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Omelia VI Domenica del Tempo Ordinario 17 Febbraio 2019


VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]

17  Febbraio 2019

Gesù con la sua parola incontra ogni uomo con il suo desiderio di felicità, gli indica la via della gioia e gli consegna una mappa: povertà, lacrime dai mille significati, mitezza, passione per la giustizia e pace. E’ il discorso delle beatitudini che, in questa VI Domenica del T.O., viene proposto nella narrazione dell’evangelista Luca che presenta anche le maledizioni contrapposte.

“Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame; beati voi che ora piangete; beati voi che siete osteggiati dal mondo. Al contrario, guai a voi che siete ricchi e sazi, a voi che ridete e che tutti applaudono: state attenti”.

Sono parole perentorie e taglienti come una spada (cfr. Eb 4, 12; Ap 1, 16), rivolte all’assemblea cristiana riunita e in ascolto: esse attivano un processo di discernimento in ciascuno. 

Chi si trova in una condizione di povertà e di pianto sente rivolta a sé la promessa di un capovolgimento della sua situazione; chi si riconosce ricco o sazio deve sapere con chiarezza che pende su di lui un “guai”, un avvertimento accorato, una vera maledizione! 

Certamente questo messaggio è scandaloso, è agli antipodi del sentire mondano, del pensiero della maggioranza; anzi, è letteralmente non-credibile tanto è paradossale. Se, invece, pensiamo a chi parla ammaestrando quella folla di credenti, che è Gesù, il Povero, il Piangente, il Perseguitato, allora comprenderemo anche la possibilità della beatitudine: colui che ha vissuto in pienezza le beatitudini è Gesù Cristo, e a noi è chiesto semplicemente di seguire la via da lui tracciata.

Contemplando Gesù Crocifisso e Risorto, domandiamoci: chi è beato e felice? Il ricco che della ricchezza fa il fine della propria esistenza fino a trasformarla in una religione e che alimenta costantemente il suo amore narcisistico e la sua solitudine, o il povero che, nell’indigenza, apre la mano per ricevere un aiuto e, con questo gesto, esprime il bisogno dell’altro, avviandosi su sentieri possibili di condivisione e di comunione?

La domanda riporta la nostra coscienza al senso, al significato e al fine della nostra esistenza.

La categoria della beatitudine attraversa sin dalle origini l’esperienza del cristianesimo arricchendosi di una motivazione particolare: l’essere generata dall’incontro con il “Tu”, la cui visione della vita e il cui ascolto determinano una gioia inspiegabile: “vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11).

Nella lingua greca classica makàrios, che traduciamo beato, e i termini makarìzo, makàrismos riguardano  “lo stato permanente di beatitudine-felicità proprio delle divinità in quanto esenti da ogni affanno e preoccupazione; màkarios viene usato per indicare lo stato di coloro a cui è stata concessa la partecipazione alla loro sorte beata nell’aldilà” (cfr. G. Bruni).

La contrapposizione tra “beati” e “guai” viene illuminata dalla contrapposizione “maledetto l’uomo che confida nell’uomo” e “benedetto l’uomo che confida nel Signore”, che ricaviamo dalla Prima Lettura della Liturgia di oggi, tratta dal profeta Geremia.

“C’è sempre qualcosa di assente che ci perseguita” scrive P.Claudel: nella nostra esistenza umana avvertiamo sempre una mancanza che ci accompagna, un rimpianto, un anelito, una nostalgia. Avvertiamo tutti il desiderio di felicità piena o beatitudine.

Lasciamoci afferrare dalla proposta di beatitudine di Gesù, consapevoli che “ciò che non serve, pesa! E la felicità non viene dal possesso ma dai volti” (Santa Madre Teresa di Calcutta).

Buona Domenica.

   Francesco Savino