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“Don Tonino profeta della vita”. Mons. Bello visto dal Vescovo, Savino su “Presbyteri”


(da “Presbyteri” Rivista di spiritualità pastorale) [SCARICA ARTICOLO]

Concludiamo la nostra rubrica dedicata ad alcune figure profetiche con le parole appassionate che mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio, dedica a mons. Tonino Bello.
Affidiamo a queste righe anche il nostro augurio per la Chiesa italiana e per i suoi ministri, chiamati ad essere in questo nostro tempo voci profetiche che testimoniano “la fede in Cristo come libertà dell’amore, l’unica via per restituire pienezza alla vita”.

Don Tonino profeta della vita

E’ emblematico.

Basta digitare la parola “profezia” su Google per ritrovarsi, dopo i rituali lemmi di Wikipedia (per la verità molto sbrigativi e superficiali), a rischio di naufragio.

Si va dalla profezia di Malachia a quella dell’Isis, dall’inevitabile profezia di Nostradamus a quella meno scontata di Sybill Trelawney, fino alla profezia di Celestino o a quella di Clementino o, ancora, quella di suor Lucia. Persino la profezia di Fidel Castro va alla grande. Si va avanti così per ben 828.000 links.

Un oceano, appunto, che fotografa in modo nitido come la radice biblica del carisma profetico sia stata risucchiata nel più banale filone visionario, nel torrente millenaristico, nel mercato di sottoprodotti del catastrofismo apocalittico.

La dinamica è ormai nota: nei momenti di crisi della ragione, l’incapacità di rielaborare il senso degli eventi, la difficoltà di acciuffare il bandolo della propria vita, genera uno smarrimento che tende a trovare riparo nella grande visione finale, che spiega tutto e affranca dalla fatica di pensare.

La profezia, così,  è trasformata in una scorciatoia per fuggire dalla realtà: invece che attraversarla, con le sue contraddizioni e le sue sfide, l’azione divinatoria ti prende amorevolmente per mano e ti conduce oltre, al di là. Il vaticinio come riparo rispetto al proprio tempo.

Non è questa la tradizione ebraica e nemmeno quella cristiana.

Il profeta biblico è la sentinella che vigila sulla fedeltà del popolo di Israele alla missione di salvezza affidatagli da Iavhè. Il profeta biblico è una figura scomoda perché, con la sua parola, mette a nudo il rischio immanente, in qualsiasi vicenda umana, di sostituire alla parola di Dio quella dell’uomo e al mandato del servizio la logica del potere.

Il profeta biblico ha il talento della parola ma si tratta di una parola scomoda, in moltissimi casi  di una parola urticante, che crea disturbo alla quiete pubblica.

E disturba perché è una parola incarnata nel suo tempo, nella sua storia, nella sua comunità, nel suo popolo. E’ l’intima confidenza con la vita a rendere contundente la parola del profeta.

Dà fastidio perché non è una parola banale, un guscio vuoto, ma una parola densa di tensione morale e spirituale, destinata a lasciare un segno, a dividere, a suscitare conflitto.

Il profeta biblico paga a caro prezzo, con l’incomprensione,con l’impopolarità, spesso  con la riprovazione, la testimonianza della sua parola.

Don Tonino profeta della vita

Reimpostando queste coordinate bibliche è possibile incrociare la profezia don Tonino.

Nessuno si aspetti di trovare in don Tonino qualche segno dei talenti soprannaturali di un oracolo, oppure tracce delle qualità di un vate.

Rimarrà deluso dal don Tonino che si incontrava dal barbiere oppure che si incrociava in giro con la sua utilitaria o a piedi per  le strade della diocesi. Un don Tonino feriale, normale.

Perché se c’era qualche impronta di straordinario in don Tonino era evidentemente nella sua straordinaria, naturalissima umanità. L’eco che lasciava in ciascuno era di un’umanità profonda, integrale, in questo senso contagiosa: ogni volta che si entrava in contatto con lui era come se si dischiudesse l’universo dell’umanità che giace sommersa e inespressa in ciascuno di noi.

E questo è il punto. La fede di don Tonino era scelta di incarnazione nella vita. Incarnazione così integrale da maturare una confidenzialità intima, totale.

In una relazione d’amore profonda si libera un’empatia che consente di avvertire i sentimenti molto prima che le parole giungano a pronunciarli. In una relazione d’amore profonda  si parla con gli occhi e, soprattutto, si sente col cuore e gli eventi si presagiscono un attimo prima che accadano.

La profezia di don Tonino ha a che fare con questa confidenza con la vita. Che è poi confidenza con la storia, col proprio tempo, col proprio popolo. Un amore così intenso, totale, sine glossa, che matura in don Tonino la capacità di cogliere il senso degli eventi, di intuirne lo sviluppo.

Il carisma della visione profetica di don Tonino ha il suo alimento nel rapporto totale, carnale, fisico con la vita nella sua pienezza. Perché solo entrando nelle viscere della vita, lo sguardo si allunga fino all’orizzonte ultimo, fino a osare l’escaton.

In altre parole: solo l’immersione nella placenta della vita libera l’energia per l’elevazione della profezia.

Ma questo in fondo è il paradosso scandaloso del Gesù di Nazareth, il cuore del suo Kerigma.

A rileggerlo a distanza di oltre trent’anni, don Tonino resta ancora oggi lucidamente profetico.

La freschezza di alcuni suoi scritti mantiene integra una straordinaria attualità.

Tre, forse, sono i passaggi epocali su cui don Tonino libera il suo sguardo lungo da profeta.

Il primo è la crisi del sistema politico del paese. Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, Tangentopoli e le bombe mafiose mettono a nudo una democrazia vulnerabile e un sistema di partiti ormai marcio. Don Tonino intuisce che dietro il crollo della politica, della sua credibilità e della sua reputazione sociale, c’è una crisi di ethos, uno sfarinamento morale del paese. Coglie che il cinismo della vita pubblica sta inoculando la subdola convinzione che il denaro e il potere siano gli unici reali regolatori delle relazioni sociali e che l’impegno a servizio della comunità è solo una pia esortazione di circostanza. Coglie che il paese si sta lasciando aggredire, senza anticorpi, dal virus dell’egoismo individualista: vale solo ciò dal quale posso trarre un beneficio immediato e non ciò che ha un senso.

In questa crisi, don Tonino vede anche le opportunità. Il profeta denuncia e annuncia. Vede quel tempo come propizio, come un tempo di libertà (senza più vincoli di collateralismo) per compiere una inedita pastorale orientata alla ricostruzione di coscienze adulte: si rigenera la democrazia e il senso della convivenza civile solo facendo il lavoro di lunga lena di formazione di laici maturi, consapevoli, “situati”.

Gli scritti di quel periodo di don Tonino sono di una lucidità impressionante e sembrano destinati a questi nostri giorni. Sappiamo che il profeta non ebbe molto ascolto, la piega degli eventi fu un’altra, le stesse scelte ecclesiali andarono in tutt’altra direzione. E oggi siamo ancora lì.

Il secondo passaggio cruciale attraversato da don Tonino è quello della pace. Alla fine degli anni ’80 don Tonino coglie che la frontiera dei conflitti si sta rovesciando, e che, prima ancora che con gli apparati militari, la guerra moderna si realizza con raffinate forme di propaganda, con le tecnologie di spettacolarizzazione, con uno sfruttamento neocoloniale, con inedite dinamiche di ingiustizia planetaria. Sembra la fotografia di queste settimane. E in fondo, la prima guerra in Irak (oggi scopriamo essere basata sulla menzogna), la guerra del petrolio, può essere considerata l’inizio del tunnel dal quale facciamo fatica ad uscire.

La lingua del profeta batte forte sulle ipocrisie e sulle demagogie intuendo che solo un mondo giusto può essere il presupposto credibile di un futuro di pace. Dal traffico delle armi alla lotta contro la militarizzazione del Sud, dalla lotta contro la guerra alla sperimentazione di pratiche nonviolente di soluzioni dei conflitti (la famosa “marcia di Sarajevo”), il profeta non smette di creare disturbo alla quiete pubblica. Nemmeno la malattia lo fermerà.

Infine, il terzo passaggio cruciale in cui don Tonino s’imbatte è quello delle grandi migrazioni. L’implosione dell’impero sovietico, lo sgretolamento della Jugoslavia, ma anche le migrazioni dal nord Africa e dal Medio Oriente infuocato dalla violenza, dipingono dinanzi agli occhi di don Tonino lo scenario di un mondo completamente diverso. L’immagine della Vlora, nell’agosto del 1991, è lo spartiacque che segna il cambio tra due epoche. Dopo nulla sarà come prima. Che sia il “fratello marocchino” oppure l’albanese che insegue “lamerica”, don Tonino, il profeta, intuisce che questo torrente della storia non si può fermare. E’ destinato a travolgere ogni argine e ogni resistenza. Don Tonino, il profeta, annuncia che ci attende un futuro meticcio in cui culture e popoli, dialetti e religioni saranno chiamati a una forma elevata di ascolto e di dialogo. Un’opportunità così straordinaria che rende questo tempo Kairòs. Insomma, l’ultima profezia di don Tonino è che non siamo alla fine della storia, all’omega ma a un nuovo inizio, all’alfa, un nuovo germoglio di cui, proprio nei giorni ultimi della sua vicenda umana, quando il suo sguardo lentamente si spegne, lui indica le gemme.

In realtà, la profezia di don Tonino non è altro che testimonianza della sua visione conciliare della chiesa. Una visione positiva, piena di armonia, gioia, senso, perché non si addice la tristezza a chi ama. Una fede risolta perché lascia che il principio dell’amore scardini ogni convenzione sociale e ogni seduzione di potere. La fede in Cristo come libertà dell’amore, l’unica via per restituire pienezza alla vita.

Oggi che Papa Francesco indica la medesima strada all’intera chiesa universale, sappiamo che questa profezia, pur necessaria, ha un prezzo alto.

Il prezzo dell’amore.

+ don Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio