Omelie

Omelia XI Domenica del Tempo Ordinario 17 Giugno 2018


XI  DOMENICA  DEL TEMPO  ORDINARIO [OMELIA]

17  Giugno  2018

Al linguaggio allegorico del profeta Ezechiele che parla dell’azione di Dio risponde l’evangelista Marco che parla del Regno di Dio con un linguaggio parabolico. 

Al capitolo IV, versetto 30, Marco letteralmente dice: “come rassomiglieremo il regno di Dio? O in quale parabola lo metteremo?”. In altri termini, come parlare del Regno di Dio? Che linguaggio adottare per annunciare il Vangelo? 

“Gesù utilizza un linguaggio parabolico, sapienziale, concreto, non astratto, non dogmatico, né teologico. Un linguaggio narrativo aderente al reale. Gesù parla di Dio narrando storie di re e di pescatori, di seminatori e di contadini. Un linguaggio profondamente umano, semplice, comprensibile, che attua una comunicazione aperta, inglobante e non escludente. Come noi, oggi, parliamo delle “cose del Padre”? Come far diventare buona comunicazione la buona notizia del vangelo, se non lasciando alla parola di Dio la sua forza di evocazione del mistero e di coinvolgimento del destinatario? Il vangelo chiede di essere annunciato non come sapere chiuso che esprime la sapienza di chi lo predica o come dottrina che manifesta un Dio inaccessibile, ma come offerta di vita e di relazione per chi lo ascolta. Come benedizione” (Luciano Manicardi).

La bella notizia del Vangelo, l’annuncio del Vangelo, non è “contro”, non si deve piegarlo a precomprensioni parziali, né edulcorarne le esigenze; la bellezza dell’annuncio del Vangelo non va soffocata.

Cerchiamo, ora, di comprendere le due parabole di oggi. 

Lungo il mare di Galilea Gesù è attorniato da molta gente, si siede su una barca e incomincia ad ammaestrare la folla radunata sulla riva (Mc 4, 1-2). 

“Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme sulla terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”. Registriamo la grande fede di Gesù in Dio, che deve essere anche nostra: ciò che conta è seminare il buon seme del Regno, cioè “predisporre tutto nella propria vita affinchè il regnare di Dio possa iniziare a manifestarsi nella storia” (Enzo Bianchi).

Poi “il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”: dopo aver gettato il seme, il contadino non deve preoccuparsi, non deve intervenire per misurarne la crescita, perché minaccerebbe i germogli: il tempo della mietitura, ossia l’ora del giudizio (cfr. Gl 4, 13), senz’altro verrà ma per dono di Dio, che fa crescere il Regno e prepara l’ora della sua piena manifestazione. Anche in questo Gesù è modello da seguire: Egli ha annunciato il Regno con franchezza e passione, mettendoci sempre la faccia in ogni circostanza ma non si è preoccupato di ottenere risultati immediati, anzi ha accettato di essere rifiutato e messo a morte, identificandosi con il chicco di grano che, caduto a terra, muore per portare molto frutto (cfr Gv 12, 24). 

Nella seconda parabola Gesù afferma: “a che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno è più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”: l’attenzione è posta sullo “sviluppo straordinario del seme, sulla contrapposizione tra la sua piccolezza iniziale e la sua grandezza finale. Il Regno di Dio ha una forza invisibile ai nostri occhi, è vivo ed efficace come la sua Parola (cfr. Eb 4, 12), ma questa potenza si manifesterà solo alla fine della storia” (Enzo Bianchi). Con questa immagine, Gesù non vuole consolare i credenti che hanno sfiducia e scoraggiamenti,  amarezze e persecuzioni, promettendo o assicurando loro un futuro grandioso; Egli puntualizza il senso positivo che c’è nell’oggi della vita, al di là di ogni apparenza: non è l’albero che dà la forza al seme, ma è il seme che, con la sua potenza vitale, si sviluppa in albero! Così il Regno di Dio: nell’esistenza dei credenti, appare come una realtà piccola e insignificante, ma alla fine dei tempi sarà manifesta la sua grandezza.

La parabola, dunque, ribalta i criteri del nostro giudizio che, il più delle volte, si basa sull’apparenza: in modo perentorio, Gesù ci dice che la piccolezza non contrasta con la vera potenza. E’ sufficiente avere una fede pari a un granellino di senape per spostare il mondo (cfr. Mt 17, 20) e lo straordinario della nostra vita è nascosto, non è visibile. Come dice San Paolo “la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (cfr. Col 3, 3). 

Che stupenda notizia oggi il Vangelo consegna: i cristiani non si lascino sedurre dalla grandiosità e non si lascino abbattere per le piccolezze. La forza del Regno e la forza del Vangelo non si misurano con i criteri mondani! Con le logiche umane! I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri! Dio rovescia sempre la piramide della nostra mondanità.

In uno splendido testo cristiano delle origini, la Lettera a Diogneto, così si legge: “i cristiani vivono nel mondo come gli altri uomini, amano tutti e da tutti sono perseguitati … e pure sono l’anima del mondo”. La  “differenza” cristiana è  fonte di bellezza, armonia e benedizione per tutti gli uomini.

L’augurio di una bella e buona Domenica nella quale comprendiamo che la “concupiscenza” dei risultati immediati è soltanto dannosa.

   Francesco Savino