News

Intervento di Mons. Francesco Savino presso il Seminario Interdisciplinare dal titolo “Da Gesù alla Chiesa” verso nuove prospettive


Da Gesù alla Chiesa

Il volume Da Gesù alla Chiesa (2022) rappresenta il quarto della teologica sistematica di don Giovanni Mazzillo, a partire da L’uomo sulle tracce di Dio (2004), passando per Dio sulle tracce dell’uomo (2012) e Popolo delle beatitudini (2016). Quell’insopprimibile desiderio di Ulteriorità che abita ogni donna e ogni uomo incontra la misericordia di un Dio che diventa umano, e che si rende presente prima di tutto “nell’umano degli esseri umani” (J.M. Castillo) che compongono, in vari modi, il poliedro ecclesiale (il popolo di Dio). L’anello mancante del lavoro sistematico di Mazzillo era pertanto Gesù Cristo, di cui la Chiesa è “in qualche modo il sacramento” (LG 1). Il messaggio di fondo che Mazzillo intende trasmettere è quello di un’unità indissolubile tra Gesù e la Chiesa, in particolare tra quelli che Pitta nella prefazione chiama gli “intendimenti” di Gesù e la comunità dei suoi discepoli e discepole.

Nel solco di numerosi e importanti studi sul Gesù storico, il contributo di Mazzillo si colloca al culmine della sua ricerca umana e accademica in grado di coniugare Gesù storico e Cristo della fede, rigore scientifico e amore al Maestro. Don Giovanni tenta, in maniera encomiabile, di rendere teologicamente leggibile il progetto e le intenzioni di fondo di Gesù di Nazareth attraverso alcuni dati storici fondamentali (attinti soprattutto dagli studi italiani e tedeschi) come l’ebraicità di Gesù, la centralità della regalità di Dio-Abbà, il dono di sé come forma estrema di amore, il legame tra l’annuncio del Regno e la nascita della Chiesa. Ma il cuore di tutti i cerchi concentrici che compongono la ricerca, come dice lo stesso don Giovanni, “è Gesù nel suo darsi che culmina nella croce” (p.15). Mazzillo tenta di dimostrare come il “darsi di Gesù” costituisce un evento dal nucleo teologico ma anche storico, evitando ogni pericolosa separazione! Gesù attraverso il dispiegarsi di tutti i momenti della sua vita fino alla croce ha vissuto una “cosciente storia di libertà” (K. Rahner). Non si tratta solo di essere coscienti di dover morire come diversi profeti perseguitati martirizzati, ma di vivere continuamente “una libertà per la morte[1]. A tal proposito precisa Rahner:

«Una teologia della morte può collegare più strettamente l’evento della morte di Gesù con la struttura fondamentale dell’esistenza umana. La morte è l’azione unica, che domina l’intera vita, in cui l’uomo in quanto essere libero dispone di sé stesso nella sua totalità, e ciò corrisponde all’accettazione del venir totalmente disposto nell’impotenza radicale che si manifesta e viene subita nella morte»[2].

 

Da buon discepolo di Rahner, don Giovanni dimostra che un’autentica cristologia necessita della ricerca storico-critica capace di far emergere “l’evoluzione della coscienza di Gesù” (Da Gesù alla Chiesa, p. 203). Mazzillo ci accompagna nella maturazione graduale di questo processo mettendo al centro un passo biblico che egli definisce fondamentale: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Tutta la vita di Gesù, non solo il momento della crocifissione, ha rivelato il suo servire, il suo essere per, il suo consegnarsi. Per tale motivo è possibile sviluppare un’ermeneutica della morte di Gesù come autodonazione per amore, e non soltanto come espiazione dei peccati (Da Gesù alla Chiesa, p. 255).

Se Antonio Pitta nella prefazione sostiene che il nostro teologo “dimostra che senza la Chiesa sarebbe stato impossibile risalire al Gesù storico” (p.9), allora un altro merito del presente volume è quello di legare il progetto di Gesù con quello della prima comunità cristiana. Infatti, la terza parte porta il titolo La comunità che annuncia Gesù e il Regno di Dio (da p. 299). Questo passaggio complesso e articolato si colloca nella dinamica tradizione/i: nel suo significato più autentico di trasmissione fedele e creativa, chiamata a tradurre in differenti contesti culturali senza tradire il nucleo fondamentale (kerigma). Infatti, la cerniera che unisce Gesù e la prima comunità cristiana è focalizzabile nell’evento dell’ultima cena[3]: quale dono di sé agli altri e memoriale della Pasqua eterna. La Chiesa di tutti i tempi è chiamata a tradurre senza tradire la Pasqua di Cristo, la sua Risurrezione. Occorre fare attenzione al rischio di “un cristianesimo che cerca il Signore tra i relitti del passato e lo rinchiude nel sepolcro dell’abitudine è un cristianesimo senza Pasqua” (Papa Francesco, 16 aprile 2022).

A tal proposito il lavoro teologico di don Giovanni riesce ad essere alquanto provocante per la Chiesa di oggi, dal momento che dovremmo essere noi “La comunità che annuncia Gesù e il Regno di Dio”. Non è forse vero che a volte, ricorda Mazzillo, la Chiesa è troppo lontana da Gesù? Troppo lontana dallo “scandalo” fondamentale che è la Risurrezione di Cristo? Risurrezione che corrisponde al raggiungimento della pienezza di vita, liberata dalle schiavitù disumanizzanti. Per tale motivo un cristianesimo pasquale fa riferimento alla vittoria di quel Regno annunciato dalle parole e dalle scelte di Gesù: reso visibile nella sua prassi di pace. Ecco perché quando la Chiesa annuncia il kerigma annuncia il Regno di Dio e viceversa, non sono mai due aspetti separati. La ricerca di Mazzillo (a partire da La teologia come prassi di pace, 1988) è sempre stata radicata sulla pace, che don Tonino Bello – nell’introduzione alla collana “Per una teologia della pace” della Meridiana – definì “tema generatore”. La pace, infatti, è capace di generare la forza non violenta nei profeti di ieri, di oggi e di domani, arricchiti della possibilità di perdonare “settanta volte sette”, attivando processi personali e sociali di riconciliazione.

La Chiesa è chiamata ad annunciare il Regno di Dio attraverso una prassi di pace coerente con l’agire del suo Maestro. La messianicità di Cristo non svanisce ma passa alla Chiesa (il legame è insito nella citazione di Is 61 “Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”): quale annuncio rivoluzionario del Regno per i perdenti e gli emarginati, quale opzione teologica (e non sociologica) fondamentale senza la quale la Chiesa stessa smarrisce la sua identità più profonda. La fede nella risurrezione comprende un’autenticità pratica (prassi di pace) “che si traduce in una coscienza critica di fronte alle corruzioni che tante volte si verificano all’interno delle istituzioni religiose”[4].

La traduzione ecclesiale di questa prassi di pace la scorgiamo in maniera esemplare e simbolica in numerosi testimoni: don Giovanni cita il gesuita Ignazio Ellacuria (Da Gesù alla Chiesa, p. 330), ma possiamo ricordare mons. Romero, don Helder Camara e tanti alti. Pensando alla realtà delle nostre chiese locali, nel Sud Italia, come non ribadire l’urgenza di percorrere con più coraggio i passi di don Peppe Diana e don Pino Puglisi? Essi hanno vissuto senza compromessi un ministero ispirato ad “una prassi che porti alla realizzazione del regno di Dio nella storia”[5]. Guardando alle chiese del Mezzogiorno emerge la necessità di riscoprire, a tutti i livelli, una ministerialità ispirata alla prassi di pace e di liberazione come appartenente a tutto il popolo di Dio e non a singoli eroi. Quando non si perseguono la pace e la giustizia, anche tra i cristiani, si diventa facilmente “adoratori del male e della violenza” (Papa Francesco a Cassano, 21 giugno 2014). Ogni spiritualità e ministerialità ecclesiale dovrebbe tutelare le numerose libertà minacciate da soprusi, ingiustizie e mafie: “Solo là dove si presta ascolto all’oscura profezia di questo dolore degli altri, alla povertà e all’angustia degli altri, la Chiesa intende veramente la parola di Cristo, soltanto così la Chiesa visibile è anche la Chiesa invisibile dello spirito di Gesù”[6]. “La pace si paga, ma non paga” (don Tonino Bello), queste parole valgono per noi, Chiesa di Gesù, chiamati a condividere “un esperimento teologale” (Da Gesù alla Chiesa, p. 358), per il quale Gesù spese tutta la vita. Siamo Chiesa non solo se crediamo in maniera ortodossa in Cristo, ma anche se con libertà pratichiamo quello in cui Lui ha creduto (ortoprassi). Qui risiede l’attualità e la coerenza di un cristianesimo rivoluzionario e sempre nuovo, perché carico di Risurrezione.

[1] M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Milano, Longanesi 1976, 323.

[2] K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede, San Paolo, Milano 2005, 382.

[3] T. SÖDING, Gesù e la Chiesa. Che cosa dice il Nuovo Testamento?, Queriniana, Brescia 2008.

[4] J.M. CASTILLO, L’umanizzazione di Dio, Dehoniane, Bologna 2019, 402.

[5] I. ELLACURIA, La Chiesa dei poveri sacramento storico di liberazione, in Mysterium liberationis, 638.

[6] J.B. METZ, La fede nella storia e nella società, Queriniana, Brescia 1978, 96.

 

Relazione formato pdf