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Omelia XII Domenica del Tempo Ordinario 21 Giugno 2020


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XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno A)

Ger 20, 10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33

21  Giugno 2020

In questa Domenica riprendiamo la lettura del Vangelo di Matteo dal capitolo X in cui Gesù parla della missione dei suoi discepoli e a tutti coloro che sono chiamati al servizio del Regno di Dio.

Dopo aver scelto i suoi e aver dato loro il potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni sorta di malattia, li istruisce e li prepara ad affrontare le prove e le persecuzioni che dovranno incontrare. La missione che affida loro consiste nell’annunciare e testimoniare con parresia, credibilità ed autorevolezza il Vangelo di Gesù, sapendo di andare incontro al rifiuto e a reazioni violente.

Gesù dice: “Non abbiate paura degli uomini […] E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo”.

Coloro che annunciano il Vangelo di Cristo non possono aver paura innanzitutto perché sono messaggeri di Dio, il quale parla e agisce per mezzo di loro, nelle loro parole e nei loro gesti. Inoltre i loro persecutori e i carnefici potranno fare loro del male, anche ucciderli, ma non potranno mai togliere loro la vita eterna, che è ciò che conta davvero. Leggiamo qui la contrapposizione tra “corpo” e “anima”: per “corpo” si intende la vita storica della persona; per “anima” la sua vocazione alla partecipazione totale della vita di Dio. 

Le parole del Vangelo di oggi ci richiamano ad avere coraggio, a lottare contro ogni paura avendo come fine ultimo il giudizio di Dio, il solo che può condannare alla Geenna. La Geenna era originariamente il nome della valle dell’Immon, a sud ovest di Gerusalemme. Il nome era usato per indicare il luogo del giudizio e della pena. Nel secondo libro dei Re, la valle dell’Immon è il luogo dove si tiene il culto di Moloc, ragion per cui Dio punirà il popolo e la valle si chiamerà la valle della strage (Ger 7, 31-34). Nel Nuovo Testamento, la Geenna è il luogo dell’ultima pena e, nel Vangelo di Matteo (23, 33), l’ultimo giudizio viene chiamato giudizio della Geenna. 

Altro motivo per cui i discepoli di Gesù sono invitati a non avere paura fa appello alla Provvidenza di Dio Padre. “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!”. Allo sguardo di Dio, quindi, non sfugge se un passero cade nella rete dell’uccellatore. A maggior ragione Dio, il Padre, sarà attento ai pericoli che incontreranno i discepoli missionari, che sono molto più preziosi dei passeri. 

Un ultimo motivo per cui il “missionario” non deve avere paura è perché “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini anch’io lo rinnegherò davanti al padre mio che è nei cieli”. 

Alla luce delle indicazioni serie e vincolanti di Gesù, noi cristiani di oggi, annunciatori e testimoni del Vangelo, dobbiamo comprendere la differenza tra paura e timore.

Padre Raniero Cantalamessa così sostiene: “La paura è una manifestazione del nostro istinto fondamentale di conservazione. È la reazione a una minaccia portata alla nostra vita, la risposta a un pericolo vero o presunto: dal pericolo più grande di tutti, che è quello della morte, ai pericoli particolari che minacciano o la tranquillità, o la incolumità fisica, o il nostro mondo affettivo. Il vangelo ci aiuta a liberarci da tutte queste paure, rivelando il carattere relativo, non assoluto, dei pericoli che le causano. C’è qualcosa di noi che niente e nessuno al mondo può veramente toglierci o danneggiare: per i credenti è l’anima immortale, per tutti la testimonianza della propria coscienza”.

Più diminuisce il timore di Dio, più cresce la paura degli uomini!

San Paolo ci insegna un metodo pratico per vincere le paure. Nella lettera ai Romani, a un certo punto, egli passa in rassegna tutte le situazioni di pericolo che hanno minacciato di abbatterlo nella sua vita: “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada” (Rom 8, 35 ss). Non si tratta di un elenco convenzionale. Con ognuna di queste parole egli allude a un fatto realmente accadutogli. Guarda quindi tutte questi fatti alla luce della grande certezza che Dio lo ama e conclude trionfalmente: “In tutte queste cose noi stravinciamo grazie a colui che ci ha amati”.

Impariamo a ripetere con l’apostolo Paolo: “Ma Dio mi ama e tanto basta!”, “Se Dio è con noi chi sarà contro di noi?”.

Il timore di Dio è una dimensione della fede che nasce dal sapere chi è Dio. È, potremmo dire, un altro nome dello stupore e della lode. È uno dei sette doni dello Spirito Santo!

Siamo chiamati, dunque, a liberarci dalla paura anche in questo tempo in cui l’angoscia sembra sovrastarci; siamo incoraggiati a riscoprire la bellezza del “timore di Dio” confidando in Dio e affidandoci totalmente a Lui.

Mi piace concludere con un testo dei monaci di Tibhirine: “La nostra Chiesa è stata duramente scossa, soprattutto nella nostra Diocesi di Algeri. Ridotta, ferita, fa l’esperienza cruda dello spogliamento e della gratuità iscritti nell’Evangelo come in ciascuna delle nostre vocazioni alla sequela di Gesù. Vulnerabile, estremamente fragile, si scopre anche più libera e più credibile nel suo voto di ‘amare fino alla fine… Presenza della morte. Per tradizione è assidua compagna del monaco. Questa compagnia ha assunto una intensità più concreta con le minacce dirette, gli omicidi avvenuti vicinissimo a noi, alcune visite… Si offre a noi come un prezioso test di verità, non certo comodo. Dopo il Natale 1993, noi tutti abbiamo scelto nuovamente di vivere qui insieme. Questa scelta (rinnovata) era stata preparata dalle precedenti rinunce di ciascuno (alla famiglia, alla comunità di origine, al paese…). La morte brutale (di uno di noi o di tutti insieme) sarebbe solo una conseguenza di questa scelta di vita alla sequela di Cristo (anche se non è direttamente prevista come tale nelle nostre costituzioni!). Il nostro vescovo ci invita spesso, con la parola e con l’esempio, a lasciarci così rinnovare nel fondamento stesso della nostra “offerta di vita”. La nota di speranza deve emergere vittoriosa da tutto questo. È quanto si attende da noi, prima di ogni altra cosa. Con la pazienza che questa implica, fin nei dettagli di una vita condivisa”. (Monaci di Tibhirine in Più forti dell’odio pp. 135-6)

Buona Domenica.

   Francesco Savino