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Mons.Francesco Savino a trent’anni dalla morte di don Peppe Diana


… Contro il prudente silenzio,

a trent’anni dalla morte di don Peppe Diana.

 

 

 «(…) È una chiesa che, pentita dei troppi prudenti silenzi, passa il guado.

Si schiera.

Si colloca dall’altra parte del potere.

Rischia la pelle.

E, forse, non è lontano il tempo in cui sperimenterà il martirio.»

 

Don Tonino Bello

 

Quello di don Peppe Diana è il Ministero dello svelamento, un “Estote Parati” a Cristo che ha smascherato la “sacralità” della camorra, togliendo il velo a quell’antistato che lo ha reso martire e seme di sangue, in una terra che, pur con le dovute difficoltà e grazie alla sua irrequietezza, spinge ancora per rifiorire.

Amo parlare di don Diana usando il verbo al tempo presente, perché la sua impronta su questa terra non si è sgualcita con gli anni e, anzi, si rimarca ed affonda sul terreno della vita di tutti coloro che ne hanno compreso la grandezza umana e la sapienza ministeriale.

Parlare oggi, ancora e ancora di lui, dopo trent’anni dalla sua morte, vuol dire “salire sui tetti delle nostre chiese” ed urlare contro quel prudente silenzio che è la rassegnazione e la rinuncia, due morti altrettanto dolorose. Vuol dire parlare di un uomo che, dentro la chiesa, è stato segno e contraddizione; vuol dire conservarne la memoria per continuare ad operare il bene.

Chi è, allora, don Peppe Diana? Don Peppe Diana è, semplicemente, un uomo. Ho volutamente rinunciato a tutte quelle etichette che gli sono state rifilate nel corso degli anni perché, essere semplicemente un uomo, è la prova più difficile che si possa accettare di compiere, specialmente quando si è sacerdoti secondo il cuore di Cristo. Questo è don Peppino, non dunque l’eroe ma l’uomo che incarna una storia comune, retto dal coraggio della paura, dalla volontà di schierarsi dando il fianco ai dimenticati, alle vittime. Un uomo che non subiva la tentazione della delega, che non soffriva di amnesie, che ha intrecciato la fatica del lavoro nei campi, con la coltivazione del frutto più ricco: la sua fede.

Don Peppino chi è? Un artista di strada.

La sua vita è un cammino che va dalla sacrestia alla strada, rimanendo fuori da inveterati schemi sacrali e pastorali, per farsi incontro, farsi sguardo, diventando lui stesso le inquietudini del suo popolo e le sue fragilità. Non corre mai il rischio di essere un pastore che vive nel chiuso di una canonica, di una spiritualità sganciata dalla vita esterna ma anzi, vive l’irrequietezza della ricerca costante di una relazione tra la dimensione umana e quella trascendente di sacerdote e quindi di fede. In don Diana, la dimensione di sacerdote e quella di uomo coincidono, come coincidono la sua fede con il dono del Figlio di Dio, per come lui stesso ha scritto: “La mia fede parte dalla contemplazione della croce di Cristo”.

Gesù, del resto, non sceglie i migliori seguendo logiche di spiritualismi mondani o di celebri culti e venerazioni. Gesù, semplicemente, non sceglie, ma cerca e si fa trovare da quegli uomini e da quelle donne che si spingono verso di lui. E don Peppino questa spinta la sente così forte al punto da non riuscire a tacere ma di impegnarsi, per tutta la vita a dare omaggio a quella “(…) chiesa accidentata, ferita e sporca, per essere uscita per le strade[1].

Fino alla sua ultima messa non detta.

Quella mattina del 19 marzo del 1994, don Giuseppe Diana, nel giorno del suo onomastico, si è fatto segno di una spiritualità fondata sull’esempio di Gesù.  Davanti all’altare, dove viene reso presente il sacrificio della croce, di quella croce che ha scelto ogni giorno per 12 anni, sotto i segni sacramentali, don Peppino vive la sua ultima cena, prima di essere ucciso, e diventa la pietra d’angolo sulla quale, per mezzo dell’Eucarestia, si edifica il vero tempio del Signore. Quella messa mai celebrata diventa il simbolo di “quel seme che morendo, fiorisce una messe nuova di giustizia e pace”, come si legge sulla pietra dietro cui riposa oggi il corpo di don Diana.

Quella messa incompiuta continua ad essere celebrata oggi da tutti i costruttori di pace in ogni periferia geografica ed esistenziale, dove la speranza rinasce grazie al martirio feriale di tante donne e uomini. Persone appassionate del Vangelo che riparte dai tetti delle case, che scende verso gli ultimi, che non esalta l’ideologia del sacrificio, dell’agnello sacrificale, del capro espiatorio o dell’eroe, ma glorifica l’operare per il Regno, che è regno di Dio e Regno degli uomini e delle donne che scelgono di spingersi per esserne figli.

Questo è il lascito di don Peppino Diana: l’aver assunto su di sé la realtà dell’altro, la libertà dell’altro, l’amore per la sofferenza, la lotta ad un silenzio prudente che ha relegato (ed ancora spesso relega) l’impegno alla lotta contro la mafia, come un qualcosa di competenza sempre di qualcun altro.

La lotta alla camorra ed alle mafie in genere è anche un problema teologico e pastorale che noi tutti e tutte siamo chiamati ad affrontare perché non si separino mai salvezza individuale e salvezza collettiva.

Siamo chiamati, seguendo l’esempio di questo semplice uomo ad attuare un vigile servizio che è una testimonianza evangelica. “Per amore del mio popolo non tacerò”, non tacere vuol dire sbarazzarsi di un Vangelo disincarnato e consunto, per favorire la priorità di un annuncio di vita che non ammette lentezza, perché il Vangelo è annuncio anche di liberazione umana, sociale, storica.

Se la profezia di don Diana vive, è perché Dio ci chiama ad essere profeti.

Il profeta fa la sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio.

Ecco, allora, chi è don Peppino Diana: il profeta del Vangelo vissuto attraverso 12 anni di ministero presbiterale disseminati da un continuo e doloroso confronto con la morte, di funerali di innocenti, di un sacerdozio non clericale ma incarnato nel dolore degli ultimi, dei morti ammazzati, di un uomo della storia e nella storia.

E, se dopo 30 anni, dal suo essere diventato seme per una nuova messe, siamo ancora qui a parlare di lui, a parlare con lui, è perché dimenticarlo significherebbe essere funzionali al dominio del potere.

Noi, come te don Peppino, abbiamo però scelto. E, fosse anche per l’ultima messa, saremo sempre dalla tua parte, che è la parte degli uomini e delle donne che, fino alla fine, hanno scelto la Croce e per mezzo della Croce, Gesù che è la via, la verità e la vita.

     Cassano allo Ionio, 19 Marzo 2024

XXX anniversario della uccisione di don Peppe

   

       ✠   Francesco Savino

      Vescovo di Cassano all’Jonio

   Vicepresidente Conferenza Episcopale It


[1] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 49.

 

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