News

La Gioia e la mistica dell’Attesa, lettera del Vescovo Francesco per l’Avvento


La Gioia e la mistica dell’Attesa [SCARICA]

La mistica dell’attesa:
«Aspettando la rivelazione dei figli di Dio»

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. (Romani 8,19-23)

Questo passaggio della lettera di Paolo ai Romani è un brano carico di attesa, di speranza. È la speranza che crea l’attesa; è la speranza che dilata il tempo per un riempimento che deve venire.

In questa Speranza, che è mistica dell’attesa, il popolo di Israele ha forgiato la sua identità, le sue opere, la sua coscienza di popolo eletto da Dio e in continua attesa di un compimento da parte di Dio. La Speranza è il compimento dell’Attesa! La Speranza è il pieno che riempie il vuoto creato dall’Attesa.

Il termine “attesa” deriva dal verbo latino attendere composto da ad – a – e tèndere – distendersi, volgere a un termine, inclinare, mirare, aspirare. Attesa indica, quindi, un tempo che si distende, crea spazio per qualcosa o qualcuno che si attende. Più si crea spazio e più il tempo scorre lentamente. Una conclusione che ha un senso più ampio di quello scientifico attribuito alla famosa teoria della relatività einsteiniana!

Lo spazio-tempo, nella lettura “salvifica” dell storia, sembrano deformati dall’oggetto della nostra Speranza. Noi cristiani diamo a questa Speranza un volto: quello di Gesù di Nazareth, Colui che Dio ha inviato a colmare l’attesa di Israele e di tutte le genti! Poiché la Parola di Dio si è fatta carne nella nostra storia, la speranza dei credenti non è illusoria, ma fondata sulla certezza di fede. Per questo i credenti in Cristo non sono come chi attende una divinità, che non arriva mai, impersonata in modo drammatico da Samuel Beckett, con Aspettando Godot. Al contrario si attende colui verso cui si va incontro con la più antica delle confessioni di fede cristiana: marana tha (il nostro Signore viene e/o Vieni Signore nostro).

Forme della mistica dell’attesa: l’attenzione come preghiera

Un testo molto significativo sulla mistica dell’attesa raccoglie il carteggio tra Simone Weil e il padre domenicano Joseph-Marie Perrin, che per anni è stato suo direttore e consigliere spirituale. Il titolo del testo è proprio Attesa di Dio. A questo scambio epistolare, la giovane Simone affida il suo tormento nel non essere riuscita ad aderire esteriormente a quella fede che implicitamente sentiva pulsare nel suo essere. Tutto il suo dramma è un dramma dell’Attesa, un’attesa che Dio riempia prima o poi questo vuoto esteriore.

In un passaggio di tale libro, Simone parla dell’attenzione come forma originaria della mistica dell’Attesa: «Molto spesso l’attenzione viene confusa con una sorta di sforzo muscolare. Quando si dice agli allievi: ‘Ora state attenti’, li si vede corrugare le sopracciglia, trattenere il respiro, contrarre i muscoli. Se qualche istante dopo si domanda loro a che cosa siano stati attenti, non sono in grado di rispondere […]. Non hanno fatto attenzione, hanno solo contratto i muscoli […]. La volontà, quella che, se occorre, fa stringere i denti e sopportare la fatica, è lo strumento principale dell’apprendista nel lavoro manuale. Ma, contrariamente all’opinione comune, nello studio è quasi irrilevante. L’intelligenza può essere guidata soltanto dal desiderio. E perché ci sia desiderio devono esserci piacere e gioia. L’intelligenza cresce e porta frutti nella gioia» (S. Weil, Attesa di Dio, Adelphi, Mi- lano 2008).

La Weil lega in una trama l’attenzione e l’intelligenza attraverso il desiderio e la gioia.
Potremmo dire che attenzione, desiderio, intelligenza, gioia sono i quattro elementi costitutivi di un’autentica esperienza di preghiera cristiana. Questa preghiera è una preghiera di Attesa che apre alla Speranza! “Attenzione” è cogliere l’universale nel particolare: Niente può essere lasciato al caso!

Desiderio è la nostalgia del Tutto: Siamo fatti per le cose che durano!
Intelligenza è cogliere le relazioni profonde che strutturano la realtà: Unire non separare!

La Gioia è liberazione da ogni contraddizione dell’esistenza: Non c’è più spazio per la violenza e la schiavitù!

Nascita e Morte: i Limiti dell’Attesa

Lo spazio compreso tra nascita e morte è lo spazio che l’essere umano vive come mancanza; per questo riempie questo spazio di opere che non sembrano riuscire a colmarlo. L’uomo così finisce in un circuito esistenziale dove nascita e morte si rincorrono continuamente in un disperato tentativo di colmare questa mancanza.

E quello che nella Lettera ai Romani Paolo chiama caducità, a cui tutta la creazione è stata sottomessa. Ogni tentativo di colmare tale mancanza fallisce, è caduco, infruttuoso. Ma che cosa può colmare tale attesa, spezzando il ciclo angosciante di nascita e morte su cui si alimenta la follia del mondo? Ancora una volta Paolo ci suggerisce che la creazione viene liberata dalla Rivelazione dei Figli di Dio! È la notizia contenuta in tale rivelazione che restituisce Speranza alla creazione intera. Questo è il compito dell’evangelizzazione: liberare la creazione intera dal circolo della caducità di nascita e morte. È un circolo disperato, un circolo di paura che sottomette ogni cosa: le persone e le loro relazioni, l’uso dei beni, i corpi e l’ambiente che ci circonda.

La Gioia di un bambino

Le parole di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, associano la dinamica dell’attesa nel travaglio con la Gioia. “Riascoltiamole”:

In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.

Non c’è Gioia, sembra dire Gesù, che non sia preceduta da un’attesa e da un travaglio.
La Gioia è il frutto maturo di un’attesa che è crescita e di un travaglio che è liberazione.

Crescere e Liberare sono due verbi cristologici che descrivono anche l’identità della Chiesa.
La Gioia, di cui il Bambino Gesù è portatore, instaura nella nostra vita cristiana queste due dinamiche.

Se la Chiesa non fa crescere e non libera, allora è solo un dispositivo ideologico e mondano degno del peggior regime totalitario.
La Gloria della Gioia dei Figli di Dio è crescita nella Carità e liberazione nella fede!

Maria donna dell’Attesa

Affidiamo le conclusioni al testo del servo di Dio don Tonino Bello che vede in Maria il modello perfetto di ogni Mistica dell’Attesa! Attesa di Dio! Attesa del Tutto!

“La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio. Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere. La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco. Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero. Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno. Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide». Fidanzata, cioè. A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni. Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall’obiettivo nell’atteggiamento dell’attesa. Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza. Vergine in attesa, all’inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti. L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo dell’unigenito inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito. Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l’arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d’inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l’acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l’incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla. Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza.

Santa Maria, donna dell’ attesa,
conforta il dolore delle madri per i loro figli
che, usciti un giorno di casa, non ci son tornati mai più,
perché uccisi da un incidente stradale
o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra
o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare
o perché travolti dalle tempeste della vita.
Riempi i silenzi di Antonella
che non sa che farsene dei suoi giovani anni, dopo che lui se n’è andato con un’altra.
Colma di pace il vuoto interiore di Massimo
che nella vita le ha sbagliate tutte,
e l’unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte.
Asciuga le lacrime di Patrizia
che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti,
e per la cattiveria della gente se li è visti così svanire a uno a uno,
che ormai teme anche di sognare a occhi chiusi.

Santa Maria, Vergine dell’attesa,
donaci un’anima vigiliare.
Giunti alle soglie del terzo millennio,
ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento.
Sentinella del mattino,
ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci
da portare al mondo, che si sente già vecchio.
Portaci, finalmente, arpa e cetra,
perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.
Di fronte ai cambi che scuotono la storia,
donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti.
Facci capire che non basta accogliere:
bisogna attendere.
Accogliere talvolta è segno di rassegnazione.
Attendere è sempre segno di speranza.
endici, perciò, ministri dell’attesa.
E il Signore che viene, Vergine dell’ avvento, ci sorprenda,
anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano”.