Sap 2,12.17-20; Sal 53, Gc 3,16-4,3, Mc 9,30-37
22 Settembre 2024
Il Vangelo di questa XXV Domenica del Tempo Ordinario ci mette di fronte al secondo annuncio che Gesù fa della sua passione, che già Domenica scorsa aveva incontrato l’incomprensione, il cuore duro e addirittura l’inciampo satanico in Pietro che non vuole liberarsi dalle sue idee e dai suoi sogni di potere, perché vuole un Cristo potente. Anche dinanzi a questo secondo annuncio, però, Gesù trova cuori duri e incapaci di comprensione.
Constatiamo ancora una volta che l’amore, a caro prezzo, di Gesù trova reazioni che testimoniano la non sintonia della comunità con il suo insegnamento.
Come Pietro al primo annuncio (cfr. Mc 8,32-33), qui tutti i discepoli si rifiutano di comprendere le parole di Gesù e, chiusi nella loro cecità, neppure osano interrogarlo, ma ecco che, giunti nella loro casa di Cafarnao, Gesù e i suoi sostano per riposarsi. In quell’intimità Gesù domanda loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. La risposta è un silenzio pieno di imbarazzo e vergogna. I discepoli, infatti, sanno di che cosa hanno parlato, sanno che in quella discussione si era manifestato in loro un desiderio e un atteggiamento in contraddizione con l’insegnamento di Gesù: ognuno era stato tentato – e forse lo aveva anche espresso a parole – di aspirare e di pensarsi al primo posto nella comunità. Avevano rivaleggiato gli uni con gli altri, avanzando pretese di riconoscimento e di amore. In risposta alla rivelazione del Messia servo e alla prospettiva della sua andata verso la morte ignominiosa, i discepoli non hanno saputo fare di meglio – magari pensando al “dopo Gesù” – che discutere su chi tra di loro fosse il più grande. Nel Vangelo di Tommaso, al loghion 12, sta scritto: “I discepoli dissero a Gesù: ‘Sappiamo che presto ci lascerai: chi sarà allora il più grande tra di noi?’”. Sì, dobbiamo confessarlo: se la comunità cristiana non fa propria la logica pasquale di Gesù, finisce inevitabilmente per fomentare al proprio interno la mentalità mondana della competizione e della rivalità. Si scatenano allora logiche di potere e di forza nello spazio ecclesiale e, come accecati, si finisce per leggere il servizio come potere, come occasione di onore.
A questo punto Gesù, chiamati a sé i discepoli, soprattutto i dodici che dovranno essere i primi responsabili della Chiesa, compie un gesto.
Come sono importanti ed educativi i gesti!
“Prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»”.
Con questo gesto Gesù vuole far capire ai suoi, destinati ad avere il primo posto nella comunità, che per essere primi bisogna essere ultimi, come un bambino, un piccolo, un povero, un escluso.
Non va assolutamente fraintesa o banalizzata la radicalità proposta ed espressa da Gesù nel Vangelo secondo Marco.
Gesù infatti ribadirà più avanti, nello stesso Vangelo di Marco che: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”.
Purtroppo la radicalità di Gesù proposta spesso viene smentita nelle scelte che facciamo nelle nostre comunità cristiane: si sceglie il più visibile, quello che si impone da sé, il più munito intellettualmente, il più brillante e il più forte, qualche volta anche il prepotente e il narcisista.
Vigiliamo seriamente e responsabilmente, con un discernimento più sapienziale, sulle scelte che facciamo nelle nostre Chiese, per essere più coerenti con il pensiero di Gesù ed essere più obbedienti alla Sua volontà.
Il Vangelo di questa Domenica aiuta soprattutto chi è Pastore o chi ha posti di responsabilità nella Chiesa a confrontarsi rigorosamente con la Parola e a lasciarsi convertire, cambiare il modo di pensare e di agire. La minaccia più radicale all’essere oggi Pastore o responsabile nella Chiesa è vivere il servizio come potere o egemonia e non come servo umile egli stesso.
L’autorità che non sa stare accanto agli ultimi, che non sa condividere la loro condizione e non sa ascoltare, è una autorità narcisistica patologica che genera sempre più scarti e residui umani, anche purtroppo dentro la Chiesa.
Con Francesco d’Assisi, però, possiamo rialzare il nostro sguardo alla speranza di una novità.
“Mentre dormiva in una cella a Siena, una notte chiamò a sé i compagni che dormivano: ho invocato il Signore, spiegò loro, perché si degnasse di indicarmi quando sono suo servo e quando no; perché non vorrei essere altro che suo servo. E il Signore nella sua immensa benevolenza e degnazione mi ha risposto: Riconosciti mio servo quando pensi, dici e agisci santamente. Per questo vi ho chiamato fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi se avrò mancato in queste tre cose” (FF 743).
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino