“Gesù lascia la regione di Tiro e, passando attraverso il territorio di Sidone, va oltre il lago di Tiberiade, nel territorio della Decapoli. Il suo viaggiare fuori della Galilea, della terra santa, in regioni abitate da pagani, ha un preciso significato: Gesù non fa il missionario in mezzo ai pagani, perché secondo la volontà del Padre la sua missione è rivolta al popolo di Israele, il popolo delle alleanze e delle benedizioni(cfr. Mt 10,5-6; 15,24); ma con questo lambire o attraversare velocemente terre impure, vuole quasi profetizzare ciò che avverrà dopo la sua morte, quando i suoi discepoli si rivolgeranno alle genti, portando loro la buona notizia del Vangelo” (Enzo Bianchi).
In questa terra pagana Gesù aveva già guarito la figlia di una donna siro-fenicia, pagana; ora viene portato a Gesù un sordomuto con la preghiera di “imporgli la mano”, gesto che comunica la benedizione.
Quest’uomo vive oggettivamente una grave menomazione fisica che, al tempo stesso, è anche simbolica, perché rappresenta la condizione dei pagani che non ascoltano la Parola di Dio e non la possono trasmettere.
È significativo l’approccio col quale Gesù libera il sordomuto dal male: lo porta in disparte, lontano dalla folla, e con le sue mani agisce su quel corpo altro dal suo, il corpo di un uomo malato. Gli pone le dita negli orecchi, quasi per aprirli, per circonciderli e renderli capaci di ascolto, sicché quest’uomo è reso come il servo del Signore descritto da Isaia: un uomo al quale Dio apre gli orecchi ogni mattina, in modo che possa ascoltare senza ostacoli la sua parola (cfr. Is 50,4-5). Poi Gesù prende con le dita un po’ della propria saliva e gli tocca la lingua: è un gesto audace, equivalente a un bacio, dove la saliva dell’uno si mescola con quella dell’altro. C’è qualcosa di straordinario in questo “fare di Gesù”: con le sue mani Gesù tocca gli orecchi, apre la bocca dell’altro per mettervi la sua saliva, compie gesti di grande confidenza, quasi per risvegliare i sensi corporali e così far ritornare in loro il senso della vita… Questa gestualità manuale di Gesù, che crea un contatto con il malato, è di una penetrazione straordinaria, svela la sua compassione che si fa carezza, cura, confidenza, contatto con chi è nella sofferenza. Nessuna riserva di im-munità da parte di Gesù, ma comunità, comunione concretamente sperimentata e vissuta! (cfr. Enzo Bianchi).
L’azione di Gesù è accompagnata da una invocazione rivolta al cielo, e mentre Gesù guarda verso il cielo emette un vero e proprio gemito, che testimonia sia la sua partecipazione alla sofferenza che l’invocazione della salvezza.
Gesù geme a nome di tutta la creazione, di tutte le creature prigioniere della sofferenza, della malattia e della morte, e il suo gemito è quello dello Spirito che sale come intercessione a Dio da parte di tutte le creature. Gesù vive empaticamente la sua solidarietà con i sofferenti!
Gesù mentre geme, rivolgendosi al sordomuto, gli rivolge una parola con forza: “Effatà, apriti!”, una parola rivolta a tutta la persona, parola talmente significativa ed efficace che diventa parte costitutiva dell’antico rito battesimale a Roma ed è, come sappiamo, presente nella celebrazione del sacramento del battesimo oggi.
L’aprirsi agli altri, a Dio, è un’arte che bisogna imparare!
Gesù ci insegna che l’apertura all’altro e a suo Padre, a Dio, è condizione fondamentale per un processo di umanizzazione.
Il sordomuto è guarito e viene invitato a tacere, lui e gli altri che avevano partecipato alla guarigione.
“Tuttavia quei pagani, che non attendevano né il Messia né il Profeta escatologico, pur non potendo giungere a una confessione di fede, sono comunque costretti a proclamare, in base all’evidenza dei fatti: “Gesù ha fatto bene ogni azione: fa ascoltare i sordi e fa parlare i muti!”. Potremmo tradurre questa esclamazione di quella gente non ebrea in questo modo: “Gesù è veramente un uomo buono!”. Non è ancora fede ma è già un riconoscimento dell’amore, un credere all’amore di Gesù. Quanto ai credenti ebrei, questa azione di Gesù doveva essere da loro letta come il compimento della profezia escatologica di Isaia: “Allora la lingua dei balbuzienti (moghiláloi, lo stesso termine greco presente in Mc 7,32) griderà di gioia!” (Is 35,6 LXX)” (Enzo Bianchi).
Il Vangelo di questa Domenica ci responsabilizza come discepoli di Gesù ad essere come Lui “diaconi della Parola”, che non soltanto va annunciata ma testimoniata coerentemente e con credibilità.
L’“apriti”, l’“effatà” costituisce un invito per noi Chiesa, chiamata a non rinchiuderci nei nostri recinti autoreferenziali ma ad aprirci per essere Chiesa tutta dinamica e missionaria, fedele al cielo e alla terra, sintesi tra le ragioni di Dio e le ragioni della storia.
Il Sinodo in atto nella Chiesa e con la Chiesa generi in tutti la condizione dell’apertura inclusiva senza escludere nessuno. Cantiamo dentro di noi il Cantico dei Cantici ed impareremo ad amare il cuore del mondo che il Signore ha fatto per tutti.
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino