Omelie

IV Domenica di Pasqua


IV  DOMENICA  DI  PASQUA

At 4,8-12; Sal 117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Domenica  25  Aprile  2021

 

La IV Domenica del Tempo Pasquale, chiamata “Domenica del Buon Pastore”, presenta il Buon Pastore come immagine sintetica della Resurrezione di Gesù.

Nel Vangelo di oggi abbiamo sentito, infatti, che Gesù stesso dice di sè: “Io sono il buon pastore. […] e do la mia vita per le pecore. Io ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”.

Siamo attratti dal Buon Pastore come è accaduto a tanti artisti sin dalle origini del Cristianesimo; negli affreschi delle catacombe e nelle sculture dei sarcofagi, ad esempio, Cristo è spesso ritratto nelle vesti del pastore che porta sulle spalle la pecorella smarrita.

Come afferma padre Raniero Cantalamessa, il tema del “pastore” è rilevante in tutta la storia biblica: “Israele fu, all’inizio, un popolo di pastori nomadi. I Beduini del deserto ci danno oggi un’idea di quella che fu un tempo la vita delle tribù d’Israele. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull’interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari a osservarsi, senza anima viva intorno. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue tra tutte la voce del pastore che spesso parla con le pecore. Un’immagine equivalente, ma più vicina a noi, potrebbe essere quella di una mamma che al parco, mentre è seduta e lavora a maglia, vigila attentamente con la coda dell’occhio sul suo bambino che gioca e corre, pronta a scattare a ogni segnale di pericolo. Questo spiega come mai Dio si è servito di questo simbolo per esprimere il suo rapporto con l’umanità”.

Con uno dei salmi più conosciuti, il Salmo 22, preghiamo così: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Queste parole del salmista suscitano una grande fiducia ed anche la morte, la “valle oscura”, non fa più paura perché l’occhio del pastore arriva anche lì. Per “valle oscura” si intende anche la prova, le diverse crisi della nostra esistenza, le difficoltà economiche e tanto altro. E chi, prima o poi, non attraversa una “valle oscura”?

Il titolo di pastore, nelle Sacre Scritture, viene dato, per estensione, anche a re, sacerdoti, capi in genere ma accade che all’immagine del pastore buono e responsabile si aggiunge quella del pastore cattivo, del mercenario. E i profeti, come Ezechiele, esprimono parole durissime contro i cattivi pastori che non “pascolano le pecore”, ma provvedono soltanto a se stessi.

Gesù parla del pastore buono e lo distingue dal mercenario; dice che Lui è il Buon Pastore. La promessa di Dio è diventata realtà nel Suo Figlio Gesù che fa ciò che nessun altro pastore sarebbe disposto a fare: “Io do la mia vita per le pecore”.

Tutti coloro che hanno un ministero di guida, sia dentro la Chiesa che fuori, sono richiamati ad una verifica rigorosa e intransigente del proprio operato che spesso purtroppo risponde alla logica del servirsi delle “pecore” più che mettersi al loro servizio.

Secondo l’evangelista Giovanni, la relazione tra Gesù, Pastore Buono, e le pecore è espressa dal verbo “conoscere”. Ma che significa “conoscere”? Significa vedere l’altro, chiamarlo per nome, essergli da guida, proteggerlo, custodirlo. Il “conoscere” di Gesù, che è segno di compassione per il gregge, rivela la sua intima comunione con Dio: “Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. E perché il Padre ama Gesù? Perché Gesù realizza la sua volontà, che è amore. Gesù ha amato fino ad offrire la vita per riceverla di nuovo dal Padre. La sua offerta sta nello spazio della fede, non dell’assicurazione anticipata. Perché “chi perde la sua vita la ritroverà, ma chi vuole salvarla la perderà” (Gv 12, 25).

Cristo, il Pastore Bello e Buono, invita anche noi, ad appartenere a Lui per essere liberi. “Dove c’è lo spirito del Signore Gesù, lì c’è libertà” (2Cor 3, 17).

In questa LVIII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni intitolata “San Giuseppe: il sogno della vocazione”, Papa Francesco, richiamandoci all’esempio di San Giuseppe, ci affida tre parole-chiave: sogno, servizio, fedeltà.

Contemplando Cristo Buon Pastore e affidandoci all’intercessione di San Giuseppe, chiediamoci se la nostra vocazione è connotata dal sogno, dal servizio e dalla fedeltà.

Buona Domenica!    

✠   Francesco Savino