Omelie

SOLENNITA’ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO


SOLENNITA’ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO [SCARICA OMELIA]

29 maggio 2016

La solennità del ʺCorpo e Sangue di Cristoʺ, introdotta da Papa Urbano IV nel 1264,  è per noi oggi motivo, al tempo stesso, di gioia, di lode, ringraziamento e meditazione. Siamo  alle radici del nostro essere Chiesa, chiamati a comprenderne l’identità.

Gioiamo, lodiamo, ringraziamo e meditiamo per il dono più grande che l’umanità potesse mai ricevere. L’Eucarestia.

Nell’Eucarestia Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma” (Benedetto XVI, omelia).

L’Eucarestia è il “luogo teologico” in cui situarci per interpretare, alla luce dello Spirito, l’oggi della storia della salvezza. Un oggi, quello del nostro tempo, problematico e complesso.

Dalla Parola di Dio ricaviamo due parole: “benedizione” e “condivisione”.

Gesù, prendendo i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione su di essi, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla gente. Quella benedizione ebbe un effetto moltiplicatore: il pane benedetto bastò per tutti. Più tardi,  la stessa benedizione del Signore sul pane e sul vino, avrebbe avuto un effetto trasformativo. Da quella notte in cui Gesù fu tradito, il pane e il vino consacrati sono il Corpo e il Sangue di Cristo, Pane di vita e Calice di benedizione (cfr. 1 Cor 10,16).

La benedizione viene da lontano, l’abbiamo sentito nella prima lettura: Melchisedec benedì Abramo condividendo il pane e il vino.  La scena di Melchisedec che benedice Abramo  richiama quanto san Paolo  dice ai Galati: in Abramo sarebbero state “benedette tutte le nazioni. Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede, sono benedetti insieme ad Abramo, che credette” (Gal 3,8-9).  La benedizione di Abramo  mette insieme  tutti gli uomini e tutte le donne che, al di la della loro appartenenza, benedicono con le parole e con i gesti; al tempo stesso tale benedizione  separa  da tutti coloro che maledicono con parole e gesti di ingiustizia, di esclusione e di menzogna. Il verbo “benedire” etimologicamente è composto da  “bene” e “dire”,  e significa  dire bene a/di un’altra persona. La benedizione è  parola bella donata all’altro. Essa consente di avere uno sguardo positivo e costruttivo sulle cose e sugli altri, diventa modo di pensare, modo di sentire, modo di rapportarsi e di incontrarsi.

Abbiamo bisogno di recuperare la benedizione: di benedirci noi confratelli nel sacerdozio,  di dire bene gli uni degli altri,  di dirci bene nella verità e nella trasparenza, con autenticità e parresia, di benedire i  laici per quello che sono in una relazione di reciprocità. Abbiamo necessità di benedire il passato e il  presente per valorizzare positivamente tutto ciò che ci accomuna  andando oltre le negatività, i pregiudizi e i facili giudizi perchè la  Chiesa, presbiteri e laici, diaconi e religiosi, sia casa e scuola di benedizione, dove ognuno si senta bene-detto, cioè accolto per quello che è. E benediciamo anche i  propositi e i sogni per il futuro, sapendo che non siamo soli, ma Gesù è con noi sempre.

L’altra parola forte e significativa della liturgia del Corpus Domini è “condivisione”. Il Vangelo di Luca annota la contrapposizione di due mentalità. Quella dei dodici e quella di Gesù. I dodici, mentre il giorno sta per volgere al termine, si rivolgono a Gesù dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”. E’ la mentalità tipica di chi, dinanzi ad un bisogno, dice “non posso far nulla” oppure delega la propria responsabilità oppure riduce tutto a “compravendita” (“a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente“). Questa mentalità dei discepoli, spesso anche nostra, si contrappone a quella di Gesù che dice: “voi stessi date loro da mangiare”. Gesù, che si fa sempre popolo con il popolo, che lo accoglie, gli parla, lo cura, si fa misericordia di Dio, si fa carico anche delle situazioni più problematiche della folla ed invita i dodici a farsene carico. La scelta di Gesù  è quella di condividere, il suo progetto  di vita  è la fraternità, senza esclusioni. Per Gesù non conta avere molto, ma mettere a disposizione quello che si ha e quello che si è. Per questo, anche se c’è sproporzione tra “i cinque pani e i due pesci” e le migliaia di persone che erano lì presenti, Gesù dice “fateli sedere”. Accade che tutti mangiarono a sazietà e furono portati via anche dei pezzi avanzanti.

Il miracolo non è tanto nella moltiplicazione quanto nella condivisione e nella la solidarietà. Queste parole, solidarietà e  condivisione, oggi si vorrebbero cancellarle dal vocabolario esistenziale perché vogliamo ridurre la vita a mercato,  alla logica del “io do una cosa a te perché tu dia a me un’altra cosa”. La condivisione dei pani, anticipazione  dell’ Eucarestia liturgica sacramentale, ci fa capire che dobbiamo entrare nella logica di Gesù se vogliamo essere “suoi amici”, se vogliamo metterci alla sua sequela.

A voi, diaconi e ministri straordinari della Santa Comunione, che vivete questa sera il vostro Giubileo,  rivolgo una particolare esortazione, affinché il  servizio si declini nella condivisione della vostra vita con le persone più fragili, gli ammalati e i poveri. Diffondete “il profumo di Gesù Eucarestia” nelle case  condividendo le situazioni degli ultimi e dei disperati.

L’Eucarestia, che è benedizione e condivisione, è una provocazione silenziosa e continua a distaccarsi da sé, da ogni autoreferenzialità egoistica, per diventare testimoni credibili di un amore che non conosce confini.

Tra poco, percorrendo le vie della nostra Cassano, passando in mezzo alle case di uomini e di donne che vivono problemi di ogni genere, vogliamo andare loro incontro con  il Sacramento della presenza reale di Cristo espresso dalle parole: “Ecco il pane degli Angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli”. Vogliamo essere  dono per l’umanità e possiamo esserlo se assimiliamo il dono dell’Eucarestia e lo viviamo.

“Non si può ricevere l’Eucarestia e vivere come isole o disinteressarsi delle difficoltà altrui. O meglio la si può ricevere ma non la si celebra. Diventa rito non sacramento”. (Rosalba Manes, biblista.)
L’Eucarestia è il Sacramento di Dio che mi stravolge e mi rivolge al fratello.

Sant’Agostino, rivolgendosi ai neofiti che, nella notte di Pasqua, avevano celebrato i sacramenti della iniziazione cristiana, domanda: “Che cosa siete venuti a fare?” E lui stesso  risponde: “Siete venuti a prendere forma dal pane”. Ecco, l’Eucarestia, che è Corpo di Cristo donato e mangiato, ci rende “pane per gli altri”. L’Eucarestia, per dirla con De Lubac, fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucarestia. L’Eucarestia è, dunque, il DNA della Chiesa. Come afferma Piero Coda, l’Eucarestia è la Chiesa “in boccio” e la Chiesa è l’Eucarestia “sbocciata”.

L’augurio più bello, che è benedizione, è che vivendo  l’Eucarestia, rifiorisca, nella nostra Chiesa diocesana, la Gioia che dissolva ogni tristezza, la Grazia che vinca ogni timore, e la Fraternità sacramentale diventi fraternità esistenziale, ogni forma di rassegnazione e di pessimismo si traduca in Speranza concreta.

Maria, donna tutta eucaristica, sostenga ogni nostro desiderio di bene.

  Francesco Savino