Omelie

IV  DOMENICA  DI  QUARESIMA  (anno A)


1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41 

19  Marzo  2023

 

Dopo il tema dell’acqua viva nel brano della donna samaritana, che Gesù Cristo dona al credente in Lui, questa IV Domenica di Quaresima ci introduce al tema della luce, o meglio, della illuminazione, azione compiuta da Gesù affinché noi vediamo e siamo strappati dalle tenebre.

Il racconto è davvero splendido perché presenta un vero e proprio itinerario quaresimale.

Siamo a Gerusalemme, nell’ultimo giorno della “festa delle capanne” (sukkot, festa dell’acqua e della luce) durante la quale la spianata del tempio era illuminata a giorno per ricordare gli interventi di Dio nel deserto dell’esodo. Nell’ultimo giorno della festa Cristo Gesù dichiara solennemente: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 18).

Il segno operato sul cieco, di cui ci parla il Vangelo di questa Domenica, vuole essere la rivelazione. Davanti al cieco i discepoli, come tra l’altro facciamo anche noi, sentono il bisogno di chiedere spiegazioni: chi ha peccato (la malattia era vista come conseguenza del peccato) il cieco o i genitori? Noi uomini dinanzi al mistero del male e della malattia cerchiamo sempre i colpevoli. Gesù, invece, rifiuta questo modo di spiegare le cose. Lui è in mezzo a noi per rivelarci uno stile di Dio, altro rispetto alle nostre rappresentazioni, ed è per questo che compie dei gesti che richiamano la creazione di Adamo nel libro della Genesi: impasta con la saliva del fango che spalma sugli occhi del cieco nato e lo invia alla piscina di Sion (= inviato/mandato = Gesù) per lavarsi. Gesù sta chiedendo concretamente al cieco di fare un itinerario che lo porta ad essere sanato. Quest’ultimo accetta e compie un vero itinerario e pur non vedendo si avventura per un sentiero tortuoso, scoprendo di poter man mano scorgere la luce e, appena ci vede, fa ritorno al tempio. È da notare i quattro verbi che caratterizzano il racconto, verbi che puntualizzano la collaborazione del cieco nei confronti di Gesù, la sua semplice obbedienza rivelatrice di un cuore di bambino: “Quello andò, si lavò e ritornò che ci vedeva” (Gv 9, 7). La grazia di Cristo ci chiede disponibilità e partecipazione. Il segno del cieco nato esprime l’itinerario battesimale, cioè il passaggio dalla tenebra alla luce. Quest’uomo adesso vede e può rendere testimonianza, è diventato capace di relazioni, di incontrare Dio, diventandone testimone. Nel racconto del Vangelo a questo punto Gesù esce di scena ed inizia il processo contro di Lui attraverso il cieco guarito.

I vicini, innanzitutto, si chiedono se davvero il cieco guarito vede veramente, se è la stessa persona che prima era cieca oppure è un suo sosia. Intervengono poi i farisei che, informatisi della modalità della guarigione, la contrastano perché il Maestro ha compiuto un’azione proibita il giorno di Sabato. Anche i genitori del cieco nato, gente semplice e povera, vengono interpellati ma, preoccupati dell’autorità religiosa opposta a Gesù, tergiversano sulla guarigione del figlio nato cieco.

I farisei, arroganti e presuntuosi, autosufficienti e autoreferenziali come certi uomini religiosi di ogni tempo, formulano un giudizio su di lui senza incontrarlo: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore” (Gv 9, 24).

Il cieco guarito viene nuovamente convocato dai farisei e interrogato e ha il coraggio di testimoniare la sua fede in colui che lo ha guarito, in Gesù, anche se non l’aveva mai visto in volto.

Gesù, avendo saputo che il cieco guarito era stato cacciato dal tempio, va e lo incontra e gli chiede se crede nel Figlio dell’Uomo. La risposta è pronta e decisa: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?” (Gv 9, 36).

E Gesù risponde: “Lo hai già visto: è proprio colui che parla con te” (Gv 9, 37). E il cieco guarito aggiunge: “Credo, Signore, e si prostrò dinanzi a Lui” (Gv 9,38).

A questo punto il cammino di quest’uomo, nato cieco e guarito, è giunto a compimento.

Sostiene il biblista Ernesto della Corte: “La conclusione dell’episodio evangelico ci mostra che quanti hanno creduto di giudicare sono in realtà stati giudicati da Gesù; quelli che vedevano e credevano di vedere appaiono, invece, ciechi; quanti indicavano gli altri come peccatori risultano preda di un peccato profondo: la cecità peccaminosa, la ribellione dei cuori induriti”.

La narrazione del Vangelo di questa Domenica ci attesta che la missione salvifica di Gesù Cristo genera un discernimento e una separazione tra quanti accolgono e rispondono e quanti, invece, si chiudono e rifiutano coscientemente. La vera cecità, quindi, consiste nel non accogliere la salvezza nell’incontro con Cristo gestendo male, come spesso accade, la nostra libertà.

Una domanda si impone in conclusione: Chi è cieco e chi vede?

Rimane cieco chi, nell’incontro con Gesù, chiude il suo cuore, invece vede colui che, incontrando Gesù, riconosce la propria “cecità” e si apre, affidandosi, alla Sua rivelazione, che guarisce, risana e salva.

E la salvezza è continuare a domandare. Se non riconosciamo di essere nelle mani del Signore, se la sua attrattiva non ci attrae cadiamo, se la luce del suo volto non brilla siamo tutti nell’oscurità.

Ripetiamo insieme con il cieco nato, avendoLo visto, “Credo Signore”.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

 

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