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Omelia Festa di San Biagio, patrono della Diocesi 3 Febbraio 2020


Festa di San Biagio, patrono della Diocesi [SCARICA]

Ez 34, 11-16; Sal 23; Ap 2, 8-11; Gv 10, 11-16

Lunedì  3  Febbraio  2020

Celebriamo oggi con solennità la festa del Patrono della nostra Diocesi, san Biagio, vescovo e martire.

Siamo davanti al nostro Patrono per chiedere sostegno per noi stessi, per la nostra chiesa locale e per i nostri Comuni. 

San Biagio è per tutti noi un maestro di vita vera, bella e buona, un esempio da imitare nel nostro tempo.

Lasciamoci “generare” dalla Parola di Dio ascoltata che possiamo sintetizzare in tre parole: fedeltà, speranza e dono.

Il profeta Ezechiele, personalità dotata di una feconda immaginazione, viveva in un tempo molto oscuro. In meno di vent’anni, ben tre “blocchi” di Israeliti erano stati trascinati fuori dalla loro terra e deportati a Babilonia, nel cuore della potenza dominante di allora. Via da Gerusalemme, via dal tempio, via da Dio stesso, così almeno sembrava. Il popolo di Israele, i figli di Abramo, erano in una terra straniera con usi e costumi per loro ripugnanti. Anche Ezechiele era stato portato via da Gerusalemme, lontano dal tempio. Israele, “sposa infedele”, aveva abbandonato “suo marito”, aveva preferito il peccato e la morte, piuttosto che l’obbedienza e la vita. Eppure, ecco la meraviglia, ecco la fedeltà di Dio, che dice: “No! Ritorna! Sebbene tu sia infedele, io voglio che tu viva”. La cosa più stupefacente è che, sebbene Israele sia in esilio, sebbene Gerusalemme stia per essere distrutta, sebbene Israele abbia peccato contro Dio, Dio ancora si occupa della loro vita. Dio, fedele alla sua promessa di salvezza, usa ancora una volta misericordia! La fedeltà e la misericordia di Dio sono l’elemento conduttore nelle profezie di Ezechiele. 

Dio ancora si interessa della vita del suo popolo, nonostante tutto! Dio ancora visita il suo gregge e se ne prende cura: “andrò in cerca della pecora perduta, ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”.

San Giovanni apostolo, nel libro dell’Apocalisse, apre il cuore alla speranza: “Non temere ciò che stai per soffrire”, dice all’Angelo della chiesa che è a Smirne. È una chiesa costantemente esposta alla morte e alla persecuzione, a causa della sua fede vive il martirio, e Gesù, dice san Giovanni apostolo, si presenta come il garante che ha superato e vinto la morte. Come il primo e l’ultimo, ovvero come il capo e il compitore della fede e Colui che è soprattutto il fine e la fine di ogni cosa.  “Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà”: la conoscenza e la condivisione da parte di Gesù della sofferenza della chiesa di Smirne è la più grande consolazione. 

Nel Vangelo di Giovanni, la differenza tra “il buon pastore” e il “mercenario” ci suggerisce la riflessione su due modi di essere educatori, genitori, insegnanti, religiosi, preti, vescovi! Il mercenario si serve delle persone che incontra o che gli sono state affidate per affermare se stesso; il pastore buono e bello è colui che fa della propria vita un dono, un dono perché mette la sua vita a disposizione degli altri, fino a morire per gli altri. La guida vera instaura una relazione profonda con le sue “pecore”, le salva più che salvare se stesso.

Sulla tomba di un cristiano della fine del II secolo, un certo Abercio, si legge questa iscrizione: “sono il discepolo di un pastore santo che ha occhi grandi; il suo sguardo raggiunge tutti”. 

Sì, Gesù è il pastore santo, buono e bello, con occhi grandi che raggiungono tutti, anche noi oggi. E da questi occhi noi ci sentiamo protetti, accompagnati e guidati.

San Biagio fu, ad imitazione di Cristo, un pastore bello e buono.

Fu martire! Donò la sua vita! Versò il suo sangue in totale obbedienza e fedeltà a Cristo perché credette che “né morte né vita potranno mai separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo”. 

Come possiamo seguire oggi l’esempio del nostro santo patrono che fu taumaturgo, che amava i poveri e che, curando i malati, evangelizzava coloro che incontrava?

Papa Francesco ha rivolto queste parole alla chiesa italiana, riunita in assemblea, nel Novembre 2015: “Mi piace una chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa chiesa, credete in essa, rinnovate con libertà”.

Invochiamo insieme la protezione di san Biagio, perché la nostra chiesa locale possa essere, come dice il Santo Padre, accidentata perché corre incontro agli uomini e alle donne del nostro territorio a raccontare e testimoniare Gesù e la gioia del suo Vangelo.

La nostra chiesa diocesana sia tutta missionaria affidandosi e confidando in Gesù crocifisso e risorto.

E voi, uomini e donne rappresentanti delle Istituzioni civili, richiamo ancora all’attenzione per il bene comune, al rispetto della dignità delle persone, specialmente le più fragili, alla solidarietà e alla condivisione vissuta nel rispetto di ciascuno.

Concludo con alcune domande che mi stanno particolarmente a cuore come Vescovo. Cosa possiamo fare, noi chiesa, dinanzi alla fuga dei giovani e lo spreco delle risorse umane: non c’è futuro in questa terra? E ancora, come possiamo dare forza sociale e autentica fraternità dinanzi a un modello di sviluppo individualista ed utilitarista,? E come opporci concretamente insieme, chiesa, società civile, istituzioni politiche e non, a quella alleanza perversa tra colletti bianchi mafiosi e grandi interessi capitalistici che bloccano le possibilità di sviluppo nel nostro territorio?

A san Biagio, alla sua intercessione, consegniamo la nostra Diocesi con i ventidue Comuni che la compongono, perché il Signore porti a compimento la sua volontà e la sua opera in tutti noi.

   Francesco Savino