Omelie

XXXII Domenica del tempo ordinario anno A


XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  (anno A)

 

Sap 6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

 

12  Novembre  2023

 

Nelle ultime tre Domeniche dell’Anno Liturgico leggeremo l’intero capitolo 25 del Vangelo di Matteo che riporta l’ultimo grande discorso di Gesù.

Tenteremo di commentare le letture di queste Domeniche come se fossimo in un’unica lunga domenica, lasciando aperte domande e prospettive tendenti all’ultima Domenica che, con la Solennità di Cristo Re, chiuderà l’Anno Liturgico.

In questa Domenica, XXXII del Tempo Ordinario, il Vangelo ci propone la parabola delle dieci vergini.

Le protagoniste della parabola sono dieci ragazzine, perché le vergini erano le ragazze che non erano mai state sposate, quindi poco più che bambine, considerata l’usanza del tempo, che aspettano di notte l’arrivo dello sposo per entrare alla festa.

“Poiché lo Sposo tardava …” le vergini si addormentano ed è più che normale, ma non è del tutto normale che accada a noi, uomini e donne di questo tempo che, travolti dalle vicissitudini della vita, dagli impegni, dal tumulto interiore, dagli accadimenti del nostro tempo, ci assopiamo e smettiamo di pensare allo Sposo che viene. Dimentichi di aspettare il compimento del Regno, non scrutiamo la realtà per cogliere la presenza di Dio, piangiamo per i defunti, come ci dice l’apostolo Paolo nella Seconda Lettura tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, come fanno quelli che non conoscono e non credono nella resurrezione. Soffrono, com’è giusto, la mancanza di coloro che muoiono ma non sperano in alcuna cosa. Realisticamente può succedere a tutti, ce lo fa capire in maniera sapienziale la parabola delle dieci ragazzine.

Poi lo sposo arriva, ed è al suo arrivo che si constata la differenza tra le vergini sagge e quelle stolte, si scopre cioè se la nostra vita, a volte inevitabilmente assopita, è stata saggia o stolta. Stando alla parabola, l’unica e vera differenza consiste sul come le vergini si sono attrezzate per andare ad attendere lo Sposo: “Cinque hanno pensato a ciò che stavano facendo, l’hanno valutato, hanno impiegato tempo ed intelligenza per decidere cosa poteva servire e quali potevano essere gli imprevisti, altre – per leggerezza o per scarsa considerazione di ciò che stavano per fare – sono andate così come erano, senza pensare ciò che stavano facendo né ricercare ciò che poteva essere di aiuto per riuscire nell’impresa” (Simona Segoloni Ruta).

Sostiene molto opportunamente la teologa Segoloni che “viene mostrato con questa immagine quale atteggiamento esistenziale (cioè quale sapienza) bisogna avere: vivere desiderando di capire, impegnandoci per provvedere ciò che può servire per il bene che ci viene chiesto. La sapienza, in fondo, altro non è che un modo di guardare la vita capace di scoprire le tracce del bene possibile e ciò che serve per farlo crescere. Nella prima lettura (tratta dal libro della Sapienza) si dice che per chi desidera raggiungere questo atteggiamento, per chi lo desidera, è facilissimo trovarlo. Non è richiesta alcuna fatica: è la sapienza stessa ad andare loro incontro in ogni progetto, a farsi trovare per la strada o seduta alla porta”.

Dev’essere, quindi, per noi oggi chiaro che chi cerca la sapienza la trova e pertanto non va ad aspettare lo Sposo senza olio, cioè vive procurandosi ciò che serve per l’incontro essenziale della vita, per scoprire Dio nell’oggi, nelle persone, nella interiorità e un giorno nella pienezza del Regno.

Il messaggio della parabola è chiaro e deve scuoterci: basta svegliarsi dal torpore, da una vita dalla coscienza anestetizzata, e andare incontro allo Sposo veniente, al Risorto.

Per onestà interpretativa dobbiamo dirci che la parabola non ci dice che cosa sia quest’olio che bisogna procurarsi. Le interpretazioni sono le più diverse e disparate, non era nella intenzione dell’evangelista dirci cosa esso rappresenti; forse la finalità della parabola è semplicemente suscitare dentro di noi il desiderio della sapienza che ci fa vivere nella consapevolezza di ciò che stiamo aspettando e ci insegna a non rimanere sprovvisti del necessario.

Come giustamente osserva padre Fabrizio Cristarella Orestano “credo che qui si voglia parlare solo di una pienezza; dinanzi al Veniente si può essere pieni o vuoti! Insomma è vigilante chi ha vera capacità di attesa, un’attesa nutrita dalla Parola, nutrita dalla vita fraterna, nutrita di atti concreti che rendano visibile l’Evangelo … Le vergini sagge sono tali perché hanno vissuto il tempo dell’attesa fedeli nell’amore, dando al loro amore per Gesù una durata che non si stanca, che non viene meno, che non si ferma divenendo così una “stagione della vita”, hanno vissuto il tempo dell’attesa riempiendosi di vita sensata, una vita nutrita dalla Parola e con lo sguardo fisso solo su Gesù”.

Penso che la parabola che leggeremo Domenica prossima potrà aiutarci a comprendere il senso dell’olio che non dobbiamo trascurare mai e che dobbiamo portare sempre con noi.

Il Vangelo di questa Domenica ci insegna a cercare, ad avere sete, a desiderare, a vegliare per pensare come prepararci all’incontro con Dio che ci attende sempre, un incontro colmo di benedizioni, cibi e gioia, perché la sua grazia vale più della vita. Oggi dobbiamo lasciarci colmare dal desiderio dell’incontro: solo così non trascureremo di avere con noi l’essenziale perché ciò che tanto attendiamo si realizzi.

Oggi, come chiesa, celebriamo la 73ma Giornata Nazionale del Ringraziamento. Il messaggio per questa giornata porta il tema: “Lo stile cooperativo per lo sviluppo dell’agricoltura”.

Nel messaggio della Commissione Episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace, leggiamo: “L’insegnamento biblico suggerisce il principio della fraternità quale paradigma capace di illuminare ogni attività umana, agricoltura compresa: il mandato di coltivare e custodire la terra (cfr. Gn 2,15) coinvolge l’umanità a livello personale, familiare e in ogni forma di collaborazione con gli altri. Nell’Enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco non solo rilegge la parabola del Buon Samaritano per aiutarci a riscoprire il senso dell’essere fratelli, ma muove dalla domanda rivolta a Caino «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Gn 4,9) per aiutarci a «raccogliere uno sfondo di secoli» in cui la Parola ci invita alla fraternità e ci abilita «a creare una cultura diversa, che orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri» (Fratelli tutti, n. 57). Anche nell’esperienza del lavoro siamo chiamati a creare quello stile che non ci fa sentire concorrenti, ma fratelli”.

Chiamati alla fraternità, nella fedeltà e nel servizio, come le vergini sagge, viviamo con sapiente responsabilità nell’attesa del compimento del Regno di Dio.

 

Buona Domenica.

   Francesco Savino

formato pdf