Omelie

Domenica  delle  Palme  2023


 

Passione  del  Signore

 

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

 

Domenica  2  Aprile  2023

 

La Settimana Santa inizia con questa strana Domenica in cui due vangeli ci introducono agli ultimi giorni della vita del Signore: un Vangelo che parla di esaltazione con la festosa accoglienza di Gesù a Gerusalemme da parte delle folle e un Vangelo che parla del tradimento, della umiliazione e della morte di Lui.

Come qualcuno sostiene, sono due Vangeli che funzionano come una lama a doppio taglio che scende giù nel cuore di ciascuno di noi per verificare se esaltiamo Gesù per comodo o per altre ragioni accomodanti oppure se lo esaltiamo, se lo amiamo, per ciò che Lui ha detto, ha vissuto e ha scelto, cioè la condizione di servo e la morte in croce nella consapevolezza dell’amore del Padre che non lo avrebbe lasciato abbandonato nella morte.

L’evangelista Matteo segue molto da vicino il racconto del Vangelo più antico, quello dell’evangelista Marco, limitandosi a inserirvi alcuni elementi propri, con lo scopo di dare a tutto il racconto una forma catechistica ed ecclesiale.

Non potendo commentare tutto il lungo racconto mi soffermo solamente su due momenti: il Getsemani e il Calvario.

Padre Raniero Cantalamessa meditando sul Getsemani così afferma: “Di Gesù nell’orto degli ulivi è scritto: “Cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Un Gesù irriconoscibile! Lui che comandava ai venti e ai mari e gli obbedivano, che diceva a tutti di non temere, ora è in preda a tristezza e angoscia. Quale la causa? Essa è tutta contenuta in una parola, il calice: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!” Il calice indica tutta la mole di sofferenza che sta per abbattersi su di lui. Ma non solo.[…] È “il peccato del mondo” che egli ha preso su di sé e che pesa sul suo cuore come un macigno”.

Il filosofo Pascal ha affermato: “Cristo è in agonia nell’orto degli ulivi fino alla fine del mondo. Non bisogna lasciarlo solo in tutto questo tempo”. Dovunque c’è un essere umano impoverito e fragile, triste e angosciato, impaurito e disperato, lì c’è Cristo in agonia, nel Getsemani.

E se noi non possiamo fare nulla per il Gesù agonizzante di allora, possiamo fare qualcosa per il Gesù che agonizza oggi, nelle tante tragedie che si vivono, nei tanti orti degli ulivi dei nostri paesi, penso in questo momento alla tragedia di Cutro, al cimitero liquido del Mediterraneo, dove ci sono tanti corpi di adulti e bambini, alle tante vittime innocenti dei poteri mafiosi, ai tanti uomini e donne “mortificati” da quelle malattie che vengono ancora considerate inguaribili.

E se dal Getsemani arriviamo sul Calvario non possiamo non lasciarci interrogare dall’urlo di Gesù: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”.

“Sto per dire, ora, quasi una bestemmia, ma poi mi spiegherò. Gesù sulla croce è diventato l’ateo, il senza Dio. Ci sono due forme di ateismo. L’ateismo attivo, o volontario, di chi rifiuta Dio e l’ateismo passivo, o subìto, di chi è rifiutato (o si sente rifiutato) da Dio. Nell’uno e nell’altro si è dei “senza Dio”. Il primo è un ateismo di colpa, il secondo un ateismo di pena e di espiazione. A quest’ultima categoria appartiene l’”ateismo” di Madre Teresa di Calcutta, di cui si è tanto parlato in occasione della pubblicazione dei suoi scritti personali” (padre Raniero Cantalamessa).

Se guardassimo con occhi contemplativi il volto di Cristo crocifisso sul Calvario saremmo capaci di guardare con occhi diversi le persone che incontriamo sui sentieri della nostra vita, scoprendo in loro i fratelli, il loro bene, le loro necessità.

Convertiamoci alla verità di Dio nel Cristo crocifisso, convertendoci al suo amore incomprensibile e indicibile, e ricordiamoci oltre al grido doloroso della Sua umanità ferita, le sue ultime parole dove l’abbandono alla volontà del Padre indicano a tutti noi ciò che ci ha salvati. “Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito”. Così, abbandonato da tutti, si abbandona nelle mani del Padre, si abbandona nel Suo seno come un bambino piccolo. Questo abbandono, ripeto, ci ha salvati.

Ancora tre particolari l’evangelista Matteo espone alla morte di Gesù: lo squarciarsi del velo del tempio, il terremoto e la resurrezione dei morti conseguente all’apertura delle tombe.

L’evangelista vuole dirci che nella morte di Gesù è già annunciata la sua resurrezione.

“Anzi, i segni apocalittici che accompagnano questa morte anticipano profeticamente ciò che avverrà alla fine della storia: nella morte e resurrezione di Gesù il peccato e la morte sono già vinti, e questo sarà rivelato in pienezza quando nel suo amore tutti noi saremo richiamati alla vita eterna” (Enzo Bianchi).

E poi ricordiamoci delle ultime parole che abbiamo ascoltato di Gesù: “Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito”.

Così, abbandonato da tutti, si può abbandonare, si abbandona nelle mani del Padre, si abbandona nel seno del padre come un bambino piccolo.

Questo abbandono, questo sì, ci ha salvati.

Buona settimana santa alla sequela di Gesù crocifisso e risorto.

   Francesco Savino

pdf