Omelie

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)


 

Gn 18, 1-10; Sal 14; Col 1, 24-28; Lc 10, 38-42

Ordinazione  presbiterale  di

don Luca Pitrelli e don Mansueto Corrado

 

17 Luglio 2022

 

Nella nostra vita sempre in maniera imprevedibile e inattesa arriva l’altro, non sempre desiderato e voluto nel nostro mondo perché occupa spazi e modifica i nostri piani, impedendoci di concentrare tutta l’attenzione su noi stessi. Accade anche, a maggior ragione, quando l’altro è Dio, che arriva inaspettato nella nostra esistenza e ci distoglie dall’attenzione narcisistica, ossessiva, che riserviamo sempre al nostro “io”. Se non ci fosse questa visita di Dio rimarremmo imprigionati per sempre in una adorazione banale e sterile di noi stessi.

Una meravigliosa rappresentazione di questa dinamica, sostiene padre Gaetano Piccolo SJ, si trova nella commedia di Éric-Emmanuel Schmitt, dal titolo eloquente: Il Visitatore. In quest’opera teatrale, Freud si ritrova in casa un visitatore misterioso, comparso all’improvviso. Freud è preso dalla sua decisione di partire o lottare contro il nazismo. Lungo l’intenso dialogo, aggravato dalla malattia di Freud, si rivela progressivamente l’identità dell’ospite misterioso che nel provocare le grandi domande della vita, di ogni uomo, rese più urgenti dalla situazione storica in corso, riporta i dubbi e le paure del “visitato” alla consapevolezza dell’esistere, al perché dell’esistenza, allo scopo della vita, al perché del dolore, in sintesi ne provoca la libertà, costringendolo ad uscire dal suo mondo autoreferenziale.

Più semplicemente potremmo dire però che è anche l’esperienza di ogni mamma: un bambino che arriva è senza ombra di dubbio una gioia grande, ma sicuramente richiede anche di rivedere spazi, schemi, abitudini. Un figlio ti decentra e ti allena a non pensare solo a te stesso.

Le sacre scritture ci presentano spesso questa presenza di Dio come ospite inatteso che cambia il modo di guardare le cose.

Carissimi Luca e Mansueto voi ne sapete qualcosa. Nella vostra vita questa presenza di Dio è accaduta, seguendo i suoi sentieri imperscrutabili, e voi vi siete lasciati sedurre. Con la vostra dichiarazione di disponibilità, accompagnati dal discernimento della comunità del seminario, avete gradualmente compreso il Suo Disegno sulla vostra vita che questa sera nell’ordinazione presbiterale raggiunge il compimento e al tempo stesso diventa punto di partenza per il vostro servizio nella nostra chiesa locale, diocesana.

Il capitolo 18 del Libro della Genesi, la Prima Lettura della Liturgia di oggi, ci fa cogliere la presenza di Dio che entra nelle nostre situazioni di disperazione e ci rigenera alla vita. Abramo e Sara vivono chiusi nella loro “tenda della delusione”, perché la promessa che hanno ricevuto non si realizza. Il figlio tanto atteso non arriva. Per loro sembra che non ci sia un futuro. In questa situazione problematica, umanamente difficile, Dio visita questa coppia. Abramo si trova all’ingresso della tenda, è sulla soglia che dice simbolicamente l’incertezza; mentre per lui c’è ancora un’apertura, una possibilità, Sara rimane “ingessata” nella sua mancanza di speranza. Dio arriva nell’ora più calda della giornata quando, soprattutto nei paesi del mediterraneo, non si muove alcun segno di vita. Tutto sembra morto! Ma proprio in questo tempo Dio visita e ci sorprende. Dio si fa ospite e, nonostante l’ora, Abramo si da da fare. Prepara un banchetto esagerato.

Sostiene ancora padre Gaetano Piccolo SJ che Dio tira fuori Abramo, come all’inizio della sua vocazione, dalla sua chiusura invitandolo a servire. La dinamica del servizio ci permette di uscire dal ripiegamento ossessivo su noi stessi. Anche il Vangelo di questa Domenica ci presenta un Dio imprevedibile che provoca la nostra vita.

Gesù mentre con i suoi è in cammino, entra in un villaggio e viene ospitato da Marta e Maria che sembrano raccontare due modi di vivere la presenza dell’altro nella nostra vita: da una parte il servizio efficiente di Marta che cerca di portare a compimento le esigenze dell’ospitalità, dall’altra parte l’ascolto, ovvero la gratuità della presenza.

L’icona di Marta e Maria accompagnerà il cammino sinodale delle chiese italiane e sarà per noi una grande opportunità per entrare in profondità in dialogo con queste donne che interagiscono col Maestro, Gesù.

Mi piace puntualizzare che tra Marta e Maria, difatti, intercorre un rapporto di complementarietà, il cui significato si può cogliere a partire da ciò che diceva santa Teresa d’Avila: occorre fare la parte di Maria, senza tralasciare quella di Marta. Questa parafrasi teresiana dell’episodio evangelico di Betania aiuta a ben comprendere la “preferenza” sancita dal Maestro di Nazareth: quella di Maria è la parte più importante, giacché è quello di Maria “il” servizio che Gesù chiede ai discepoli, l’ascolto. L’ascolto è nel Nuovo Testamento l’attitudine tipica del servitore attento e solerte. Ascoltare infatti significa obbedire. Anzi, più precisamente, obbedire significa ascoltare: cioè non sottomettersi passivamente ai comandi altrui (di Dio), bensì intenderne il senso profondo, interpretandoli come inviti e come esortazioni che il Signore ci rivolge. Per questo Gesù, quando racconta la parabola della zizzania, dà questo avvertimento: «Chi ha orecchi, intenda». Gli stessi dieci comandamenti “mosaici”, nell’Antico Testamento, sono più precisamente degli auspici per il bene del popolo eletto più che degli imperativi: Dio non comanda, ma chiede, a volte quasi dando l’impressione di “mendicare” il servizio degli uomini. Servizio che, perciò, si realizza nella forma della relazione, non della sottomissione. Per questo Gesù chiamerà i discepoli non più servi ma amici. Le due sorelle di Betania sono discepole, cioè amiche: e viceversa.

Più profondamente, però, l’ascolto è attitudine filiale: Gesù stesso è nel Nuovo Testamento paîstoû Theoû, che vuol dire al contempo servitore di Dio (con tale espressione greca i Settanta tradussero nei carmi isaiani del Servo sofferente l’espressione ebraica ebed Adonai) e bambino, figlioletto di Dio, che come tale può invocare il Padre suo familiarmente come Abbà. È il motivo per cui Gesù suggerisce ai discepoli di diventare come bambini per poter entrare nel Regno.

Insomma ascoltare è la voce verbale che definisce il vero servizio, quello che consiste nel restare in rapporto intimo con Dio, come un servo fedele, anzi come un figlio affezionato. Maria vive questa “parte”, questo servizio autentico e radicale, che rende il discepolo capace di comprendere e discernere la volontà del Signore, così potendola compiere per come vuole il Signore, senza disperdersi in altri tipi di servizi, pur buoni ma non importanti. Marta, per servire concretamente e fattivamente, deve dunque innanzitutto, come Maria e con Maria, porsi in ascolto: di Dio, del Maestro, degli altri suoi ospiti a casa sua. Solo così potrà intercettare le loro vere attese, le loro speranze, i loro bisogni. È, appunto, ciò che anche una Chiesa sinodale dovrebbe esser disposta a fare.

Luca e Mansueto, lasciatevi, lasciamoci tutti convertire dall’incontro di Gesù con Marta e Maria facendo sintesi, cioè mettendo insieme, nella vostra e nella nostra vita, Marta e Maria.

Essere presbiteri non significa assolutamente far parte di una casta, di una elite che si chiama presbiterio, ma significa vivere nella certezza che tutto è grazia e il vero potere è l’amore.

Il rischio sempre ricorrente nella vita presbiterale è diventare dei funzionari, dei burocrati del sacro! Dentro il cambiamento d’epoca, tempo complesso e complicato, dove la cultura dell’indifferenza nei confronti di Dio sembra essere una nota caratteristica, la credibilità di un presbitero consacrato è vivere come testimone il suo amore per Cristo e il suo Vangelo.

La comunione con il Signore è il cuore del nostro ministero presbiterale. Solo Cristo è necessario! Facilmente si può cedere alla tentazione che tutto dipenda da noi, il pelagianesimo. E quante volte quando si sperimenta la noia, il vuoto e la nausea di ciò che si vive pensiamo che la soluzione è compensarci con surrogati che ci danno l’illusione dell’ebbrezza del momento a discapito della perdita poi del vero significato e del vero fine per cui si è presbiteri. È importante lavorare sulla propria umanità, che significa vedere i propri difetti e i propri limiti, non per narcisismo ma per amore di Dio e delle persone affidate alla nostra cura. Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati, e quindi anche tu Luca e tu Mansueto siete chiamati ad una conversione permanente rimanendo con Cristo attraverso e nella preghiera. L’azione pastorale, senza dubbio importante e significativa, non deve mai oscurare l’essere più profondo della vostra vocazione. Siete chiamati a governare (dirigere una imbarcazione secondo l’etimologia), che è un compito serio e appassionante, che non significa essere padroni delle persone che vengono affidate alla vostra responsabilità, ma guidare e accompagnare, prendervi cura dei fratelli e delle sorelle nella fede, dentro la chiesa, vivendo la comunione con il presbiterio che non è una comunione opzionale ma radicale. Essere chiamati ad essere presbiteri comporta l’appartenenza ad una nuova famiglia, che è un nuovo stato di famiglia, il presbiterio. Siete chiamati ad insegnare, che non è indottrinare ma lasciare nelle persone che si incontrano i segni dell’incontro con Gesù, significa creare le condizioni perché gli uomini e le donne incontrati possano riconoscere l’avvenimento decisivo della loro vita: l’incontro con Cristo. Il Concilio Vaticano II nel decreto “Presbyterorum ordinis” sulla vita e il ministero dei presbiteri dà una chiara indicazione sull’insegnamento: “I presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio, seguendo il mandato del Signore: «Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo ad ogni creatura» e possono così costituire e incrementare il popolo di Dio” (numero 4).

Siete chiamati a santificare, la missione del presbitero è quella di santificare il popolo a lui affidato.

Il cammino della santità non è un’opzione ma una vocazione, la nostra. La santità è comunicativa e scaccia la banalità.

Colgo ancora una volta l’occasione per ringraziare le vostre comunità parrocchiali e i parroci che vi hanno accompagnato: a te caro Luca, prima don Diego Talarico e poi don Nicola Arcuri. E a te, caro Mansueto, prima don Nicola De Luca, don Nicola Mobilio e poi don Pierfrancesco Diego.

La comunità del seminario, con il rettore e gli educatori e il padre spirituale e la comunità dei professori, che ringrazio con tutto il cuore, hanno cercato di formarvi in modo globale.

Un augurio con tre verbi: fuggite la mediocrità, risvegliate il desiderio, coltivate i sogni.

Buona strada nella nostra chiesa locale con il presbiterio e il popolo santo di Dio.

   Francesco Savino

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