Omelie

Mercoledì Santo 2024 – messa Crismale


Mercoledì  Santo  2024

– Messa Crismale –

Is 61,1-3.6.8b-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21

 

27  Marzo  2024

 

Con questa assemblea liturgica, momento tra i più significativi della vita diocesana, si manifesta la chiesa tutta, la nostra chiesa, corpo di Cristo, strutturata nei diversi ministeri, che rende grazie ed è in festa.

Il grande teologo Romano Guardini diceva: “La Chiesa ‘non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente’. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi’. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”.

La chiesa è continuamente edificata da “Pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo” (Papa Francesco, omelia Santa Messa con i cardinali alla Cappella Sistina, 14/03/2013).

La Messa del Crisma che stiamo celebrando ci fa ancora una volta, con rinnovato stupore, contemplare il mistero di questa chiesa “viva”, “unta”. È un mistero che vive nelle nostre vite. E siamo pietre unte perché nel battesimo abbiamo ricevuto una vita nuova, la vita nello spirito, grazie al dono dell’Unto per eccellenza, il Messia su cui riposa lo Spirito Santo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Si impone, dunque, alla nostra coscienza pensante subito una domanda che non può avere una risposta retorica: siamo una chiesa locale viva, attraente, perché è tutta di Cristo, al servizio del Regno di Dio? Oppure siamo ancora una chiesa dalla contrapposizione tra clero e laici, una chiesa che fa fatica ad essere e a vivere la comunione trinitaria riflessa in ogni prassi pastorale? Siamo una chiesa che sogna come ha sognato il nostro fondatore Gesù, il più grande sognatore della storia? Il suo unico e grande sogno aveva un nome, che ricorre sulla sua bocca tantissime volte nei vangeli: il suo sogno si chiamava “Regno di Dio”.

Nel Vangelo di questa Messa del Crisma è risuonato il manifesto programmatico di Gesù, il suo grande sogno del Regno di Dio. Gesù manifesta, nella sinagoga di Nazareth, ispirandosi al sogno profetico di Isaia, la sua missione. Colpisce molto, in questa scena programmatica, il decentramento da sé di Gesù. Lui si qualifica non per attirare l’attenzione su di sé, per aumentare l’autostima o ricercare i consensi, Lui si autodefinisce come “unto” per attivare l’attenzione sui poveri, sui prigionieri, sui ciechi e sugli oppressi. Gesù, e qui è il grande stupore, non riesce a parlare di sé senza parlare delle persone più fragili, più piccole. Lui non coltiva sogni di grandezza, come qualche volta capita a noi, ma semmai coltiva sogni di piccolezza. Mi piace dire, forzando la grammatica, che ogni volta che Gesù dice “io”, comprende il “noi”, il “voi” e il “loro”.

In Gesù è difficile separare la sua vita dalla missione. Ecco allora la provocazione di questa Messa Crismale: ci viene donato questo Vangelo nella Messa Crismale per aiutarci a ritrovare il senso missionario dell’unzione sacramentale, che non serve solo a dare dignità a chi la riceve, battezzato, o cresimato o ordinato, ma serve a sostenere il dono di sé. La chiesa è tutta missionaria! È tutta per l’evangelizzazione!

Siamo chiamati ad abbandonare ogni sogno di grandezza, anche per la chiesa, consapevoli che lo Spirito e la storia del nostro tempo ci dicono chiaramente che è il tempo del lievito e del granello di senapa e non certo il tempo della rocca fortificata e delle truppe da combattimento.

Il lievito e la senapa hanno la consistenza, poverissima, della polvere: eppure, così insignificanti, contengono delle energie che, quando entrano nella pasta, come fa il lievito, e nel terreno, come fa il seme, crescono, danno vita ad altro da sé, realizzano la loro missione. Se invece vogliono conservare se stessi, rimangono sterili e sono totalmente inutili. Il mio sogno come cristiano, il mio sogno come ministro, è un sogno al singolare o al plurale? È il sogno dell’antico Giuseppe, dove gli altri fratelli si inchinano davanti a lui, o è il sogno di Gesù, dove lui si china a lavare i piedi dei discepoli?

La chiesa, ce lo ricorda spesso Papa Francesco, potrà essere credibile e attrattiva nella sua missione di evangelizzazione nella misura in cui supererà la tentazione del potere e del prestigio e anche se parlerà e testimonierà non in prima persona singolare ma al plurale. La chiesa è per il Regno di Dio che ci domanda di farci lievito e senapa, di farci prossimo alle persone scartate e vulnerabili e di vivere tra di noi la bellezza e la gioia della fraternità. Non dimentichiamolo mai: una parrocchia, anche la più organizzata e funzionale, una diocesi, anche la più strutturata nei servizi pastorali, non sarebbero attrattive e credibili se fossero litigiose, tristi e lamentose. Gesù, fondatore del nostro essere cristiani e chiesa, ha annunciato e testimoniato vivendo il suo progetto, in obbedienza a Dio, il Padre, generando gioia, passione, entusiasmo, partendo sempre dal piccolo e dai piccoli. In questa celebrazione tutta bella e speciale chiediamo al Signore di liberarci dalla “concupiscenza dei risultati”, chiediamogli il dono della fedeltà e di abbandonare i calcoli strategici che mirano il più delle volte ad affermare se stessi, ad oscurare il Vangelo di Gesù e il Cristo del Vangelo, senza testimoniare il dono di noi stessi per il compimento del Regno di Dio.

Cari confratelli nel presbiterato che tra poco come ogni anno insieme rinnoveremo le promesse sacerdotali, vi chiedo di vivere concretamente con tutto il popolo di Dio, in questo nostro territorio trasfigurato e sfigurato al tempo stesso, il modello di chiesa che emerge dal Concilio Vaticano II, in particolare la costituzione Gaudium et spes: “Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all’uomo la vita divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia” (GS 40).

La Chiesa, secondo il Vaticano II, è chiamata ad una missione umanizzatrice che non le consente di tacere di fronte ad ogni sopruso o offesa della dignità umana (pensiamo ai diritti alla salute, istruzione, libertà, uguaglianza, lavoro continuamente minacciati dalla malavita organizzata). Soprattutto nei nostri territori risuona con più urgenza la vocazione profetica e liberante non solo del ministero presbiterale ma di tutto il popolo di Dio. Già nel 1991 la Conferenza episcopale calabra così si esprimeva: “La chiesa non ha progetti tecnici, contingenti. Il suo è un progetto di conversione e di orientamento vitale onde il popolo calabrese sia libero nella verità, nella ricerca della giustizia e nella solidarietà” (Nuova evangelizzazione e ministero di liberazione in Calabria, 1991). Andiamo oltre il modello clericale e sacrale! A dieci anni dalla visita di papa Francesco a Cassano rinnoviamo il nostro ECCOMI all’unzione messianica di Cristo che ci invia alle vecchie e nuove forme di povertà.

Questa figura di prete è decisamente superata. Il prete oggi è chiamato ad “impastarsi di cielo e di fango”, un prete pastore capace di consumarsi le ginocchia intercedendo presso Dio a favore del suo popolo, ma anche vicino ad esso nelle situazioni più complesse di marginalità e degrado. Un pastore che non fugge davanti ai lupi, che non si rifugia nel ruolo o nel potere sacrale, ma si schiera dalla parte del più debole, sostiene i processi di giustizia e legalità, annuncia il Vangelo senza sconti e invoca la conversione a partire da se stesso.

Carissimi confratelli, poniamoci sempre la domanda: da che parte stiamo? A 100 anni dalla nascita di don Lorenzo Milani penso che oggi più che mai, in questo tempo complesso e complicato, deve imporsi alle nostre coscienze pensanti l’imperativo categorico: I care o me ne frego?

Mai più complici! Mai più indifferenti! Mai più neutrali, cioè sacerdoti della palude!

Anche quest’anno, ostinatamente, ho pensato di scrivervi una lettera, segno della mia attenzione e premura nei vostri confronti, dal titolo: “Non stancatevi di essere misericordiosi”. Vi esorto a meditarla! Come sarebbe bello se la meditaste con le vostre comunità!

L’augurio che faccio a voi, ai diaconi, ai seminaristi, alle comunità parrocchiali, ai movimenti ecclesiali, direi a tutta la chiesa diocesana, è di versare l’olio della compassione e della misericordia, l’olio della tenerezza e della mansuetudine, l’olio dell’umiltà e della mitezza, l’olio della responsabilità per ogni parola che si dice e ogni gesto che si compie.

Auguri e buona Pasqua a tutti.

   Francesco Savino

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