SOLENNITA’ DEL SACRO CUORE DI GESU’ GIUBILEO DEI SACERDOTI E DELLE FAMIGLIE
SOLENNITA’ DEL SACRO CUORE DI GESU’ GIUBILEO DEI SACERDOTI E DELLE FAMIGLIE [SCARICA]
Venerdì, 3 giugno 2016
La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù è un’occasione per ascoltare il richiamo alla meditazione, personale e comunitaria. Per la nostra riflessione penso che possa venirci in aiuto una pagina di Karl Rahner il quale scrive: “C’è il mistero più nascosto di tutti, quello del Cuore aperto e sanguinante del Signore, fonte da cui scaturiscono tutti gli altri misteri… si può indicare ed esprimere alla meno peggio, balbettando, questo mistero ineffabile con una di quelle parole che fanno parte della struttura fondamentale del linguaggio umano. Solo chi ama può pronunciare la parola “cuore” sapendo quello che dice, e solo chi è unito con amore al Signore Crocifisso comprende che cosa significa parlare del “Cuore di Gesù”… il verbo eterno di Dio ha un cuore umano, si è dato alla ventura di un cuore umano, fino a lasciarsi trapassare dal peccato del mondo, sino a soffrire l’inutilità e l’impotenza del suo amore sulla Croce, e diviene così il cuore eterno del mondo. Allora il termine cuore non è solo una parola, che l’uomo coglie nel centro della sua esistenza, ma una parola che non può mai mancare nella stessa lode eterna di Dio e che significa anche il cuore dell’uomo” (Teologia del cuore di Cristo, Ed. AdP, Roma 2009, p.41).
Vorrei richiamare la vostra attenzione sulla parola “cuore” , una di quelle parole che appartengono all’eternità, e non vanno in disuso come tante altre. La parola “cuore”, è parola che Dio dice in eterno a noi uomini, e la dice attraverso Suo Figlio Gesù, nello Spirito Santo: “ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini”.
La Solennità del Sacro Cuore è, dunque, la “festa dell’amore”. Il Cuore di Gesù è l’ amore incondizionato e assoluto che da sempre Dio manifesta ad ognuno. Nella nostra vita cristiana c’è una grande certezza: Dio ci ha tanto amato che ha mandato il Suo figlio per amarci ancora di più.
L’amore è strano, è facilmente deteriorabile e rischia l’estinzione se non è costantemente e pazientemente alimentato da azioni concrete. Sant’Ignazio indica due segni distintivi dell’amore quando dice che l’amore si manifesta più nelle opere che nelle parole. E poi, l’amore sta più nel dare che nel ricevere. E nel dare fino a morire, anche per chi non lo merita. o addirittura ci fa del male.
Abbiamo ascoltato san Paolo nella seconda lettura: “Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito, Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi“.
L’amore di Dio in Gesù è concreto, è fatto di azioni.
La concretezza dell’amore di Dio è espressa, nella liturgia di oggi, con la figura del Pastore.
Abbiamo ripetuto nel Salmo: “il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare. Ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me, il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.
Così nel libro del profeta Ezechiele: “Io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte”.
Il Pastore, bello e buono che è Cristo Signore, è modello di stile per tutti coloro che sono consacrati al ministero sacerdotale. Il pastore è vicino al suo gregge, conosce le sue pecore una per una, le chiama per nome ed esse lo riconoscono e lo seguono; il pastore va alla ricerca di chi è smarrito, con tenerezza.
Vicinanza e tenerezza caratterizzano lo stile del pastore.
La solennità del Cuore di Gesù invita noi, confratelli nel sacerdozio, a chiederci: “Ci amiamo tra noi in questo modo? Siamo vicini e prossimi gli uni agli altri? Abbiamo cura e tenerezza verso quanti vengono affidati alla nostra responsabilità pastorale? Gli ultimi, gli avanzi, gli scartati, coloro che non hanno alcun riconoscimento nella società, quanti hanno smarrito il senso della vita, che si sono persi facendo anche scelte abominevoli, hanno quella priorità nel nostro cuore di cui il Vangelo parla?
Noi sacerdoti sentiamo rivolta anche a noi la domanda: “Chi di voi se ha 100 pecore e ne perde una, non lascia le 99 nel deserto e va dietro a quella perduta finché non la ritrova?” Perché è Gesù che ripete per noi: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore”.
A voi famiglie, in questo Giubileo che ci ha richiamati insieme, rivolgo un invito che è una richiesta: per piacere impegnatevi a custodire, senza desiderio di possesso, i sacerdoti. Impegnatevi a sostenere e ad incoraggiare i presbiteri senza pretendere nulla se non che vi indichino sempre il bene più prezioso, Gesù il Risorto.
“Il pastore“, scrive papa Benedetto XVI, “ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue rientrano anche nel ministero della Chiesa e nel ministero del sacerdote. Il bastone della Chiesa e del Pastore serve a proteggere la fede contro ogni disorientamento. Allo stesso tempo, però, il bastone deve sempre diventare il vincastro del pastore, vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore“.
Insieme, sacerdoti e famiglie, vi chiedo di unirvi alla mia preghiera con le parole della venerabile Luisa Margherita Claret de la Touche:
“Ti adoro, Amore Infinito,
nascosto nei misteri tutti della nostra fede,
risplendenti nell’Eucarestia,
traboccante sul Calvario,
vivificante nella Santa Chiesa
per mezzo dei sacramenti.
Ti adoro palpitante nel Cuore di Cristo,
tuo ineffabile tabernacolo,
e a Te mi consacro.
Mi dono a Te, senza timore,
nella pienezza della mia volontà;
prendi possesso del mio essere,
pervadilo totalmente.
Sono un niente, incapace di servirti, è vero;
ma sei Tu, Amore Infinito,
che questo niente hai vivificato
e attrai a Te“.
✠ Francesco Savino