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Lettera Pastorale Quaresima – Pasqua 2024 di S.E. Mons. Francesco Savino


 

 

Dal deserto al giardino

Un percorso quaresimale, un itinerario di vita cristiana

 

 

Nel giardino di pietre che è il deserto, nuovo spettrale giardino dell’Eden,

Gesù vince il vecchio, spento sguardo sulle cose (le tentazioni)

e ci aiuta a seminare occhi nuovi sulla vita.

(Ermes Ronchi)

 

 

Beato sei anche tu, sepolcro unico, poiché la luce unigenita sorse in te.

Dentro di te fu vinta la morte orgogliosa, che in te il Vivente morto ha cacciato via.

Il sepolcro e il giardino sono simbolo dell’Eden nel quale Adamo morì di una morte invisibile.

Il Vivente sepolto che risuscitò nel giardino risollevò colui che era caduto nel giardino.

(Efrem il Siro)

 

 

Carissime e carissimi,

nella mia precedente lettera per l’Avvento e il Natale ho preso spunto dal tema del discernimento, inteso come facoltà e compito che ci rende più propriamente umani e ci permette di seguire l’unicità irripetibile della nostra vocazione. Ora, con questo nuovo messaggio, vorrei proseguire la nostra riflessione, collocandola nel cammino quaresimale verso la luce della risurrezione.

Dalla Quaresima alla Pasqua, in un itinerario di ascolto, preghiera, discernimento e conversione, la liturgia della Chiesa ci invita a seguire Gesù dal deserto al sepolcro vuoto, fino alla gioia dell’incontro con Lui Risorto che effonde il suo Spirito.

Vorrei portare l’attenzione proprio su questi due estremi del percorso, il deserto e il giardino del sepolcro, e cogliere in essi un valore emblematico per il nostro orientamento nel cammino della vita.

 

Con Gesù nel deserto

Quest’anno la testimonianza sul tempo vissuto da Gesù nel deserto ci viene offerta dal Vangelo di Marco. La scrittura di questo evangelista è rapida, i suoi tratti molto decisi ed essenziali, la sua narrazione risulta asciutta e concentrata su poche, ma determinanti informazioni: «E subito lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (1,12-13).

Troviamo immediatamente delle coordinate incisive, senza troppe coloriture: un’indicazione di tempo, un soggetto, un verbo di azione, un destinatario, un luogo, una durata.

La scena avviene “subito”, ovvero in immediata successione rispetto alla voce dal cielo che presso il Giordano ha rivelato Gesù, uscito dalle acque del Battesimo, come il Figlio di Dio, l’amato in cui il Padre ha posto il suo compiacimento. Quasi il lettore non fa in tempo a realizzare questo annuncio dirompente, che subito deve rifocalizzare lo sguardo, spostandolo dalla quiete delle acque ai bagliori accecanti del deserto. Ed è qui, infatti, che Gesù viene sospinto dallo Spirito.

Il soggetto dell’azione, all’inizio, è lo Spirito. Lo Spirito, che è sceso su Gesù sotto la forma mansueta della colomba, inaspettatamente agisce come con violenza. “Sospinse”, traduce la Bibbia CEI. Ma l’originale greco suona più drastico e potente: il verbo scelto da Marco usualmente significa scacciare, spingere con forza, imporre a qualcuno di muoversi. Paradossalmente, è lo stesso verbo usato dagli evangelisti per descrivere l’azione con cui Gesù scaccia i demoni o espelle i venditori dal tempio e persino per parlare di coloro che nell’ultimo giorno saranno “cacciati fuori, nelle tenebre” (Mt 8,12).

Dunque, se lo Spirito lo “spinge con forza”, dobbiamo intendere che Gesù è solo destinatario passivo di un impulso esterno a sé? In realtà l’azione di Gesù si apre liberamente all’azione dello Spirito, la precede con la propria accoglienza. L’evangelista dice che Gesù “venne” da Nazareth di Galilea verso il Giordano, dove fu battezzato da Giovanni. È Lui che si consegna al battesimo e alla volontà del Padre. E la voce dall’alto conferma la sintonia del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (1,11). Lasciandosi battezzare, Gesù ha già dato il suo assenso alla mozione dello Spirito. Spingendolo verso il deserto, lo Spirito non esercita dunque una coercizione verso Gesù, ma un’azione irresistibile della quale Gesù stesso è al tempo stesso desideroso e volontario protagonista, in una piena comunione trinitaria.

Per noi è importante tenere presente questo dinamismo di comunione tra l’umano e lo Spirito: affinché lo Spirito possa indirizzare le deliberazioni umane, la nostra libera disponibilità è una condizione inaggirabile. Lo Spirito non agisce su di noi come su strumenti inerti e non si sostituisce mai alla libertà umana, ma accompagna, sostiene, eleva e santifica una libertà che accoglie la sua azione. Ritroviamo qui un principio caro a San Tommaso d’Aquino: la Grazia non distrugge la natura, ma la porta a compimento (Summa Theologiae, I,1,8 ad. 2). Non possiamo quindi immaginare la mozione dello Spirito come una forza che deresponsabilizza la nostra libertà, sollevandoci dalla fatica di discernere e di agire: l’aiuto dello Spirito prepara, sollecita e accompagna una coscienza che, pur nei suoi limiti e contraddizioni, cerca sinceramente la volontà di Dio e si lascia illuminare dalla sua Parola.

Veniamo quindi al luogo in cui lo Spirito sospinge Gesù: il deserto. È un luogo geografico, ma chiaramente ha una forte valenza simbolica e teologica. Il deserto è per Israele il luogo del cammino di liberazione, ma anche luogo della prova. Gesù, come ogni buon ebreo, è condotto a ripercorrere e ad assumere in sé l’esperienza del suo popolo, la più tipica e profonda condizione storica che ha caratterizzato l’identità di Israele. È senz’altro evocativa la durata della permanenza di Gesù, quaranta giorni, in corrispondenza dei quarant’anni trascorsi dal popolo nel deserto tra l’Egitto e la Promessa.

Eppure, si coglie che con la sua permanenza nel deserto Gesù non assume solo la realtà di Israele. Egli fa sua la condizione umana in quanto tale. Il deserto, infatti, è lo spazio vitale in cui ogni uomo è immerso, mentre sperimenta i limiti della propria condizione e l’inadeguatezza dell’ambiente circostante a dargli vita. Il deserto rappresenta in fondo la provvisorietà della realtà terrena in cui l’essere umano è situato, ma che non può garantirgli la pienezza a cui intimamente egli anela.

In questa condizione di aridità e provvisorietà, Gesù è tentato da satana. Anche in questo Egli assume la condizione umana. Assume la condizione propria di Adamo ed Eva.

Ma Eva e Adamo erano stati tentati mentre vivevano la dolcezza del giardino, non l’arsura del deserto. Posto nella condizione di perfetta armonia con Dio, con il proprio partner umano, con gli altri esseri viventi e con il creato, entrambe i progenitori avevano ceduto all’inganno, lasciandosi indurre a considerare il suo Creatore come un rivale geloso e a trasgredire il suo comandamento, dato per la vita e la vita in abbondanza.   Staccandosi dal legame vitale con la Parola divina, Adamo ed Eva dal giardino e dall’armonia erano passati a vivere nel deserto e nella lotta, sia interiore, sia esteriore.

Le rapide allusioni contenute nel Vangelo di Marco possono suggerire un legame tra la permanenza di Gesù nel deserto e la caduta di Adamo ed Eva nel giardino. Gesù viene tentato nel deserto, perché quel luogo è l’eredità che il peccato originale ha lasciato alla condizione umana. In altri termini: è l’unica condizione storica che abbiamo avuto modo di ricevere e di sperimentare, quella in cui qualcuno ci ha da sempre preceduto, lasciandoci in eredità un mondo già segnato da diffidenza e lacerazioni. Separati dal Creatore, la caducità e la sterilità del deserto sono il nostro ambiente di vita. Non più un giardino, dove lasciarsi avvolgere dall’armonia interamente provvista dal Signore Dio, ma una grande aridità, dove esercitare il proprio arbitrio coincide con lo sperimentare la propria inadeguatezza, chiusi in un mondo incapace di generare vita. Se dopo la caduta Dio avesse continuato a garantire ad Adamo ed Eva il giardino, non avrebbe rispettato le scelte delle sue creature, le avrebbe private della responsabilità e del discernimento, le avrebbe distrutte come esseri umani, sua immagine e somiglianza.

Proprio nel deserto, che contraddistingue ormai la condizione umana, un nuovo Adamo, Gesù di Nazareth, riconduce l’umano nella fedeltà a Dio che gli è possibile, cioè nella condizione per la quale è stato creato. La vittoria sulle tentazioni da parte di Gesù, la sua piena corrispondenza al cuore del Padre ristabiliscono l’armonia originaria. «La “quaresima” del Figlio di Dio – ha commentato papa Francesco pochi anni fa – è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare a essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini (cfr. Mc 1,12-13; Is 51,3)» .

A differenza di Matteo e di Luca, Marco non riporta la descrizione delle tentazioni e il resoconto della triplice vittoria di Gesù sul diavolo. Ma contiene un’annotazione tutta sua, che basta da sola a rendere conto del trionfo: Gesù, dice Marco, sta con gli animali selvatici e gli angeli si pongono a suo servizio. «Nel deserto, Gesù ha sostenuto vittoriosamente la lotta con Satana, l’Avversario, facendo del deserto stesso, tradizionale luogo di solitudine e di morte, uno spazio di comunione tra cielo e terra, un luogo di vita in cui si ricrea la comunione tra uomo e animali selvaggi, in cui il mondo infero rappresentato dalle bestie selvagge coabita con le presenze angeliche. Si realizzano le profezie sull’era messianica e si prefigurano “i cieli nuovi e la terra nuova”. Da luogo abitato da demoni, il deserto diviene giardino in cui gli angeli servono Cristo. Nella persona di Gesù iniziano i tempi escatologici» (Luciano Manicardi).

Ecco dunque, in una frase, l’annuncio che preconizza tutta la redenzione: attorno all’Uomo nuovo, la creazione ritrova la sua bellezza di pace, tra le pietre del deserto è ricomposta l’armonia del giardino. E allora una certezza si impone con evidenza: il Figlio amato, in cui il Padre si compiace, Lui che è stato condotto nel deserto e lì è stato tentato da Satana, Lui ha ribaltato la caduta di Adamo e ha ristabilito l’armonia della creazione, Lui è il Vincitore.

Nel capitolo primo di Marco il deserto è dunque da leggere in corrispondenza al giardino di Genesi, capitoli secondo e terzo. La scena dell’Eden si era conclusa con la cacciata dal giardino, una narrazione che in termini spaziali lasciava intendere metaforicamente l’allontanamento da Dio. La scena del deserto afferma, invece, che in Gesù la comunione di Dio con gli umani si è ricomposta ed è trasfigurata: l’armonia tra le creature suggerisce chiaramente che lì, in quelle relazioni pacificate, Dio è presente. Non ci sono più “i cherubini e la fiamma guizzante” a custodire la via all’albero della vita: la vita ora è di nuovo accessibile. È nel Signore Gesù. Ed egli la effonderà dall’albero della croce.

 

Dal deserto alla Galilea

Dopo il rapido riferimento al deserto, con un altro improvviso cambio di scena, Marco sposta la narrazione alla Galilea. Lì è geograficamente collocato il sommario della prima predicazione di Gesù: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”» (1,14-15).

Se la riconquista dell’armonia del giardino aveva impegnato il solo Gesù, vittorioso nel deserto, ora la vita in quell’armonia riconquistata sollecita la risposta di ogni uomo e di ogni donna: è compiuto il tempo, il regno di Dio non è più precluso a nessuna e a nessuno, è presente. Tutti e tutte sono invitati alla conversione e alla fede nel Vangelo.

Nella Galilea, Gesù offre a tutti la possibilità di partecipare alla sua vittoria. Lo spazio del deserto, nuovo giardino della comunione con Dio e con gli altri, è aperto senza condizioni e senza riserve.

Tuttavia, perché il deserto della lotta si trasfiguri in giardino dell’armonia, occorrono la conversione e la fede. È il tempo della scelta, della tensione fra i richiami suadenti del deserto e la nostalgia profetica del giardino. Tempo di seguire il nuovo Adamo, Gesù, per vincere e vivere con Lui.

 

Con Gesù nel giardino

All’altro estremo del cammino quaresimale, la liturgia ci accompagna nel giardino in cui il Signore Gesù vuole condurre i suoi discepoli. Mentre i vangeli sinottici (letti la domenica delle palme) vi contemplano la preghiera di Gesù che dona totalmente la sua volontà al Padre, è il quarto vangelo (proclamato il venerdì santo) che ne coglie la natura di “giardino”, quando parla di quel luogo al di là del Cedron (18,1). L’evangelista Giovanni, tuttavia, nel giardino non fa riferimento esplicito alla preghiera che Gesù rivolge al Padre, a cui ha dedicato invece tutto il capitolo precedente.

Il Vangelo di Giovanni ha un altro modo per annunciare la presenza di Dio che si manifesta in modo invincibile nel giardino. È una presenza che supera infinitamente quella che si manifestava nell’Eden, e da cui Adamo ed Eva avevano voluto separarsi. Nel giardino dell’Eden, Dio aveva cercato con amarezza Adamo: “Dove sei?”. “Mi sono nascosto”. Nel giardino al di là del Cedron, Gesù non si nasconde, si fa trovare, conferma il suo esserci integralmente. “Sono io”. Se Adamo si era nascosto e separato da Dio, ora la presenza di Dio non potrà più essere separata dall’umanità, perché essa è tutta realizzata in Gesù: si coagula, si manifesta e si identifica in Lui.

Giovanni ce lo fa intendere con un’altra allusione biblica, quella che ricollega l’auto-consegna di Gesù al nome di Dio nell’Esodo. Quel nome viene evocato proprio nel “Sono io”, detto da Gesù ai soldati, che indietreggiano e cadono a terra. “Io sono”, infatti, è il nome stesso di Dio, impronunciabile, ineffabile, totalmente altro. E infatti i soldati non possono resistere alla sua presenza, come ogni essere umano alla presenza vertiginosa del Dio Altissimo. Tuttavia, ecco che nella voce di Gesù, quel Nome, l’essere stesso di Dio, ora non è più totalmente distante, non è più inavvicinabile, perché è il Presente, il Vivente in Gesù. E i suoi discepoli allora possono rimanere con Lui. Lui non li scaccia, ma li difende: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato» (Gv 18,9).

 

Nel giardino del sepolcro vuoto

Il luogo della sepoltura è indicato da Giovanni come un giardino. Lo apprendiamo quando Maria Maddalena, mentre piange, vede Gesù risorto e, pensando che sia “il custode del giardino”, gli chiede: “Se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo” (20,15).

Non sfugge un delicato richiamo al Cantico dei Cantici: «Ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato (…) Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: “Avete visto l’amore dell’anima mia?”» (Ct 3,1.3). Si compie, in quel giardino, l’attesa di tutta l’umanità, simboleggiata dal dialogo di amore del Cantico.

Si risana, in quel giardino, l’insanabile frattura di morte che era stata perpetrata nell’Eden. Si ricompone il dialogo di amore tra l’umanità e il suo Dio, quel dialogo che Adamo ed Eva avevano interrotto, finendo col vedere il Creatore come un rivale; dialogo da cui avevano voluto ulteriormente fuggire nascondendosi al passaggio del Signore.

Proprio quel dialogo ora viene ripreso, appena un nome umano viene pronunciato: “Maria!”. La conversazione si riaccende, e una risposta di gioia scaturisce dal cuore che ama: “Rabbunì!”. «I vangeli ci descrivono la felicità di Maria: la risurrezione di Gesù non è una gioia data col contagocce, ma una cascata che investe tutta la vita. L’esistenza cristiana non è intessuta di felicità soffici, ma di onde che travolgono tutto. Provate a pensare anche voi, in questo istante, col bagaglio di delusioni e sconfitte che ognuno di noi porta nel cuore, che c’è un Dio vicino a noi che ci chiama per nome e ci dice: “Rialzati, smetti di piangere, perché sono venuto a liberarti!”» (Papa Francesco). In Maria, tutta l’umanità è invitata, ogni creatura è chiamata per nome. «La voce del Risorto ci chiama in tutte le circostanze e gli incontri della vita in cui chi è aperto alla fede può leggere un vestigio, un tocco dello splendore del Cristo risorto» (C. M. Martini).

La notte è passata, il deserto è alle spalle. A quella voce, un’alba nuova nasce nel giardino. Ma non finisce il cammino: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto» (Gv 20,17-18).

Dal giardino del sepolcro vuoto parte la missione di tutta la Chiesa, che attraversa il deserto della storia. Da quel giardino ripartiamo oggi anche noi, perché ogni deserto sia fecondato dall’annuncio del Risorto. Ogni deserto può diventare un giardino: sulla superficie della terra, nell’intimo dei cuori, nella storia dei popoli.

 

Carissime e carissimi,

l’itinerario dal deserto al giardino non è mai un percorso lineare e trionfale, lo sappiamo bene. Nella nostra esperienza quotidiana ci troviamo spesso ad attraversare l’uno e l’altro e non necessariamente gli spazi di armonia e quelli di arsura sono ben distinti e separati. Piuttosto coesistono in uno stesso ambiente, in una stessa comunità, in uno stesso cuore.

A noi la missione di irrigare un po’ di deserto, in noi e attorno a noi, e di estendere gli spazi del giardino. Soprattutto, sia attraversando il deserto, sia rallegrandoci del giardino, noi possiamo lasciarci guidare da quella parola che ci chiama alla conversione e alla fede. Anche il deserto, infatti, è luogo di fedeltà e di pazienza, tempo in cui il nostro servizio vive una prova di amore e in cui il Signore può fare sentire la sua voce.

Molte volte, non dimentichiamolo, l’asprezza del deserto è anche una condizione provvidenziale in cui Dio ci aspetta per alleggerire il carico delle nostre certezze e alimentare l’olio del desiderio del suo amore.

Ecco il senso del nostro vivere, in un mondo che anche oggi è deserto ed è giardino. Il senso è la scelta, è il discernimento, è la libertà vera, quella tipica dei figli di cui Dio, che è Padre e Madre, si compiace. Ogni giorno, nella Galilea del mondo, è tempo di deserto e ogni giorno la presenza del Signore a nostro fianco ci fa sentire i suoi passi nella brezza del giardino. Una brezza che è un sussurro, una voce, che rincuora e richiama: “Convertitevi e credete nel Vangelo”.

 

   Cassano all’Jonio, 14 Febbraio 2024

          Mercoledì delle Ceneri

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