratti dalla Sua Persona, per amore solo per amore, fa e farà di noi dei cristiani credibili, attrattivi, perché disposti a perdere gratuitamente la vita per Lui e il Suo Vangelo rinunciando ad ogni pretesa narcisistica ed egoistica del proprio ego che inevitabilmente si ritorce su di sé apportando tristezza e morte. Seguire il Dio della vita è il vero successo da desiderare e la vera felicità da chiedere.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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