Omelie

XXXI domenica del tempo ordinario anno A


 

Ml 1,14-2,2b.8-10; Sal 130; 1 Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12

 

5  Novembre  2023

 

“All’invettiva profetica contro i sacerdoti infedeli nella prima lettura risponde l’invettiva profetica di Gesù rivolta a scribi e farisei nel vangelo. Entrambi i testi denunciano non solo l’ipocrisia e la doppiezza, ma anche il potere che può essere esercitato da chi detiene un’autorità.

Ai sacerdoti il profeta rimprovera la scissione del loro insegnamento dall’ascolto della Parola di Dio, l’unica che può dare fondamento, contenuto e autorevolezza alla loro parola. Senza la Parola di Dio, il sacerdote non ha nulla da dire, essendo il suo ministero un servizio della Parola di Dio” (Luciano Manicardi).

Siamo agli ultimi giorni della vita di Gesù, a Gerusalemme, giorni carichi di scontri e controversie, di aspettative e di tensioni. Gesù rivolge critiche severe agli scribi e ai farisei, critiche che sono come delle consegne ai cristiani di tutti i tempi e quindi anche a noi, oggi.

Egli dice alla folla: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”.

Gesù, diciamolo con onestà, non fa di tutta l’erba un fascio, non si scaglia contro tutti i farisei, tutti i sacerdoti, tutti i maestri, ma contro coloro che in quel preciso momento storico erano al comando e lo accusavano e lo perseguitavano, proprio loro che insegnavano abitualmente in modo conforme alla tradizione, ma che, non avendo coerenza di comportamento, finivano con il mancare di autorità e di autorevolezza.

Predicavano ai fedeli ma in realtà non osservavano quanto dicevano. Erano persone divise, che con le labbra dicevano una cosa ma con il cuore ne pensavano altre (cfr. Mt 15,8; Is 29,13). Fare e osservare sono le espressioni con cui il popolo ha scelto il Signore, ha ripudiato gli idoli e ha sancito con lui l’alleanza: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo” (Es 24,7), ovvero “lo comprenderemo nella misura in cui lo metteremo in pratica” (Enzo Bianchi).

Quante volte succede anche a noi di dire e poi di non agire coerentemente e conseguentemente. Gesù definisce questo comportamento “ipocrisia” e lo condanna duramente perché non favorisce affatto la verità su se stessi, porta a giudicare gli altri.

L’ipocrisia dice finzione! Si recita una parte senza essere né convinti né conseguenti.

La critica di Gesù diventa ancora più radicale quando dichiara: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti di onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati ‘Rabbì’ dalla gente».

Questo è il vizio di chi pensa di avere un potere sugli altri e vuole dunque mostrarlo, per essere riconosciuto dalla gente: farsi vedere per testimoniare la fede, a fin di bene, per educare gli altri e dare il buon esempio… Quante volte questi atteggiamenti coprono intenzioni squallide e menzognere! Le testimonianze devono essere lette da chi vede e ascolta, non date da chi dovrebbe solo vivere, senza fare narrazioni di sé e delle proprie azioni: saranno gli altri, con il loro discernimento, a giudicare la verità o la falsità di chi deve parlare solo del Signore, non di se stesso. Questo esibizionismo religioso purtroppo è tanto presente, ancora oggi, nelle nostre chiese! (cfr. Enzo Bianchi).

Gesù avverte i suoi discepoli: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Il discepolo di Gesù deve essere consapevole che i titoli “rabbì”, “padre” e “guida”, sono titoli che vanno attribuiti solo a Lui, il Cristo di Dio, così come solo Dio va invocato quale Padre.

Sono parole chiare, nette e precise, rispetto alle quali non siamo fedeli, perché sia nella chiesa antica come anche nella chiesa di oggi questi titoli vengono facilmente attribuiti a tanti che hanno un ministero di responsabilità nelle comunità.

L’avvertimento di Gesù è ancora più esplicito quando dichiara che il più grande deve farsi servo perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.

Come sempre le Sue parole non ammettono retorica e tergiversazione, sono talmente chiare che dobbiamo soltanto metterci in un atteggiamento di conversione continua.

Notevole e significativo è il commento di San Girolamo alle parole incalzanti di Gesù: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi degli uomini religiosi”.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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