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Omelia Domenica 24 Gennaio 2016: San Francesco di Sales


Domenica 24 Gennaio 2016 – memoria liturgica di San Francesco di Sales [SCARICA

Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi fratelli e sorelle, siamo riuniti per celebrare la Domenica, il “giorno del Signore”, il giorno “che ha fatto il Signore”, la festa “primordiale”, secondo una definizione dei padri conciliari, in quanto ricorda la Risurrezione del Signore.

Oggi, 24 di gennaio, cade la memoria liturgica di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e di tutti gli operatori della comunicazione. A loro va il mio saluto ed il mio cordiale ringraziamento per la  gradita presenza.

La prima lettura, tratta dal profeta Neemia, presenta l’esperienza dei Giudei che, ritornati dall’esilio nella terra dei padri, si raccolgono per ascoltare «il libro della Legge di Mosè» (Ne 8,1). Al centro della vita del popolo viene posta quella Parola di Dio la cui inosservanza aveva provocato la rottura della comunione, e, perciò l’esilio.

Nel passo del Vangelo, Luca, narra di  Gesù, nella sinagoga di Nazareth, che legge un brano del profeta Isaia e mette in particolare rilievo il ruolo dello Spirito nella vita di Gesù e nel suo ministero.

Oggi la Parola di Dio sembra convergere verso una rimessa al centro della Sacra Scrittura, quasi esortando l’esercizio di un’intelligenza sempre più profonda di essa che comprende anche un’applicazione pastorale. Parola del Dio vivente, la Sacra Scrittura è sempre contemporanea e attuale per l’uomo: lo illumina, lo chiama a conversione, lo conforta.

Il brano del Vangelo di oggi è composto da due pericopi: la prima (Lc 1,1-4) appartenente al prologo, la seconda (4,14-21) alla sezione riguardante il ministero pubblico di Gesù. Qui vengono messi insieme per guidarci nella comprensione della missione del Signore.

Tutto il Vangelo di Luca si presenta come esperienza di una testimonianza oculare da parte di coloro che sono stati i protagonisti della vicenda pre-pasquale di Gesù. L’evangelista puntualizza in questo modo come il vangelo è una verità che trova il suo riscontro diretto nella vita… è un vangelo per la vita e dà significato pieno all’esistenza.

Nell’esordio, Luca si rivolge a Teofilo, un cristiano, amante di Dio, questo è l’etimo del nome, e gli dichiara la sua decisione di scrivere un racconto, vale a dire il Vangelo, “dopo aver fatto ricerche accurate”; il ministero pubblico di Gesù, secondo l’autore del terzo Vangelo, inizia proprio a Nazareth, mentre in Marco, a Cafarnao con la chiamata dei discepoli, e in Matteo con il “discorso della Montagna”.

Oltre al Tempio di Gerusalemme, i Giudei possedevano in ogni paese una sinagoga dove si raccoglievano per la preghiera del sabato e, secondo un’antica tradizione si lasciava la parola ai cosiddetti passanti, come segno di accoglienza ed anche per eventuali aperture dialogiche.

Terminata la lettura del brano che è il cap. 61 di Isaia, è Gesù stesso a farne l’esegesi. Dice in sintesi: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”, perché riferisce quanto ha sperimentato nel battesimo al Giordano. “Per questo mi ha consacrato con l’unzione”: il termine greco tradotto con “unzione” è lo stesso da cui deriva ‘Cristo’, l’Unto per eccellenza, il Messia. “E mi ha mandato”: la prima azione dell’uomo consacrato da Dio, dell’uomo unto di Spirito Santo, non è rivolta verso Dio, ma verso l’uomo stesso.

La missione è descritta mediante quattro verbi all’infinito, tra cui il primo – portare il lieto annuncio ai poveri – è il più decisivo, mentre gli altri tre possono essere compresi come esplicativi del primo.

Evangelizzare i poveri significa: proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il recupero della vista, rimettere in libertà gli oppressi, proclamare l’anno gradito al Signore.

Non si parla di ritualismi stereotipati, ma di umanità tesa verso i bisogni e le sofferenze degli uomini. A Nazareth, quel sabato, Gesù annunciò il tempo nuovo che non avrebbe più avuto per protagonista l’uomo, ma “Dio fatto uomo”. Nella sinagoga di Nazareth è l’umanità che si rialza e riprende il suo cammino verso il cuore della vita.

Nella proclamazione di Gesù viene presentato il paradosso di Dio e del suo Regno: i perdenti diventano i beneficiari dell’annuncio messianico. Si tratta della contestazione radicale delle categorie del mondo. Di fronte al dolore vissuto spesso come ribellione o non senso che chiude in se stessi e non di rado rende insensibili alle situazioni altrui, l’incontro con Cristo può diventare motivo di illuminazione e soprattutto di trasformazione del dolore in un atteggiamento di amore disinteressato e persino gioioso. Gesù Cristo è presente nel mondo, non solo attraverso i “semina Verbi”, i germi del Verbo sparsi nelle culture di tutti i tempi, ma anche e soprattutto nel volto di tutti gli esseri umani crocifissi. Coloro che soffrono sono i portatori privilegiati della presenza di Gesù.

La differenza cristiana non viene esibita attraverso il culto che si pratica, ma viene espressa attraverso la forma di vita che nella quotidianità annuncia qualcosa di diverso. Con le stesse note umane, dunque, viene suonato uno spartito diverso.

In tale prospettiva, il cristianesimo deve proporsi come buona notizia di un inizio nuovo e dell’assoluto miracolo dell’impossibile dentro le normali possibilità dell’uomo, vero cortocircuito in una cultura abituata all’idea di un “deus minime deus pro nobis”.

L’annuncio di Gesù è rivolto anche ai giornalisti e a tutti gli operatori della comunicazione sociale che sono invitati ad essere mediatori “fra la verità e la pubblica opinione” come affermò Papa Paolo VI.

Come Pastore mi chiedo quale cultura possa essere generata da una comunicazione che non abbia al suo centro la dignità della persona?

La moltiplicazione di nuove tecniche tocca ormai ogni ambito e implica in misura più o meno grande ogni essere umano.

La Chiesa ha sempre tributato ai mezzi di informazione un valore altamente educativo e culturale, ma talvolta essi funzionano come agenti di propaganda e di disinformazione, al servizio di interessi ristretti, di pregiudizi nazionali, etnici, razziali e religiosi, di avidità materiale e di false idee.

Compito della comunicazione, che San Giovanni Paolo II riteneva “sacro”, è diffondere messaggi positivi che promuovano la dignità della persona e della famiglia e  fatti che aprano alla speranza e siano testimonianza di fede. La comunicazione, perciò, deve essere sempre veritiera, perché la verità è essenziale alla libertà individuale e alla comunione autentica fra le persone.

Siate, dunque,  proprio Voi, carissimi giornalisti, i diretti mediatori di quello che Gesù vuole realizzare nella storia per la salvezza degli uomini e la gloria di Dio. Anche Voi potete – secondo le parole di Santa Caterina – “portare il fuoco sulla terra”: fuoco di verità, di amore, di giustizia, di pace.

San Francesco di Sales fu onorato con il titolo di Dottore della Chiesa e proclamato patrono dei giornalisti per la sua penna persuasiva ed avvincente, come non se ne conoscevano dopo quella di S. Agostino.

Sul suo esempio, in questo anno di grazia che stiamo vivendo, viene rivolto a voi un impegno: il servizio all’informazione sia al servizio dell’uomo. Non preoccupatevi di farvi strada, ma  fate strada ai senza voce!  Gesù vi aiuterà a vivere il vostro servizio come “laboratorio della fede”, come un meraviglioso cammino verso la Misericordia. L’ “oggi” di Dio, su cui insiste il Vangelo di questa Domenica, si attuerà attraverso la buona stampa. Contribuirete anche voi al “nuovo umanesimo” di cui l’umanità di oggi ha più che mai bisogno!

Affido alla vostra riflessione la citazione di un acuto testimone della nostra epoca, Italo Mancini, che così scriveva: “Chiamatelo come volete, cristianesimo evangelico, paradossale, agonico, terribile, tragico, radicale, impossibile dal punto di vista umano […], ma ricordate che, senza questa radicalità che ripresenti l’inaudito e lo straordinario, non sorgerà una nuova primavera, o, per essere più esatti, una nuova Pentecoste del senso”!

Vostro
+ don Francesco Savino