Omelie

FESTA DI TUTTI I SANTI


ph Aldo Jacobini

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12ª

 Martedì  1  Novembre  2022

 Celebriamo oggi la nostra speranza, il nostro destino di beatitudine e di gioia: la Santità!

Se la liturgia ci fa fare oggi la memoria di tutti i Santi nel loro insieme, non è tanto per la preoccupazione di dimenticarne qualcuno o per integrare il numero di coloro che vengono ricordati nelle singole celebrazioni durante l’anno liturgico, quanto per affermare il carattere universale della chiamata alla Santità.

I Santi sono come “primizie per Dio e per l’agnello” (Ap 14, 4).

“Il brano dell’Apocalisse che oggi viene proclamato, tratto dal capitolo settimo, afferma che il loro numero è sterminato: secondo la simbologia biblica centoquarantaquattromila non indica un limite ma una pienezza e una totalità. Finchè il sigillo di Dio non è impresso sulla loro fronte, la terra e il mare non possono essere devastati, come a indicare che la loro vita diviene sacramento di salvezza e di redenzione per il cosmo intero” (Monastero di Dumenza).

L’essere umano, ogni persona, cerca la felicità, una vita piena, senza fine, che per noi ha un nome preciso: essere Santi, la Santità.

Gesù,con il discorso delle Beatitudini contenuto nel Vangelo di oggi,vuole dare una risposta ad ogni essere umano in cerca della bellezza e dell’armonia senza fine.

Sale sul monte, il luogo delle rivelazioni di Dio e, come nuovo Mosè, ultimo e definitivo, dà una bella e buona notizia: il Vangelo. Non una nuova legge ma una parola di Dio che crea il Regno dello Spirito Santo.

Si rivolge alle folle con il grido “Ashré”, parola che in ebraico è un invito ad andare avanti consapevoli che la promessa è certa e sicura per quanti vivono una determinata situazione, una parola che sta ad indicare uno stile da assumere, da maturare, una parola che genera il cambiamento dello sguardo con il quale si osserva la vita, il mondo, la realtà, gli altri.

Noi di solito traduciamo la parola “Ashré” con “Beati” ma non c’è un termine italiano che possa svelarne adeguatamente il contenuto.

“Beati” non è tanto un aggettivo quanto un invito a una pienezza di vita e di gioia che niente e nessuno può rapire o spegnere.

“Beati” ha anche un valore di “benedetti” in opposizione ai “guai”, è una promessa e al tempo stesso un programma. Non dobbiamo cadere nella tentazione di comprendere che la beatitudine sia una gioia esente da prove e da sofferenze, uno “stare bene” nella logica mondana.

La promessa fatta da Gesù è il regno dei cieli, di Dio, che non è un luogo, un territorio, ma una relazione, essere con Dio, essere suoi figli, sperimentare la sua inabitazione in noi.

Questa esperienza del Regno di Dio su di noi e in noi la facciamo alla sequela di Gesù, conformandoci sempre di più a Lui, cristificandoci.

Essere “poveri nello Spirito”, nel cuore, apre alla beatitudine di chi riceve in dono il regno di Dio perché nell’umiltà sa attendere Lui e la sua giustizia.

Essere piangenti è una condizione di vita molto frequente e il Signore raccoglie le lacrime, non le dimentica e manda già il “Consolatore” a confortare, affinchè ci aiuti ad attraversare la sofferenza per condurci alla gioia eterna, quando Dio asciugherà le lacrime da ogni volto (cfr. Is 25, 8).

Abitare la terra con mitezza senza prepotenza e violenza, rinunciando ad ogni volontà di aggressione, significa possedere la terra promessa da Dio.

Coloro che hanno fame e sete di giustizia e che non sono mossi dalla legge del vivere nella forza senza riconoscere l’altro, non desistono da questa fame e si impegnano affinchè Dio dia loro un cibo che li sostenga, nel regno di Dio gusteranno quella giustizia della quale hanno tanto avuto fame e sete. Chi nella vita usa misericordia nei confronti degli altri troverà misericordia perché Dio, come affermavano i Padri del deserto, obbedisce ai misericordiosi che sono come Lui, che hanno lo stesso cuore.

I puri di cuore sono nella gioia perché trasparenti, non indossano una maschera e vedono le persone e gli eventi con gli occhi di Dio.

I costruttori di pace in ogni situazione di conflitto, da quelle tra i fratelli e le sorelle a quelle tra i popoli, siccome compiono ciò che Dio vuole che sia fatto già rivelano su questa terra di essere figli di Dio, cioè partecipi della sua natura e lo saranno definitivamente nel regno dei cieli.

“Infine, per tutti i discepoli la beatitudine riguarda il loro stare nelle ostilità e le persecuzioni. Se un discepolo di Gesù riceve solo approvazione, applauso, abbia timore e si interroghi se è veramente tale! Almeno l’ostilità, la calunnia, l’opposizione deve conoscerla. Ha detto Gesù: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi!” (Lc 6,26). Cercare questo consenso è una delle peggiori tentazioni nella chiesa: compiacere tutti per essere da tutti approvati; sedurre gli altri per ricevere il plauso e  avere successo; mancare di parrhesía cristiana (che sembra essere scambiata, all’interno della propria comunità o della chiesa, con la libertà di mormorare!) per essere da tutti apprezzati. Che miseria! Certo, in tal modo si sarà apprezzati e si avrà successo, ma non si conoscerà dentro di sé la gioia più vera, la beatitudine di essere in piena comunione con Gesù Cristo. Per rallegrarsi in profondità occorre invece non guardare ai propri interessi né mettere in atto alcuna strategia, ma “tenere fisso lo sguardo su Gesù” (cfr. Eb 12,2) e solo da lui accettare la ricompensa, che consiste nel poter condividere il suo amore” (Enzo Bianchi).

I Santi, allora, sono gli uomini e le donne delle beatitudini, vera mappa per tutti i cercatori di gioia, di felicità.

Buona festa.

   Francesco Savino

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